Il futuro
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Il vino nell'antica Roma
I tre periodi: Roma Arcaica, Roma Repubblicana, Roma Imperiale
di Natale Contini [terza parte]
William Adolphe Bouguereau - La gioventù di Bacco, 1884
Sotto il profilo vitivinicolo l'epoca romana è divisibile in tre periodi. Un primo ciclo inizia con la fondazione di Roma fino alle Guerre Puniche combattute tra il 264 e il 164 a.C., un secondo dalla fine delle Guerre Puniche fino alla nascita di Cristo, mentre il terzo si conclude con la fine dell'Impero Romano e l'inizio del Medio Evo.
Il poeta e la natura
Le Georgiche (dal greco "cose attinenti ai contadini") sono un poema di Virgilio (Publio Virgilio Marone), scritto tra il 36 e il 29 a.C., diviso in quattro libri dedicati rispettivamente al lavoro nei campi, all'arboricoltura, all'allevamento del bestiame e all'apicoltura. Nel libro secondo, invoca Bacco e descrive la coltivazione delle piante, le varietà, i metodi, con particolare attenzione alla vite e all'olivo. Il poeta nutre una particolare sensibilità nei confronti della natura. Questa inclinazione è già presente nelle Bucoliche, tuttavia è nelle Georgiche che si esprime compiutamente. Quest'opera infatti costituisce una celebrazione della natura. Egli stesso dice nella sua dedica a Mecenate (Caio Cilnio Mecenate 68 – 8 a.C. consigliere di Augusto): "Io non desidero abbracciare tutto nei miei versi: neppure se avessi cento lingue e cento bocche e una voce d'acciaio. E tu stammi vicino e insieme a me percorri la fatica intrapresa".
Il secondo libro delle Georgiche inizia con l'espresso intento di cantare Bacco e attraverso lui i pampini autunnali e la vendemmia che spumeggia nei tini. Virgilio invita il padre Leneo a togliersi le vesti e a tingere con lui le gambe nude nel mosto nuovo.Con quest'immagine si viene introdotti nell'argomento che domina tutto il libro.
Nella parte che riguarda i vitigni, Virgilio accosta quelli italiani ai celebri vitigni della Grecia. Il messaggio insito in questi paragoni si legge chiaramente: i frutti della vite non sono gli stessi dappertutto, c'è uva e uva, c'è vino e vino, ma l'uva e i vini dell'Italia non sono secondi a nessuno! "La vendemmia che pende dai nostri alberi non è uguale a quella che pende a Lesbo, dai tralci di Metimne".
"Ci sono le vigne di Taso, ci sono le uve di Marea, bianche,
s'addicono queste a terreni grassi, quelle a terre più fini;
e la psitia migliore per il passito e il lageo leggero,
che alla fine fa barcollare e impaccia la lingua,
le uve purpuree e quelle precoci, e come ti potrò cantare
o Retica? Però non sfidare le cantine di Falerno!
Vi sono anche le viti aminee, vini robustissimi,
a cui cedono il passo quello di Tmolo e persino il Faneo, re dei vini;
e l'Argitide, quella più piccola, con cui nessun altra può rivaleggiare
o per quantità di succo o per durata di anni.
Certo non io ti trascurerò o Rodia, gradita agli dei e alle mense,
né te o Bumasto, dai grappoli rigonfi!"
Juels Dalou - Baccanale, 1895-1898 circa
Il poeta continua sostenendo che le specie e i nomi dei vitigni e dei vini sono così numerosi che non si possono citare tutti, né si può indicarne il numero.
Ogni specie richiede una particolare cura e un particolare terreno. Il poeta offre a riguardo molti suggerimenti sulla piantagione e sui lavori richiesti dalla vite, dalla scelta del terreno alla zappatura, alla preparazione dei diversi sostegni, alla potatura e alla protezione dagli animali selvatici.
Proprio perché spesso compie il misfatto di rosicchiare le viti, spiega Virgilio, viene immolato un caprone a Bacco durante le feste in suo onore.
Il vino è anche la bevanda sacra dei sacrifici, il mezzo che favorisce il contatto con gli dei. Alla vista della costa italiana che si avvicina, il vecchio Anchise invoca protezione agli dei innalzando un grande calice pieno di puro vino.
Nell'Eneide il vino è anche presente alla comparsa del serpente, simboleggiante i sette anni di peregrinazioni che dovranno affrontare i troiani per raggiungere la loro meta.
Il vino si trova ancora nel momento in cui Enea vede realizzarsi le profezie e si rende conto di essere finalmente giunto dove lo conduceva il destino:
"Ora libate a Giove con le coppe,
invocate pregando il padre Anchise,
e ancor ponete sulle mense il vino!"
Galeno, anche un medico scrive di vino
Le migliori fonti d'informazione relative ai vini del II secolo provengono da un medico greco originario di Pergamo nell'Asia minore. Si tratta del famoso Galeno di Pergamo (129 – 216), medico personale, filosofo e consigliere dell'Imperatore Marco Aurelio. Seguace di Ippocrate, con le sue opere scientifiche ha contrassegnato gran parte della medicina fino al XIX secolo. Da medico dell'Imperatore, uno dei suoi compiti più importanti era quello di proteggerlo dagli avvelenamenti. A questo scopo si preparavano le triache, un intruglio di vino ed erbe. Galeno scrisse un trattato sull'argomento, il De Antidotis, che presenta un resoconto completo dei vini greci e romani, con osservazioni sul modo di giudicarli, conservarli e invecchiarli. Il più pregiato era - ci mancherebbe altro - il solito Falerno e per sceglierne il migliore suggeriva di partire da un vino di vent'anni per poi risalire con le annate fino al vino più vecchio che lasciava un retrogusto amaro. Egli osservava che il Falerno era un vino che spesso veniva contraffatto. Nelle sue descrizioni ricorre spesso il termine "austero" (ancor oggi utilizzato per definire un vino secco) per indicare il vino da lui preferito. I tempi stavano cambiando lasciandosi alle spalle i vini densi e dolci della Campania.
Galeno e gli altri medici cominciarono a raccomandare vini più leggeri e più secchi. I vigneti vicini a Roma, un tempo disprezzati perché davano vini rozzi, erano i suoi preferiti: il sabino e il tiburtino prodotti nella valle del Tevere a nord di Roma. A sud di Roma si vinificava il setino che si fece una fama come vino preferito da Augusto. Un altro era il segnino che aveva oscurato la fama dell'albano. Sono descritti come vini forti, astringenti e di corpo tra il robusto e il leggero. Si tratta di vini bianchi alla pari degli altri prodotti a Roma nei secoli precedenti. Invece vini rossi leggeri poco adatti all'invecchiamento continuavano ad essere regolarmente consumati nelle taverne. Non era ancora arrivato il concetto di vino rosso robusto e tannico, invecchiato in botti di legno e affinato in bottiglia. Dopo Galeno non si hanno più notizie circa l'evoluzione del gusto e delle caratteristiche dei vini romani. Parrebbe che i vini più costosi e pregiati siano rimasti gli stessi.
L'epilogo della cultura del vino e della vigna
Come abbiamo visto al periodo di "austerità" virile seguì per il vino una vera e propria età dell'oro. Le testimonianze letterarie e archeologiche sono numerose. Non ci sono solo Magone, Columella, Catone, Plinio il Giovane e Plinio il Vecchio, Virgilio, ma anche Orazio che amava il vino invecchiato, Ovidio con le Metamorfosi, ma ancora Tibullo, Marziale, Catullo, Giovenale, Strabone ecc. Da loro apprendiamo la bontà dei vini romani: dal solito Falerno al Cecubo, il Monte Massico, il Mamertino il Retico e tanti altri ancora. I banchetti erano sempre più elaborati e il vino il loro baricentro. Dopo l'iniziale inibizione con relativi divieti, punizioni e proibizioni, ci si abbandona senza ritegno nelle braccia di Bacco, ora non più disdegnato dalle matrone, che per questo non vengono più ripudiate come avveniva secoli prima. Si assiste quindi a una degradazione della cultura enoica. Il simposio, momento di dibattito, si trasforma nella commissatio, un pretesto per continuare a bere dopo il pranzo sotto la guida del magister bibendi che ripeteva un brindisi dietro l'altro in onore di presenti e assenti. Fu in questo periodo che invalse l'usanza di stimolare l'epiglottide con una piuma al fine di vomitare per riprendere a mangiare e bere. Sono queste immagini spesso orgiastiche che emblematicamente preludono alla fine dell'Impero.
Inizia così la fase di decadenza, culminata con il famoso editto di Probo del 276 d.C. (Marco Aurelio Probo, uno degli imperatori illirici, espressi dall'esercito, alla testa dell'impero dal 276 al 282) che per conquistarsi popolarità abrogò i vincoli che vietavano ai più la produzione vitivinicola, provocando un'invasione di pessimo vino. Probo usò persino l'esercito per piantare nuovi vigneti in Gallia e lungo il Danubio. Ma in precedenza (250 d.C. circa) era stata introdotta una tassa in natura per cui i produttori dovevano consegnare parte del loro vino a Roma e ad altri centri per le razioni dei soldati e per rifornire la popolazione a prezzo politico. Molti viticoltori cambiarono attività.
Il declino di Roma era iniziato, la sua popolazione diminuiva, le Province dell'Impero assumevano sempre maggiore importanza, i secoli bui battevano ormai alle porte. E bisognerà attendere Carlo Magno per avere, dopo lo sfascio politico, economico e militare dell'Impero Romano e il caos che ne seguì, nuove regole e una disciplina delle attività vitivinicole. Toccherà infine ai monaci salvare la produzione vinicola di qualità e le migliori aree viticole d'Italia e di Francia.
Bibliografia
Hugh Johnson, Il Vino, Storia Tradizioni, Cultura, Franco Muzzio Editore.
Antonio Piccinardi, Storia del vino in Italia, Rizzoli Editore.
AA.VV., Storia di Roma, Vol. 2, 3, 4, - Edizioni Einaudi.
Attilio Scienza, La Vite e il Vino, Edizioni Coltura e Cultura.