- Categorie: L'identità sei in Antropologia
La prima forma di identità
La lingua madre
di Michela Zucca - SECONDA PARTE
«El silbo», la lingua 'fischiata' dell'siola di Gomera (Canarie)
Le lingue segrete, o gerghi, sono lingue 'nella' lingua o 'nella' parlata locale, conosciuti e usati da speciali categorie di persone.
Le lingue segrete e i gerghi
Sono accomunate da una motivazione: poter comunicare senza essere capiti da chi ascolta. Si tratta di un insieme di parole, modi di dire, frasi, gesti, atteggiamenti, che permettono di isolare chi li utilizza, ad esclusivo beneficio di pochi altri individui che possiedono la chiave interpretativa necessaria per dialogare. Non sono manifestazioni linguistiche attribuibili a zone limitate o a pochi individui: sono fenomeni che si riscontrano in ogni angolo del globo, con forme espressive e sociali ben precise e sviluppate, tali comunque da consentire questo continuo ed indispensabile scambio di informazioni. Ogni paese ha la sua forma e sotto forma di gergo: non ne esiste di un solo tipo, ma di diverse qualità, che possono anche scambiarsi locuzioni fra loro; e può essere impiegato secondo diversi registri linguistici, in modo da escludere totalmente la comprensione degli 'esterni', o da lasciar intendere qualcosa, ad arte: è un sistema raffinato di uso della lingua.
Il gaì, per esempio, è il gergo dei pastori di pecore alpini, principalmente bergamaschi, ma non solo, che dalla Val Seriana e dalla Val Brembana svernavano in pianura padana ma arrivavano anche a Saint Moritz; il dubiún è il gergo 'commerciale' segreto dei soli frazionisti di Olmo (San Giacomo Filippo, Valle Spluga) costituito da corruzioni o reinterpretazioni, talora in chiave ironica, o allusiva di forme dialettali o di fantasia.
Dialetto della Val San Giacomo (Valle Spluga)
Ancora una volta, ci troviamo di fronte ad una creazione culturale che, se non è esclusiva dei ceti bassi della popolazione, quanto meno investe, per la stragrande maggioranza dei casi, uomini e donne considerati marginali, che, per una ragione o per l’altra, devono sottrarsi allo sguardo indagatore del potere: i malavitosi, certo, e chiunque deve eludere la sorveglianza della polizia, ma anche chi si trova a non avere una fissa dimora, e quindi viene discriminato dagli stanziali: la conflittualità fra i popoli che hanno una casa e quelli che si spostano risale alla lotta per accaparrarsi il favore di Jahvè fra Caino e Abele. Così, parlano in gergo gli zingari, i gitani, i vagabondi, i mendicanti, le prostitute, ma anche i venditori e gli artigiani ambulanti che partivano dalle valli alpine in inverno, quando potevano lasciare la cura della terra alle donne, per raggranellare qualche soldo, e si trovavano momentaneamente fuori casa, ma per le comunità in cui si trovavano a lavorare, erano dei giramondo; i pastori, in ogni parte del pianeta; i minatori, che venivano da fuori; e, oggi, gli immigrati di seconda generazione delle periferie metropolitane francesi, che spostano la sillaba finale delle parole all’inizio, sembra che parlino in maniera normale, ma poi fanno discorsi totalmente incomprensibili per chi non è addestrato all’inversione sillabica, alcuni gruppi di giovani, che si riconoscono fra loro proprio per la capacità di usare questo tipo di linguaggio; i neri statunitensi; i rasta giamaicani… ma si potrebbe continuare all’infinito.
Per l’antropologo, lo studio delle lingue segrete è essenziale, perché il gergo fa parte del “pensiero selvaggio”, di quelle elaborazioni originali e raffinate che investono il campo linguistico, nate all’interno di gruppi umani considerati di basso livello culturale, i quali, al contrario, dimostrano di saper ideare dei mezzi adatti, flessibili (anche il gergo cambia, come, e forse di più, degli idiomi nazionali), poco costosi, per riuscire a muoversi, a lavorare, a trarre il massimo vantaggio col minimo sforzo, in ambienti ostili, discriminanti, razzisti.
La lingua fischiata dei pastori nel paese basco francese
Perfino per quanto riguarda l’uso di molteplici registri linguistici, i 'selvaggi' e le culture popolari europee, possono dare dei punti a coloro che si ritengono civili. La capacità di comporre in rima, e quindi di saper fare poesia, e non solo, di accostare musica e strofe, era comune fra la gente, e non costituiva privilegio di chi aveva ricevuto una formazione particolare, dei musicisti e dei poeti. Oggi, questo sapere antico è sopravvissuto in poche regioni della penisola italiana, per esempio in Sardegna. L’abilità di esprimersi in più idiomi era normale fra la gente delle Alpi, abituata a muoversi al di qua e al di là dei confini degli stati nazionali, anche fra gli illetterati.
Sembrerebbe che queste culture, povere tecnologicamente ed economicamente, e ritenute arretrate da chi misura il progresso sulla base della disponibilità dei mezzi tecnici e delle quantità di oggetti fabbricati, siano invece molto raffinate dal punto di vista linguistico: si può affermare che la lingua, il più immateriale ed astratto fra i sistemi di espressione del pensiero, il meno costoso in termini di dispendio di risorse naturali, perché nelle società a tradizione orale non ha bisogno neanche della carta, e quindi è completamente gratuita, sia stata trasformata, da questi popoli, in una vera e propria forma d’arte? Questa potrebbe essere una buona sfida per l’antropolinguista.