Il benessere

Narciso e Boccadoro

Hermann Hesse tra Apollineo e Dionisiaco

a cura di Nadia Mainetti

hesse-hermann

Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi - Gv. 8, 32.

Leggere Hermann Hesse significa mettersi in discussione e lasciarsi prima catturare e poi scuotere dalle contraddizioni e dalle sofferenze più laceranti, le nostre e le sue. Significa accogliere uno scrittore che, perseguitato dal proprio "sottosuolo", subisce uno squarcio lacerante - del tutto inatteso - che straccia l'equilibrio del suo essere e si impossessa della scena. Un dolore inatteso si leva altissimo nel suo cielo interiore.

Come una coltellata, interrompe il respiro, perfino la vista e l'udito, pervade il suo essere per intero, impadronendosi di ogni suo pensiero, sentimento, desiderio e capacità. No, non è il suo corpo a gridare così forte, è un grido straziante che proviene dall'interno della psiche, da ognuno dei suoi neuroni, che si sono destati tutti assieme. Prima avvisaglia di un acre e sordo dolore che torna a ricordargli quanto egli sia incompatibile con il mondo che lo circonda, alieno da ogni cosa, perennemente straniero in patria, ma - proprio per questo - deciso a sondare la realtà fin nel profondo, determinato a serrare d'assedio il reale per costringerlo e sputare tutti i meccanismi più inafferrabili, a consegnargli tutti i suoi schemi, tutte le dinamiche di funzionamento. Perché ci deve pur essere una ragione per cui egli è così diverso da ciò che lo circonda, forse più di una, anzi, sì, molte dannate ragioni, tutte da investigare, analizzare, e infine cogliere, per afferrare con rabbia la verità. Solo allora potrà godere di un poco di sollievo, solo allora potrà contemplare, nelle proprie mani coperte di fango e di sangue, il pallido rilucere di una piccola meravigliosa perla di realtà. La sua verità. La sua creatura. L'unico orizzonte che gli regali il senso del suo essere, l'unica volta celeste sotto alla quale si senta libero di respirare e, finalmente, star bene. Star bene. Ben-essere. Essere se stessi in equilibrio e in pace. La pace regalata dalla contemplazione dell'opera d'arte appena terminata, dalla consapevolezza di aver raggiunto il sublime. Il senso della sua vita. Finalmente.
Per Hermann Hesse (1877-1962, premio Nobel per la letteratura nel 1946) il senso di una vita intera si concentra nell'atto della creazione artistica. La ricerca incessante di uno scrittore che è tale solo in quanto filosofo. Artista non tanto perché pittore, poeta e romanziere, ma soprattutto in quanto nevrotico. Freud, infatti, rimarca: "l'artista è un nevrotico, è colui che, non potendo realizzare le sue aspirazioni nella realtà, si fabbrica una realtà artificiale corrispondente ai suoi bisogni e di cui è perfettamente padrone, ovvero l'opera d'arte".
Filosofo perché "la sua natura lo spinge ad approvare più il divenire che l'essere, lo spinge a non realizzarsi nel presente, lo spinge a non accettare la realtà presente..." anche se "chi cerca veramente, chi ha come unica meta il trovare, chi è veramente alieno a qualsiasi forma di ipocrisia...non può accogliere nessuna dottrina''. Filosofo - in quanto completamente dedito, nella sua opera - alla ricerca incessante della Verità, posseduto - potremmo dire - da un'autentica pulsione in questo senso, e più oltre, verso la necessaria integrazione dei contrasti più laceranti, una vera "quête du Graal", pungolato dall'ansia di trovare la verità su se stesso e sul mondo. Esigenza di verità e di assoluto.
In questa faticosa investigazione della realtà, che nasce dal dolore, dalla debolezza, dalla consapevolezza della propria incompatibilità con il mondo, dalle sue laceranti sofferenze personali, dalla sua instabilità emotiva, Hermann Hesse trova il senso della libertà dell'essere umano: libertà di scoprire se stesso, di realizzare il proprio ruolo nel mondo, di non omologarsi. La sua profondità di pensiero, la sua sensibilità, la sua integrità, lo spingono a diventare il cantore della libertà individuale.
Le sue moltissime opere hanno fatto scuola in questa direzione - pensiamo soltanto all'impatto che la lettura di "Siddartha" ebbe sul movimento pacifista - e rappresentano una originalissima, complessa, strutturata e sofferta riedizione del più classico degli insegnamenti della saggezza e della filosofia occidentali : Γνῶθι σεαυτόν1- conosci te stesso.
Molti e bellissimi i suoi romanzi e racconti, ma forse quello che centra direttamente il bersaglio gettandoci del vivo di questa dinamica - la ricerca della felicità che si compie attraverso la dolorosa analisi della verità - è "Narciso e Boccadoro" 2
narciso boccadoroQuesto straordinario romanzo, ambientato nel medioevo tedesco, ci presenta la singolare vicenda dell'amicizia tra due giovani, diversissimi tra loro, ma speculari e complementari, che sperimentano
nell'incontro con l'altro (che è anche l'altro da sé) il confronto con la diversità, che non si profila, però, come ostacolo, o come negazione dell'identità propria; ma come stimolo per una sua migliore strutturazione, invito a superare le frizioni apparenti per integrarle in una nuova sintesi, per cogliere una conoscenza più profonda di sé e del mondo, per conquistare una verità più complessa.
"Non è il nostro compito quello d'avvicinarci, così come non s'avvicinano fra loro il sole e la luna, o il mare e la terra. Noi due, caro amico, siamo il sole e la luna, siamo il mare e la terra. La nostra meta non è di trasformarci l'uno nell'altro, ma di conoscerci l'un l'altro e d'imparare a vedere e a rispettare nell'altro ciò ch'egli è: il nostro opposto e il nostro complemento."
Incontriamo quindi Narciso, giovane monaco diligente, dedito alla contemplazione, amante della lingua greca e delle scienze, tanto brillante da essere già, nonostante la sua giovane età, assistente di greco nella scuola del monastero, dove un giorno arriva un nuovo allievo, Boccadoro.
Boccadoro ha un animo da artista, con una grande capacità di amare e di sentire le emozioni, traumatizzato nel profondo dalla perdita della madre, e destinato dal padre ad essere rinchiuso in un convento, allo scopo di espiare (in anticipo) l'anima peccaminosa e congenita, che l'arido genitore ritiene egli abbia ereditato dalla madre. Madre che abbandona prestissimo il figlioletto e che questi cercherà, per tutta la vita, di ritrovare.
Narciso è capace di leggere con stringente precisione l'animo delle persone: vede il tormento del suo giovane amico e - quasi come uno psicoterapeuta ante litteram - lo ascolta e lo guida nella rievocazione dei ricordi, per far emergere il trauma e il dolore dell'abbandono. Lo aiuta anche a prendere coscienza della sua natura, che non corrisponde a quella di un erudito e di un religioso, come il padre avrebbe voluto che lui diventasse. ("Io ti prendo sul serio quando sei Boccadoro. Ma tu non sei sempre Boccadoro. Io non mi auguro altro se non che tu divenga Boccadoro in tutto e per tutto. Tu non sei un erudito, tu non sei un monaco ... per far un erudito ed un monaco basta una stoffa meno preziosa della tua").
Boccadoro riceve una fortissima scossa dal confronto con l'amico, e inizia così il lunghissimo cammino che lo porterà a conoscere se stesso, a vivere pienamente la propria identità, a inseguire la vita fuori dal monastero. Incomincia quindi un'esistenza errabonda (come era stata quella di sua madre), rimanendo coinvolto in risse, pestilenze, situazioni difficili, arrivando perfino all'omicidio; vive intensamente molti amori, ma alla fine non si ferma mai, non resta con alcuna donna, perché la sua esistenza è moto perpetuo, è una continua ricerca della madre perduta. La sua vita girovaga - narrata coi toni della favola picaresca - diventa icona dell'idea stessa di ricerca, ansia di verità e di senso.
Boccadoro vede confermate tutte le brillanti intuizioni di Narciso: diventa infatti allievo di un celebre maestro scultore e riesce a realizzare una meravigliosa statua dell'apostolo Giovanni (a immagine dell'amico Narciso). Con l'ammirazione generale arriva la certezza di essere un grande artista e la sublime esperienza della catarsi. Boccadoro scopre una nuova forma di eternità per l'essere umano: "il superamento della caducità. Vidi che dalla farsa e dalla danza macabra della vita umana qualcosa rimaneva e durava: le opere d'arte". Realizzare un'opera d'arte, coglierne l'essenza, fruire della sua bellezza consente di esperire la fusione tra soggetto e oggetto: un'esperienza in cui la limitatezza del soggetto si sussume nella grandezza dell'opera. L'arte coglie l'assoluto, come insegnava Schelling3, e l'esperienza del sublime è la ricompensa per l'enorme sofferenza che la sua ricerca è costata. Per dirla con la psicoanalisi: l'arte come cura dell'anima.
Ma Boccadoro non si può fermare: il sogno di riuscire a cogliere e rendere con esattezza l'immagine della madre celeste (che lui sente come Madre Natura), che si confonde con quella della madre perduta, lo spinge a proseguire la sua ricerca. Troverà sollievo solo dopo averla finalmente colta, quando potrà far riposare lo spirito nella sua contemplazione, quando anche lui potrà avere, in questo modo, una madre, senza la quale, come a suo tempo gli aveva detto Narciso, "non si può amare".
E Narciso? Lo ritroviamo al termine della vicenda, ormai divenuto abate del monastero, quando interviene per far ottenere la grazia all'amico. Ora Narciso è un uomo che ha realizzato tutte le proprie potenzialità intellettuali e spirituali, ma che lascia trapelare anche tutta la sua umanità e con essa le sue incertezze e le sue debolezze: si rende conto, infatti, di non essere padrone assoluto né della filosofia, né della verità. Il confronto con Boccadoro gli insegna che la ricerca della verità tramite il totale controllo dello spirito non è l'unica via, e non è necessariamente più efficace della strada percorsa dall'amico.
Hermann Hesse accompagna i personaggi e il lettore in questo viaggio di formazione alla ricerca della misura esatta dell'umanità di ciascuno, della propria verità, della libertà di cercare, di trovare e infine realizzare il proprio essere. Un viaggio che si compie sempre all'insegna del contrasto tra eros e logos, tra spiritualità e mondanità, tra azione e contemplazione, tra ascesi e sensualità, tra natura e spirito, in altre parole, nel dissidio tra apollineo e dionisiaco, che Hesse riprende da Nietzsche4.
Da un lato le forze della ragione sublimata e perfettamente composta (impersonata da Narciso), dall'altro quelle della psiche, dell'istinto, del nostro "sottosuolo" personale (rappresentata da Boccadoro), che accetta la contraddizione, che sfida le certezze, l'equilibrio e la compostezza della prima per sconvolgerla con l'impeto dell'emozione e dei sentimenti più primordiali, per metterla con le spalle al muro ed esigere un risultato più profondo, non accontentandosi di risposte lineari, logiche, financo pulite, ma superficiali; alla ricerca spasmodica di una sintesi ulteriore.
Una superba rappresentazione della dualità di cui ogni essere umano è impregnato: Narciso diventa lo specchio di Boccadoro, e viceversa, ed ognuno dei due riuscirà a nutrire nell'altro la parte che è (e rimarrà) altro da sé.
Narciso asceta, Boccadoro artista: entrambi impegnati a vivere seguendo la propria vocazione, entrambi dediti a compiere la propria missione, a svolgere il proprio ruolo, a ricercare l'unità, la verità ultima chiusa in ciascuno di noi, in giro per il mondo, sotto le stelle e tra le lande,
oppure all'interno di un convento.
Una narrazione moderna, drammatica, dinamica - pur nella sua circolarità - che gioca tutto sulla semantica pura, partendo dall'apollineo per ridare voce al dionisiaco, e per ritrovare - ancora una volta, come sempre - la misura della possibile felicità dell'uomo nella riedizione moderna della saggezza classica, ossia nella sostanziale unità e identità di Verità, Bene e Bellezza.
"Beauty is truth, truth beauty, - that is all
Ye know on earth, and all ye need to know."5

Nota 1 Iscrizione posta sul tempio dell'Oracolo a Delfi, da alcune fonti attribuita a Talete. Viene considerato anche, dalla tradizione, un motto riassuntivo della filosofia di Socrate.

Nota 2  Titolo originale,"Narziß und Goldmund", 1930.

Nota 3 F. Schelling, "Sistema dell'idealismo trascendentale", 1800.

Nota 4 F. Nietzsche, "La nascita della tragedia dallo spirito della musica", 1872

Nota 5 J. Keats, "Ode to a grecian urn", 1819.
"Bellezza è verità, verità bellezza," - questo solo
Sulla terra sapete, ed è quanto basta."

 

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