Il vino nell’Antica Grecia

Ne parlavano Omero, Esiodo, Tucidide e Sofocle

di Natale Contini - SECONDA PARTE

pithoi 1920

pithoi - vasi di terracotta di circa 3,5 metri di altezza

Sarà la letteratura classica giunta fino a noi ad aiutarci a tracciare alcune considerazioni sul vino nell’antica Grecia che ampiamente descrive la vitivinicoltura sviscerandola in tutti i suoi aspetti.

Ippocrate (padre della medicina) considerava il vino prodotto nell’isola di Chios come il toccasana per molte malattie. Il vino giovane lo riteneva più adatto a curare la febbre mentre quello scuro (più invecchiato?) e vellutato, più idoneo a combattere i disturbi intestinali. Ad ogni modo il vino era il rimedio per tutti i mali: diuretico, antisettico e per riprendere vigore dopo una malattia. Simpatica questa affermazione sul vino novello: «viene eliminato dalle feci meglio degli altri vini perché più affine al mosto e più nutriente». «Il vino vinoso invece è diuretico e lassativo ed è sempre utile nelle malattie più acute». Provare per credere!

I viticoltori greci - a differenza degli egiziani - non adottavano forme d’allevamento della vite a pergola, cosa che avvenne successivamente in Italia. Le viti erano lasciate libere di scorrere sul suolo, protetto con materiali vari (rami o stuoie) per evitare il contatto diretto del frutto con il terreno.

Questo sistema (obbligatorio nelle isole causa il vento e la mancanza di alberi cui maritare la vite) era sicuramente meno costoso, ma richiedeva un numero elevato di unità lavorative. Ma, allora, la mano d’opera dedita alla coltivazione della vigna (trattandosi di schiavi) era a buon mercato!

Nella stagione estiva si diradava il fogliame, allo scopo di diminuire la traspirazione e per far sì che la luce penetrasse più a fondo favorendo la maturazione dei frutti. In tal modo si otteneva un maggior tenore zuccherino, e di conseguenza vini più alcolici. La vendemmia solitamente avveniva a metà settembre; raccolta in ceste, l’uva veniva portata alla pigiatura, eseguita in conche di legno d’acacia stagionato o in vasche di pietra leggermente inclinate per favorire la colatura del mosto. Una piccola parte del mosto veniva consumata subito, il restante era destinato alla vinificazione. Il mosto veniva inviato alle cantine per la fermentazione in grandi vasi di terracotta (di circa 3,5 metri di altezza e un’apertura di un metro), detti pithoi. Per ridurre la traspirazione, i pithoi venivano interrati profondamente e cosparsi esternamente di resina e pece. Questa tecnica conferiva al vino, tra le altre cose, un aroma particolare.

Dopo sei mesi di permanenza nei pithoi, si procedeva alla filtrazione e al travaso del vino in otri o anfore di terracotta appuntite per permettere la decantazione di eventuale deposito e successivamente veniva commercializzato.

esiodo busto

busto di Esiodo

Nel celebre  «Le opere e i giorni», Esiodo scrive invece che la vendemmia iniziava ai primi d’ottobre e che l’uva veniva dapprima esposta al sole per permettere un calo dell’umidità ed una forte concentrazione aromatica e zuccherina per essere successivamente pigiata. «Quando poi Orione e Sirio sono giunti in mezzo al cielo e l’aurora dalle dita rosa riesce a vedere Arturo, allora, o Perse, raccogli tutti i grappoli d’uva e portali a casa; esponili al sole per dieci giorni e dieci notti, quindi per cinque giorni lasciali nell’ombra, ed al sesto versa nei recipienti il dono di Dioniso ricco di letizia».

In pratica Esiodo suggeriva la tecnica di appassimento in vigna su stuoie di paglia come avviene ancora oggi per molti vini dolci da dessert, in primis lo sherry prodotto a Jerez in Spagna. Da qui quanto scrive Archestrato da Gela (da molti ritenuto il precursore di Epicuro e di coloro che adottarono le sue dottrine sul piacere) autore nel IV secolo a.C. di un «Poema del buongustaio» in cui scrive a proposito di un certo vino di Lesbo: «I suoi riccioli liquidi sono coperti da fiori bianchi». Tutto fa pensare a una descrizione poetica della 'flor' caratteristica dello sherry che permette a questo vino di durare così a lungo oltre che ad avere uno speciale aroma.

La frequenza delle citazioni letterarie e delle illustrazioni artistiche è così elevata da far pensare al vino come a un elemento quasi centrale nella vita e nella cultura degli uomini di quei tempi. Alcuni miti sull’origine della vite e della bevanda che da essa deriva, attribuivano loro caratteristiche dannose e benefiche al tempo stesso. Tra l’altro, il vino era elemento essenziale in uno dei più importanti eventi sociali dell’antica Grecia, il simposio (letteralmente 'bere insieme'), che si svolgeva in una sala, con gli uomini  sdraiati su lettini, mentre le donne sedevano su sedie o ai bordi dei lettini, ai quali veniva servito il vino. Normalmente erano presenti danzatrici e suonatrici di flauto.

 

due giovani si servono vino mescolato ad acqua da un cratere vi secolo ac ashmolean museum oxford 5c6eaf84 800x360

cratere

 

Il vino non veniva consumato puro, bensì mescolato ad acqua, era contenuto nel 'cratere', cioè il vaso comune, l’oggetto in cui avveniva materialmente la diluizione con l’acqua, posto al centro della sala. Il delicato compito della diluizione spettava al 'simposiarca', o 'arkante' (antesignano del sommelier) il maestro di cerimonia, che aveva anche il compito di regolare lo svolgimento del rito, stabilendo il momento in cui si doveva bere il vino e in che quantità. Il simposio era un evento della vita sociale greca in cui persone della stessa estrazione si riunivano in un momento di vita consociata allo scopo di scambiarsi idee e opinioni riguardo a vari argomenti, e un luogo di riflessione dove si cercava di comprendere meglio le pratiche sociali greche, dove si sviluppava la memoria collettiva, poetica e visiva, accompagnando le discussioni con cibo e vino. In quanto rivelatore di verità, il vino veniva anche concepito come strumento pedagogico: secondo Platone, si trattava di una sorta di esperimento che permetteva di conoscere veramente gli altri, rendendo così possibile il miglioramento della loro natura. Il proverbio «in vino veritas» è stato attribuito al poeta greco Alceo, e si riferiva proprio all’azione del vino quale forza liberatrice da ogni falso ritegno a dire la nuda verità, senza infingimento alcuno.

A proposito delle quantità di vino da bere durante i simposi i pareri sono piuttosto discordanti, per non dire diametralmente opposti. Da una parte il puritano Platone che teorizzava la morigeratezza e la possibilità di bere vino solo dopo i quarant’anni! Ma Socrate la pensava ben diversamente: «Il vino ravviva la nostra gioia e alimenta la fiamma della vita quando vacilla. Se beviamo con temperanza e in piccoli sorsi il vino stilla nei nostri polmoni come la più dolce rugiada del mattino». Mentre Aristofane (il commediografo) attribuisce a Demostene questa affermazione: «Perché, vedete, l’uomo quando beve, sta bene, si arricchisce, fa migliori affari e vince le cause, fa felice se stesso, e fa del bene ai suoi amici».

Sempre a proposito delle quantità di vino da bere sono attribuite al saggio Eubulus (375 a.C.) queste affermazioni: «Tre tazze io preparo per gli uomini temperanti: una per la salute, che essi vuotano per prima, la seconda per l’amore e il piacere, la terza per il sonno. Quando questa tazza è vuota gli ospiti saggi vanno a casa».

Il vino prodotto nell’antica Grecia era piuttosto diverso da quello che siamo soliti apprezzare ai giorni nostri. Seguendo le regole dettate da Esiodo era dolce e con una forte concentrazione alcolica. Da qui la necessità di diluirlo per poterlo bere in abbondanza. Inoltre non va dimenticato che secondo la religione greca solo agli dei era permesso bere vino puro. Se qualche mortale avesse disobbedito gli dei lo avrebbero fatto impazzire. Ai vini venivano perciò aggiunti aromi, spezie, acqua di mare, miele e resina. I diluenti servivano anche a coprire il sapore acido di certi vini, ma anche a migliorare la conservabilità nel tempo della bevanda evitandone l’ossidazione. Normalmente i vini greci erano classificati come bianchi, neri o rossi, o mogano.

Pare che i Greci ponessero particolare attenzione agli aromi del vino, definiti anche con il termine 'floreale' facendo un riferimento esplicito alla violetta e alla rosa. Come già detto il gusto preferito a quei tempi era il dolce; tuttavia si hanno anche notizie di vini prodotti con uve acerbe e con un’acidità rilevante, così come di vini secchi, sia bianchi che rossi, a conferma che l’enologia dell’antica Grecia era piuttosto articolata.

L’usanza di bere il vino era diffusa per ovvie ragioni delle classi ricche e potenti. In ogni caso era la bevanda preferita dalla maggioranza della popolazione a tutti i livelli sociali. Il vino vero era privilegio dei ricchi mentre le classi meno abbienti si accontentavano di un prodotto più scadente ottenuto da acqua aggiunta alle vinacce.

Il vino era considerato una bevanda sacra alla quale si attribuivano un’importanza e una dignità assai elevata: reperti archeologici precedenti alla civiltà Micenea testimoniano che il vino era già a quei tempi (oltre il 1600 a.C.) utilizzato come bevanda per scopi rituali e religiosi.

Esso da subito divenne simbolo di amicizia tra gli uomini, come tra questi e gli dei, e proprio in tal senso può essere considerato una delle prime sostanze naturali usate a scopi religiosi.

Sarcophagus dyonisos

scene 'dionisiache'

La mitologia greca riconosceva - già nel periodo miceneo - come dio del vino e della vite, della vegetazione della fertilità e della procreazione, Dioniso, che rivelò agli uomini i segreti della produzione della bevanda. La leggenda attribuisce a Dioniso la scoperta e la diffusione del vino ovunque nel mondo. Una volta compiuta la sua missione  ascese al cielo per sedere alla destra di Zeus e divenire così uno dei Dodici Grandi. Qualcosa di molto simile ai racconti evangelici sull’ascensione di Cristo. Il vino come simbolo di sangue e redenzione collega inoltre il mito greco alla religione cristiana. In suo onore si celebravano le cosiddette 'orge dionisiache', delle vere e proprie feste dedicate al nettare d’uva.

Infine meritano una nota le leggi sul vino che non potevano mancare vista l’importanza attribuita alla bevanda di Dioniso. Quasi tutte le città stabilirono precise leggi volte a regolamentarne l’uso. Molto interessanti ad esempio le iscrizioni rinvenute nell’isola di Thassos (Taso). Esse illustrano dettagliatamente alcune normative piuttosto ferree relative alla vendita e all’acquisto del vino. Non si potevano vendere anfore con il tappo non perfettamente sigillato, non si poteva commerciare vino sfuso (quindi niente 'vino della casa' tanto caro a certi ristoratori), c’era il periodo di affinamento obbligatorio, inoltre le navi di Taso non potevano trasportare vino straniero. In poche parole i controlli previsti dai disciplinari delle DOC e DOCG non li abbiamo di sicuro inventati noi!

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