I mostri
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Il Cannibale
Per qualcuno l’importante è solo vincere
di Franco Ferramini - PRIMA PARTE
Monumento a Eddy Merckx, Stavelot (Belgio)
La storia dello sport è piena di grandi atleti che hanno qualche 'imperfezione' più o meno grande nella loro carriera. Spesso accade che sportivi di grande fama incappino in storie di doping, a torto o scagionati a ragione.
Può invece succedere che si circondino di persone inadeguate, attente più allo sfruttamento economico della risorsa che alla salute fisica e mentale del malcapitato campione. Essere ad alti livelli, in tutti i campi ma a maggior ragione nello sport e nello spettacolo, comporta spesso entrare in un vortice senza tregua dal quale è difficile restare a galla, mantenendo la propria umanità o la semplicità degli inizi carriera. Ed è così che molte vicende sportive finiscono senza gloria, alla ricerca dei fasti di passati trascorsi sbiaditi e senza più senso.
I mass media mantengono la loro immagine, magnificano le gesta passate, magari sfruttando ancora le loro vecchie imprese. Qualcuno ci scrive un libro o ci gira un film, ma la dannazione per gli errori commessi rimane e quando si parla di loro non si può mai dimenticare il lato oscuro della loro vita. Rimangono magari ancora idoli popolari, ma spesso ci si pone la domanda: «Che esempio possono aver dato ai giovani?».
Non voglio far nomi. Sarebbero tanti e ognuno di noi può ricordare qualcuno e stilare un elenco. Ci sono stati invece, ci sono ancora e sono tanti, campioni dello sport per i quali è difficile trovare episodi controversi nella loro carriera. Può essere che qualcosa di moralmente condannabile sia accaduto nella loro vita, piccolissimi episodi totalmente cancellati dalla grandiosità dei loro trionfi; anche se è spesso difficile trovare nella loro perfezione qualcosa di 'umano'. Bisogna proprio andare per il sottile per cercare in loro aspetti negativi. Li definirei semplicemente «mostri di bravura».
Se un difetto in loro si può trovare è forse quello di rendere completamente inutile il detto di De Coubertin «L’importante è partecipare». Per questi 'mostri' l’importante è sempre stato vincere, con mezzi legali ma a tutti i costi. Mostri di bravura e di completezza sportiva. Uno di questi è indubitabilmente Eddy Merckx. Il soprannome più famoso di questo immenso campione di ciclismo, per certi aspetti il più grande di tutti, è il «Cannibale».
Cannibale, inteso nel senso che Merckx rappresentò negli anni dal 1965 al 1978 l’agonismo puro, quello di chi non ci sta a perdere neanche la più insignificante gara di paese o sfida tra amici, senza usare alcun altro mezzo che la propria maestria e tenacia nell’affrontare le competizioni. Edouard Luis Joseph Merckx nacque a Meesnsel-Kiezegem, in Belgio, il 17 giugno 1945. Sin da ragazzo Eddy dimostra una vitalità fuori dal comune. A lui appartengono coraggio, destrezza, curiosità; è quello che si potrebbe definire un 'ragazzo iperattivo'. Avrà modo nella sua futura, lunga carriera di ciclista di sfogarla tutta quella sua energia.
Nell’anno della prima vittoria di rilievo di Eddy, il 1966, del suo primo trionfo alla Milano-Sanremo, un solo re regnava sovrano e autoritario nel ciclismo belga e mondiale: Rick Van Looy. Come tutti i dominatori autoritari in decadenza, Van Looy capì chi sarebbe stato il suo successore, ma lo ostacolò in tutti i modi; dagli scherni conviviali ai poco sportivi boicottaggi all’interno di alcune gare, rappresentava ormai la figura di un anziano campione a fine carriera che si ostinava a sfruttare gli ultimi guizzi della propria classe per tentare di prolungare un regno incontrastato che durava da molti anni. Ma stava nascendo un nuovo astro del ciclismo di tutti i tempi. Impossibile combattere contro il destino ineluttabile della storia.
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[sarà pubblicata l' 11 febbraio 2022]