Il benessere
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Una Belle èpoque di massa
Come il cinema ha raccontato gli anni beat(i) del miracolo economico
di Ivan Mambretti
Satyricon di Federico Fellini"Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria". Così Dante nel canto di Paolo e Francesca. Parole tristi che nell'attuale periodo di crisi riflettono bene lo stato d'animo di chi, ormai su d'età, si accinge a ricordare gli anni del boom economico. Altri tempi, altre storie, altre aspirazioni, altre emozioni. I "favolosi" Sessanta, in realtà, prendono il via un po' prima, nel 1958 e dintorni, appena dopo l'irruzione in Europa di quell'elettrizzante big bang musicale chiamato rock and roll, che con le successive varianti (shake, twist, surf, beat ecc.) farà da colonna sonora alle esperienze di vita di coloro che Giordana, in omaggio a Pasolini, chiamerà poi "la meglio gioventù".
È una fase transitoria. Si passa dalla civiltà agricola fatta di poche cose alle lusinghe del progresso urbano-industriale. Il "Financial Times" elogia la solidità della lira, alla quale si aggiunge una nuova forma di ricchezza: il tempo libero, che pone il problema del suo buon utilizzo. Le mode d'oltreoceano colonizzano l'immaginario dei nostri ragazzi, che indossano bluse nere e blue-jeans con risvolto, tengono alzato il colletto delle camicie, masticano chewing-gum e si imbrillantinano il ciuffo alla Elvis.
In Italia La dolce vita è il chiassoso affresco che apre la nuova età dell'oro, battezzata nella fontana di Trevi col bagno notturno di Anita Ekberg e Marcello Mastroianni. In passerella la Roma gaudente di via Veneto e dei suoi night, di principi e re, di paparazzi e festini osè, come quello che finisce all'alba sulla spiaggia di Fregene. Qui una biondina dolce e pulita come la virtù saluta da lontano un intorbidito Marcello che non sa coglierne il positivo messaggio, mentre alcuni pescatori trascinano a riva la carcassa di un pesce dalle fattezze mostruose...
Il nostro cinema sfrutta fenomeni e fermenti: la motorizzazione (Il vigile), la corsa all'impiego (Il posto), la smania di vivere sopra le righe (La cambiale), la speculazione edilizia (Le mani sulla città). Nuovi totem di prosperità sono l'automobile e la televisione. La pubblicità si fa invasiva e i consigli di "Carosello" sono legge. Gli esodi estivi e festivi diventano un rito: nessuno rinuncia alla gita fuori porta (Il sorpasso) o alla tintarella balneare (Leoni al sole). Trionfa la canzonetta e da Sanremo Modugno ci invita a "volare". Paoli, Endrigo, De Andrè, Battisti: fiorisce la scuola dei cantautori. Sono in vendita i primi 45 giri di Mina e Celentano e si girano i musicarelli: "Io voglio per me le tue carezze..." gorgheggia in divisa militare Gianni Morandi, cantante per adolescenti sognatrici e attore per caso. Si entra nell'era Beatles ed è delirio universale. I baronetti interpretano persino film ispirati alle loro hit (A Hard Day's Night e Help!). Fra i maschi si diffonde la moda dei capelli a caschetto. Mary Quant, stilista di Carnaby Street che lavora all'insegna del "vestire spogliando", lancia la minigonna e le ginocchia delle ragazze diventano l'oggetto del desiderio. L'Inghilterra esporta l'Agente 007 con licenza di uccidere e annesso imperituro tormentone: "Il mio nome è Bond, James Bond". Sean Connery strabuzza gli occhi alla vista di Ursula Andress, icona in bikini bianco che esce dal mare come una Venere dei nuovi tempi.
L'attrice Ursula Andress nel film di James BondSi amplia la partecipazione alla gestione della cosa pubblica ed entra nel linguaggio comune l'espressione "di massa": scuola di massa, sport di massa, cultura di massa, informazione di massa (o mass media).
La Mondadori lancia i libri tascabili evocando i fasti del cinema. Li chiama infatti Oscar e il n. 1, Addio alle armi (solo 350 lire), porta in copertina il disegno di Rock Hudson interprete, anni addietro, di un adattamento per lo schermo del capolavoro di Hemingway. I giovani si accostano così alla grande letteratura mondiale che la scuola non ha il tempo di insegnare. Intanto le inadeguatezze dell'istruzione vengono rilevate da don Lorenzo Milani nella "Lettera a una professoressa", che anticipa la contestazione studentesca e darà linfa al cinema non solo italiano.
Fra le morti eccellenti i fratelli Kennedy, Martin Luther King, Giovanni XXIII. Il "papa buono" conquista il cuore di un intellettuale laico come Pasolini, che gli dedica Il Vangelo secondo Matteo.
Diverte la commedia all'italiana. Leggera e al tempo stesso amara, ci instilla il dubbio che boom e bluff siano due facce della stessa medaglia. Maestri quali Monicelli, Comencini, Germi e Risi scavano nel nostro costume in cerca di pregiudizi, peccati e debolezze da mettere alla berlina, come la furfanteria da strapazzo di I soliti ignoti, l'irriducibile provincialismo di Signore & signori, arcaici tabù come il delitto d'onore in Divorzio all'italiana e Sedotta e abbandonata.
Mentre il cinema francese, grazie a Truffaut, Godard e Resnais, si sforza di tenere alta la bandiera della Nouvelle Vague e a Hollywood vivacchiano i divi del passato, il cinema italiano valorizza talenti freschi come il sornione Alberto Sordi (Il dentone), lo spavaldo Vittorio Gassman (L'armata Brancaleone), il meschino Ugo Tognazzi (Il mantenuto), il frustrato Nino Manfredi (L'impiegato). Ma è anche l'ora del riscatto rosa, con attrici sull'orlo di inattesi consensi. Mentre la sventurata Marilyn, del decennio, riesce a vedere solo gli albori, continua la popolarità di collaudate star americane come la formosetta Liz Taylor (Venere in visone), quel grissino di Audrey Hepburn (Colazione da Tiffany) e la nostra super-sexy cugina d'oltralpe Brigitte Bardot (La ragazza del peccato). Da noi è il momento di Monica Vitti (musa di Antonioni), Stefania Sandrelli (Io la conoscevo bene), Catherine Spaak (La voglia matta), Claudia Cardinale (La ragazza con la valigia... e di Bube). Belle e rampanti, rimpiazzano le obsolete maggiorate fisiche alla Lollobrigida. Resiste solo Sophia Loren, che vince addirittura l'Oscar per la sua sofferta performance in La ciociara, pellicola di un filone particolarmente in voga, quello che rievoca la guerra e la Resistenza: ora che non siamo più povera gente, i nostri registi rivisitano a pancia piena le sofferenze vissute da loro stessi (Una vita difficile) o dai loro padri (La grande guerra). Lo fanno in termini di aperta condanna, ma con maggiore distacco emotivo (La lunga notte del '43) e spesso con ironia (La marcia su Roma). Il bianco e nero, ancora prevalente, trasforma in semi-documentari due film "isolani": Salvatore Giuliano e Banditi a Orgosolo. A mettere il dito nella piaga di un fenomeno sottovalutato qual è la migrazione interna ci pensa Visconti, che con Rocco e i suoi fratelli racconta in toni da tragedia greca il disagio di una famiglia del sud catapultata in quel mondo "altro" chiamato Milano. Rocco è Alain Delon, antesignano dei bei tenebrosi alla Tomas Milian (I delfini).
Gli spettatori di bocca buona si sganasciano con le farse di Franchi e Ingrassia, mentre i buongustai accolgono con favore gli spaghetti-western, colpo di genio di Sergio Leone. La sua "trilogia del dollaro" ambisce a prendere il posto del glorioso ma languente western classico, che dopo I magnifici sette volge al crepuscolo. Da oltre Atlantico sbarcano ora i kolossal in costume (Ben Hur, Spartacus, Cleopatra) ed è curioso che gli americani vogliano girare a Cinecittà o nei pressi di Roma scene madri come la leggendaria corsa delle quadrighe di Ben Hur. Sempre Hollywood ci invia due perle del musical: West Side Story e My Fair Lady. Si setacciano con fortuna anche best-seller letterari quali Il gattopardo di Tomasi di Lampedusa diretto da Visconti, Il dottor Zivago di Pasternak realizzato da David Lean e Lolita dell'accoppiata Nabokov-Kubrick.
Dottor Zivago di David LeanAlle superpotenze Usa e Urss, impegnate nel cimento spaziale e nella "guerra fredda", proprio Stanley Kubrick risponde col sarcastico Il dottor Stranamore, ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba.
Intanto le contraddizioni di uno sviluppo incontrollato si accentuano e le tele tagliate di Lucio Fontana diventano l'emblema di latenti lacerazioni sociali. Il grido di dolore dei giovani si leva per denunciare le ingiustizie del mondo e invocare una rinnovata moralità. Essi guardano con simpatia alla voglia di indipendenza dei Paesi africani (La battaglia di Algeri) e dell'America Latina (il cinema di Glauber Rocha). Pasolini, in Accattone, racconta il calvario di un borgataro romano e Bellocchio, in I pugni in tasca, descrive la decadenza del ceto borghese preannunciando un tema caro al Sessantotto: l'ipocrisia familiare, malcelata dietro un perbenismo di facciata. Insomma, la rivolta è alle porte.
Chi ha scritto queste poche note ha vissuto una duplice coincidenza: è stato adolescente nel periodo scanzonato del decennio ed era all'università nel Sessantotto. Ha cioè assistito al passaggio dal benessere economico al malessere ideologico, quando la gaia ribellione delle chitarre e dei capelloni imboccava la via del serioso impegno civile. Tante le domande dei figli dei fiori ai padri, ma poche le risposte: "the answer is blowing in the wind" cantava, malinconico, Bob Dylan. Il raduno hippy di Woodstock tracciava un solco fra i Sessanta e i Settanta, fra illusioni e delusioni, fra mito e realtà. Nel mirino l'America di "Nixon boia" e la "sporca guerra" del Vietnam. Nuovi idoli non erano più solo attori e cantanti, ma rivoluzionari, guerriglieri, pensatori d'assalto ("Che" Guevara, Mao, Ho-Chi-Minh, Marcuse), mentre il cinema americano spianava il terreno agli on-the-road (Easy Rider) e il goffo Dustin Hoffman di Il laureato si imponeva come anti-eroe, in contrasto con la tradizione. L'allegria si mutava in rabbia e in Italia la rabbia ci indirizzata verso gli anni di piombo. Ma questa è tutta un'altra storia.
Accattone, di Pier Paolo PasoliniChe profeta quel Fellini! Aveva capito tutto sin dall'inizio. Gran cantore della Roma bene, ecco che col senno di poi il suo mostro in riva al mare altro non era che il simbolo delle nostre inquietudini esistenziali, un atto d'accusa verso una classe dirigente priva di progettualità e lungimiranza. Non è un caso che alla svolta del decennio sia stato ancora lui, Fellini, a riproporci col Satyricon un'altra "dolce vita", parimenti orgiastica e dissoluta ma stavolta permeata da un acre odore di marcio.
"I have a dream" annunciava al mondo Martin Luther King prima di essere ammazzato. Aveva un sogno, sì. Ma a sognare erano in molti, e purtroppo il Sessantotto è stato per tutti un brusco risveglio. La società dei consumi, esasperando la corsa agli sprechi e il culto dell'effimero, aveva provocato un generale fallimento. "La mia generazione ha perso" diceva il povero Giorgio Gaber.
Eppure qualche seme, qua e là, era stato gettato...