Quella molteplicità illusoria

Il pericolo di una orwelliana omologazione

di Luca Calabrò

Thomas Mann

Thomas Mann, l'autore de «La montagna incantata»

La varietà e la ricchezza della parola si manifestano non solo nella quantità sterminata delle costellazioni di segni, significati e relazioni in cui la parola è immersa, ma anche nel contesto e in relazione agli scopi in cui essa trova la sua attuazione.

Penso alla grande distinzione tra la parola poetica, la parola nella prosa e nel linguaggio comune. La poesia sembra segnata da una sorta di 'elezione' della lingua che agisce a livello più alto e generale anche quando parla del dettaglio. Sembra che la parola poetica abbia un 'peso' diverso.

La parola in generale non abbraccia solo il vasto campo di significati intrinseci ad essa e alle costellazioni sintattiche in cui è immersa, ma anche il campo delle valenze e del peso che la parola assume in relazione al contesto e al luogo in cui è pronunciata. Nella stessa prospettiva si pone la distanza che separa la parola 'sacra' da quella  profana, la parola 'dall’alto' e quella 'dal basso'. La parola sacra - nel senso più ampio di questo termine - può anche essere aforistica, unica, ma si carica di una varietà di significati e risonanze inesprimibili a livello della coscienza ordinaria. D’altro lato la parola 'profana' tende, per legittimarsi, verso la quantità o la ridondanza descrittiva. La parola poetica o sacra si auto-legittima e auto-sostiene mentre la parola della prosa, in generale, cerca appoggi esterni, in una concatenazione senza centro che rende il ritmo di un dissolversi continuo.

Due delle modalità della parola poetica sono comuni alla musica. La prima è il suono esteriore ed interiore. La parola poetica o sacrale è anche suono fonè. Grande, per esempio è stato per questo aspetto il lavoro di Carmelo Bene. Bene operava sullo sfarinamento del senso che lasciava libero spazio alla sensazione fonica e alla modalità di emissione, pensando anche all’uso del microfono, nel senso di amplificazioni della fonè come avveniva con i 'risuonatori' posti nei teatri dell’antica Grecia. La seconda è il ritmo. La prosodia è ritmo e il ritmo è numero. Il numero ha anche una valenza rituale.

 

 

Nel mito indiano, Projapati vince sulla morte scoprendo le relazioni numeriche che legano il tutto sacrificale con la struttura numerico-quantitativa dei versi sacri. Attraverso questa lente interpretativa si può analizzare anche la prosa, ossia laddove prevalga una prosa più 'analitico-descrittiva' o naturalistica, oppure una prosa più poetica. Alcune parole cadono nella prosa come centri di 'risonanza' che segnano il ritmo e il colore della pagina. Penso a certi paesaggi di «Morte a Venezia» o della «Montagna incantata» di Thomas Mann o alle primissime descrizioni di luoghi e storie romane di Pasolini contenute nel raccolto «Squarci di notti romane» che apre il volume «Ali dagli occhi azzurri». La parola è qui evocativa con più ampia espressività e risonanza anche spaziale rispetto ad altri tipi di prosa. La parola della prosa più aperta alla poesia, come anche l’immagine nel 'cinema di poesia' è un’apertura su altri mondi che sospendono il ritmo della quotidianità.

 

Mamma Roma 1962 pasolini

La periferia di «Mamma Roma», 1962, film di Pier Paolo Pasolini

 

Oggi la poesia, anche quella del passato, è letta pochissimo, occupa una nicchia ristretta, sembra che la società non ne abbia bisogno. Forse la parola poetica unita, come spesso anche in passato, con la musica, sopravvive nella canzone d’autore. Ma anche in questo caso, pur con risultati considerevoli, la 'parola poetica' ha perso quella sacralità misteriosa, quella provenire della parola come da altri ondi, che aveva in passato. Dilaga invece in quantità industriale la prosa e in particolare il romanzo. Entrando in una libreria ci viene incontro, quasi in modo minaccioso, una massa sempre nuova di romanzi appena pubblicati. Sembra un incessante rumore di fondo che, come il rumore quotidiano, sfocia nell’indifferenziato. È la realtà di una quotidianità 'normalizzata'. Spesso si tratta di storie, tra le varie eccezioni che sempre ci sono e ci saranno, e storielle appiattite sullo scorrere di un tempo quotidiano che avvolge tutto. È il tempo di un eterno oggi.

La prosa attua così il suo mimetismo schiacciandosi sulla fenomenologia dell’individuo massificato. Vi è un’esaltazione, implicita ed esplicita, della normalità. Normalità che è cosi pervasiva da avere un risvolto inquietante e che rimanda al termine 'normalizzazione' in senso tecnico, ossia alla estromissione da parte di una autorità totalitaria - Toqueville Docet - di ogni forma di dissenso e alterità.

La lingua scritta o parlata, a differenza di forme d’arte che dispongono di campi di maggiore astrazione, come la musica e la pittura, non può prescindere dalla realtà e di quella più contingente del parlante. Ecco quindi che, in una società schiacciata sotto una orwelliana omologazione, le differenziazioni, individuali, sociali, locali ed etniche, sono spinte da una forza maggiore a convergere antropologicamente - spesso indipendentemente dalle sempre più ampie differenze di classe economica - verso un unico tipo 'limite' di individuo. La lingua e la parola come espressioni primarie dell’individuo ovviamente non possono sottrarsi a questa pressione irresistibile e totale. E così se il paesaggio è sotto tutti i punti di vista omologato, anche la varietà di possibili descrizioni di umanità di tipologie individuali - che hanno fatto nel tempo la ricchezza e varietà del romanzo - tendono a convergere come 'limite' ideale verso pochissime tipologie mascherate dalla fantasmagoria della quantità illusoria.

 

Kalevala 1887 Finnish Literature

Kalevala e l'oltretomba, poema epico finlandese, di Elias Lönnrot

 

La società della molteplicità asfittica produce la parola asfittica. Viene da pensare che, in questa tendenza ottundente e anti spirituale - nelle più ampie accezioni di questo termine - la stessa 'forma romanzo', come espressione in passato della vitalità intellettuale delle classi e degli ambienti sociali più creativi e più coscienti della realtà, abbia cessato la sua ragione d’essere. Si dovrebbe tendere verso forme nuove che richiedono dei linguaggi magari non solo verbali oppure al ritorno in forma rinnovata di modalità espressive del passato. Per esempio, nella dozzinalità del quotidiano, si è perso il tono 'epico' dell’esistenza. L’epica è stata l’espressione dei popoli nei millenni: si pensi all’Iliade, al Mahabaharata, al Kalevala ecc. Questo peso della parola epica e sacrale, proprio perchè assolutamente inattuale, suonerebbe oggi come sovversivo. La parola si fa carico del Mondo, della sua realtà e della sua sorte.

La parola dell’oggi è spesso balbettio conformistico di superficie, priva di profondità e di altezza. Se la parola poetica, come si diceva, manifesta, attraverso innumerevoli risonanze, il linguaggio inespressivo e puramente funzionale odierno si distingue per la mancanza totale di risonanze. La risonanza interiore della parola è spazio del corpo e della mente, la mancanza di essa nel linguaggio volgarmente strumentale è il collasso dell’interiorità nel singolo punto dell’essere puramente utilitaristico. Se la parola si fa carico di esprimere il Mondo, il suo collasso si fa carico di esprimere il collasso del Mondo.

 

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