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Ma il Green è veramente verde?
L'impegno ambientale spesso è falsa filosofia d'impresa
Nel mondo globale informato, ormai il consumatore sta diventando ogni giorno più attento all’ecologia, all’ambiente e alla sostenibilità nelle sue scelte e nei suoi acquisti.
Ci è stato spiegato ormai in ogni modo come questi temi siano importanti e quanto il contributo di ognuno di noi, anche nelle più piccole scelte, sia importante per il raggiungimento dell’obiettivo finale di un miglioramento della qualità della vita di tutti e del pianeta. Sappiamo che ci sono temi che non possono essere rinviati o demandati ad altri e quindi è sempre più forte la consapevolezza dei più, che una grande azione nasce da tante piccole azioni. Spesso quindi si vedono cittadini che diventano consumatori attenti e consapevoli di quello che fanno e di quello che comprano. Ovviamente questa consapevolezza dei consumatori non è passata inosservata alle aziende, per cui sempre più spesso vediamo comparire sugli scaffali del supermercato prodotti ecologici, sostenibili, a basso impatto ambientale o più semplicemente “Green”.
Se si fa un giro in un normale supermercato si vedranno contenitori a basso impatto, detersivi che inquinano meno, fazzoletti di carta riciclata e sostenibile, prodotti freschi a chilometro zero, ecc. Qualche anno fa questi prodotti erano di nicchia, mentre oggi il numero è sempre più in aumento. Ovviamente per le aziende questo aspetto Green è di particolare importanza per il marketing e per la promozione dei loro prodotti per cui se qualche tempo fa le diciture erano scritte in piccolo sul retro dell’etichetta, oggi sono nella parte frontale, in bella vista e molto spesso accompagnate da elementi in verde che ricordano l’idea di Green (piante, foglie, fiori, scritte in verde, paesaggi bucolici e molto altro).
A un osservatore poco attento questo fiorire di prodotti ecologici potrebbe far pensare a un elemento esclusivamente positivo che porta significativi risultati per l’ambiente, ma purtroppo c’è un'insidia che incombe sul mercato e si chiama Greenwashing. Greenwashing è un neologismo che indica le strategie di comunicazione di alcune aziende, associazioni, organizzazioni o istituzioni politiche, che mettono in rilievo alcuni (spesso piccoli) aspetti ambientalmente positivi per distogliere l’attenzione dei consumatori e dell’opinione pubblica, dagli effetti negativi sull’ambiente delle loro attività o dei loro prodotti. L’introduzione di questo termine viene fatta risalire all’ambientalista statunitense Jay Westerveld, che per primo lo impiegò nel 1986. Il termine fu coniato per stigmatizzare la pratica di alcune catene di alberghi che per ridurre i costi di lavaggio della biancheria avevano introdotto nelle camere dei messaggi per i clienti in cui si chiedeva di ridurre il consumo degli stessi.
La polemica dell’ambientalista si fondava sul fatto che gli alberghi non presentavano il fatto come realmente era, una questione economica, ma come un’azione che l’azienda stessa faceva esclusivamente per ridurre l’impatto ambientale. Greenwashing potrebbe essere tradotto in italiano con l’espressione “dare una mano di verde”, nel senso che per nascondere qualcosa che non si vuol far vedere si camuffano le azioni o i prodotti di color verde per far credere al cliente che lo si stia facendo per la propria coscienza ambientalista.
Esistono numerosi esempi di questa pratica:
- Alberghi che si definiscono verdi per la pratica del riutilizzo di asciugamani e lenzuola, ma che poi non si occupano minimamente di risparmiare acqua ed energia in altre situazioni quali cucine, irrigazione, auto o altro.
- Società petrolifere che non si occupano della questione ambientale, ma che poi, di fronte a un disastro ambientale quali la fuoriuscita di petrolio o un’esplosione, fanno campagne pubblicitarie su una linea di prodotto a basso impatto che stanno sviluppando.
- Banche che non seguono l'aspetto ambientale, ma poi fanno grandi campagne pubblicitarie per sottolineare al cliente che la gestione online del conto porta alla riduzione della carta stampata.
- Catene alimentari con grandissimi consumi di energia che non si occupano dell’efficientamento degli impianti, ma fanno promozioni pubblicitarie in pompa magna per la sostituzione dei sacchetti in plastica con sacchetti bio.
E come questi ce ne sarebbero numerosi altri. Va sottolineato che il problema non sono le azioni intraprese, che sono sicuramente positive, ma che si fanno grandi campagne pubblicitarie su azioni singole per guadagnarsi un’immagine Green e poi non ci si occupa di tutte le rimanenti problematiche dell’azienda. Spesso poi la sproporzione degli impatti è significativa, per cui quelli negativi sono molto superiori a quelli positivi, ma la campagna mediatica si focalizza solo su ciò che fa guadagnare un’immagine Green e positiva.
La quantità di informazioni che circolano sulla rete non permettono sempre di evidenziare se le notizie sono corrette o se sono manipolate ad uso e consumo dei cittadini. Questo approccio purtroppo porta o a credere a informazioni completamente inventate oppure a creare una sorta di malfidenza diffusa nelle persone, per cui non si crede più a nulla. Questo tipo di approccio porta a svilire l'immagine dei soggetti che veramente fanno dell’impegno ambientale una nuova filosofia d'impresa e a tendere nel tempo a sminuire i veri processi virtuosi fino a farli sparire perché non hanno riscontro.
Un’indagine dell’Unione Europea evidenzia che il 75% delle persone sono favorevoli all’acquisto di prodotti verdi, ma solo il 17% l’ha fatto effettivamente nell’ultimo mese a causa di costi elevati dei prodotti oppure di sfiducia verso l’informazione ambientale. È innegabile che può succedere che le aziende si approccino a una gestione più sostenibile anche per ragioni di immagine ed economiche, ma è importante che questa gestione sostenibile sia vera e soprattutto a 360 gradi.
In merito al Greenwashing per fortuna si stanno mobilitando gruppi o associazioni per fare chiarezza sulla vera anima ambientale delle aziende. Esistono infatti dei siti, per esempio, dove si può verificare se un’azienda sta veramente intraprendendo una filosofia Green o se è solo Greenwashing, quali per esempio www.greenwashingindex.com oppure www.sinsofgreenwashing.com, ma ce ne sono altri. Su questi siti si possono trovare molte informazioni sui prodotti che fanno veramente sostenibilità ambientale e su quelli che fanno Greenwashing. Sul sito sinsofgreenwashing.com si può trovare anche una serie di tool e giochi per imparare meglio cosa è il Greenwashing e come stanarlo.
Anche l’Unione Europea si sta muovendo per fare chiarezza sulle etichettature e sta promuovendo da anni un’etichettatura verde unica in Europa che si basa su la Product Environmental Footprint. L’idea è di usare un metodo unico e condiviso per valutare gli impatti ambientali dei prodotti che permetta di avere messaggi chiari e soprattutto corretti. In questo periodo sono in valutazione alcune tipologie di prodotti per poter definire degli standard.
Per evitare però che dopo quanto detto la conclusione sia: “Beh, allora è tutto finto per cui lascio perdere”, vediamo alcuni modi semplici per riconoscere il Greenwashing:
- Leggete sempre quello che vi scrivono sulle etichette. Quando indicano Green, Ecosostenibile, Sostenibile o altro, verificate sempre se viene indicato perché si definiscono così.
- Verificate se il prodotto viene definito Green per uno specifico dettaglio o per un sistema più ampio. Non basta per esempio fare un prodotto usando carta riciclata per dire che l’azienda è sostenibile. Ci sono infinite altre fasi di lavorazione che possono essere a elevato impatto.
- Verificate sempre che sia indicato o direttamente sulle etichette o sul sito di supporto perché si definiscono Green e se questa caratteristica è stata certificata da un ente terzo. Un’azienda può definirsi Green perché produce un materiale che fa ridurre i consumi ai suoi clienti, ma allo stesso tempo usare per la sua lavorazione elevate quantità di energia o risorse naturali. Altra cosa è se un ente terzo serio ha verificato tutte le fasi di lavorazione dell’azienda.
- Fare attenzione alle definizioni vaghe come “Naturale” “Ecologico” “Green” o altro. Anche il petrolio è naturale!
- Fare attenzione alle diciture inutili. Dire per esempio che un prodotto è senza CFC è inutile, perché il CFC è vietato dalla legge per l’impatto sul buco dell’ozono da anni.
- Quando acquistate prodotti con contenitori definiti ecologici non sentitevi sollevati pensando che a questo punto non avete creato impatti ambientali. Una bottiglia in plastica che ha ridotto del 25% la quantità di plastica va sicuramente bene, ma meglio ancora sarebbe se voi abbatteste la sua plastica anche del rimanente 75% usando l’acqua del rubinetto. Riutilizzare le borse per la spesa molte volte è sempre meglio che buttarle ogni volta pensando che tanto sono state comprate in materiale biodegradabile. Per quanto a minore impatto, anche la loro produzione incide.
- Prediligere prodotti nei quali la sostenibilità è stata verificata e certificata da enti terzi verificabili e controllabili. Purtroppo anche in questo campo si moltiplicano loghi e marchi che danno l’impressione che siano di un ente mentre sono solo inventate dall’azienda produttrice. Preferite sempre aziende terze ed estranee alle aziende. I marchi più sicuri sono quelli che si basano sulla valutazione del LCA (Analisi del Ciclo di Vita) del prodotto o del servizio. Riporto di seguito uno schema dei principali marchi presenti in commercio:
Oltre a questi è utile ricercare sui prodotti il marchio Ecolabel. Il marchio è istituito e verificato a livello europeo su una serie di prodotti che è possibile trovare sul sito www.ecolabel.eu. Il marchio nasce proprio con l’intento di verificare in modo approfondito le caratteristiche ambientali dei prodotti in modo oggettivo.
Infine l’ultimo consiglio:
Non fermatevi mai alla prima impressione ma leggete le etichette, informatevi e fatevi domande!