L'amore

La canzone del secolo

Questo piccolo grande amore

di Franco Ferramini - PRIMA PARTE

claudio baglioni

Claudio Baglioni (foto: La Repubblica)

«Quella sua maglietta fina, tanto stretta al punto che mi immaginavo tutto…», così comincia la celeberrima canzone di Claudio Baglioni. Chi non la conosce?

Pare quasi strano dover scrivere che si tratta di Questo piccolo grande amore (Baglioni-Coggio), tanto famosa, tanto cantata e ricantata, celebrata addirittura da Pippo Baudo nel 1985 a Sanremo come 'Canzone del secolo'. Eravamo nel 1972, più di mezzo secolo fa, quando un giovane cantautore romano esplose nella musica pop italiana. Fino ad allora era soprannominato 'Agonia' dagli amici di quartiere, per quel suo aspetto da intellettuale dolente e tormentato, i suoi maglioni neri a collo alto, gli occhiali spessi. Aveva già composto qualche album e la colonna sonora Fratello sole, sorella luna dell’omonimo film di Franco Zeffirelli.

Claudio Enrico Paolo Baglioni nacque a Roma il 16 maggio 1951. A tredici anni iniziò a frequentare concorsi canori, la 'canna' vocale era veramente notevole, tre ottave e mezzo fino ai primi anni 2000, poi inevitabilmente diminuita a causa dell’età. Da allora in avanti Claudio fece quella che si può definire la sua 'gavetta' di formazione, scrivendo anche brani per affermati cantanti. Fino all’esplosione, al successo vero e proprio col suo concept album Questo piccolo grande amore, la sua consacrazione nell’Olimpo della musica italiana. Erano tempi di cantautori impegnati, di contestazioni ai concerti, di impegno politico militante e la sua musica era quella dei buoni sentimenti, del romanticismo, dei bravi ragazzi, non privi però di idee critiche nei confronti della società e di una formazione culturale che, pur nel suo apparente disimpegno, risentiva inevitabilmente degli echi della protesta sociale giovanile di quei tempi.

 

 

Le cariche in manifestazione, gli amori definitivi e prorompenti, la tragedia spezza-vita della partenza per il servizio militare obbligatorio, l’amore disperato finito, i premurosi genitori che non riconoscono più i propri tormentati figli, i cinquantini, gli eskimi, i ritrovi al bar (e non sui social o in stranianti discoteche), la libertà persa con l’innamoramento, gli amici che si sentono traditi per quello. Temi eterni, in parte quindi attuali anche oggi, collocati però nei primi anni Settanta.

Per chi come lo scrivente era adolescente in quegli anni, con il vinile ascoltato fino alla quasi consunzione in una fono-valigia nella propria cameretta, ritrovarsi a scrivere di questo album è come un viaggio sul filo del tempo e della memoria. Erano tempi di impegno, di discorsi volti a ricercare con curiosità la profondità nelle cose della vita e degli uomini. Si ascoltavano il progressive rock e i cantautori 'impegnati' e per molti ragazzi inguaribili romantici era difficile confessare di ascoltare anche Baglioni. Ammetto che per certi versi lo è anche ora, perché chi ascolta musica di spessore per alcuni non dovrebbe perdersi in altri generi apparentemente più leggeri. Ma la buona musica è buona musica, la musica suonata è buona musica, quella interamente composta con loop elettronici e auto-tune non è musica. E Baglioni ha sempre fatto buona musica e buoni testi. E qui la chiudo, tornando al nostro album.

Dicevamo, è un concept-album, cioè un disco che nel dipanarsi dei suoi brani sviluppa un tema conduttore, canzone dopo canzone racconta una storia, quasi fosse la trama di un romanzo o di un film. Un concetto discografico molto in voga negli anni Settanta. Infatti molti anni dopo, nel 2009, da questo lavoro di Baglioni fu tratta proprio un’opera cinematografica con il regista Riccardo Donna, su soggetto e sceneggiatura di Ivan Cotroneo. Nei panni dei protagonisti Andrea e Giulia, Emanuele Bosi e Mary Petruolo. Il film fece parte del progetto Q.P.G.A., comprendente un doppio album, un libro scritto dallo stesso cantautore romano e un tour di concerti a fine 2008.

 

 

L’album inizia con Piazza del Popolo: siamo nel pieno di una manifestazione dei primi anni Settanta in quella piazza romana, nella canzone all’inizio si sentono il vociare della folla e le sirene della polizia. Poi la carica e il ragazzo protagonista narrante scappa fino a «una strada fuorimano, un bar» dove incontra una ragazza bellissima. È amore a prima vista: un amore travolgente, totalizzante, puro e coinvolgente nella maniera più totale come solo gli amori giovanili possono essere. La ragazza ha «la maglietta scollata, una faccia pulita», e siamo al secondo brano che descrive questo incontro fatale, che finisce con la certezza del ragazzo di «starle ad un passo dal cuore» e con la più tipica delle modalità «il telefono è questo devo andare via, se ti va di chiamarmi sono a casa mia». La terza canzone è Battibecco: a testimoniare il candore di questo grande amore, lei accusa lui di dire in giro «che sei stato già a letto con me». Lui si difende «qui c’è uno sbaglio, uno sbaglio sicuro». Il tutto finisce con il primo bacio, lui le dice «volevo baciarti ma tu mi hai smontato, che ti credi, l’orgoglio l’ho anch’io». Lei gli risponde «mi sa che tu sei un pochino imbranato, cosa aspetti che a farlo sia io?».

 

 

Come si può notare i testi sono freschi, immediati e semplici. Una storia come tante di quegli anni, in cui l’iniziativa del primo bacio con l’esortazione di lei deve comunque essere del ragazzo (nei tempi odierni quasi una situazione 'politically incorrect'). Siamo alla quarta canzone: Con tutto l’amore che posso, una classica canzone d’amore appassionata, «tutto l’amore che io posso è proprio niente», la consacrazione del fuoco tra i cuori dei due ragazzi.

Notevole è l’introduzione del pezzo con un bell’assolo di tromba. Una breve parentesi sugli arrangiamenti (Tony Mimms) e sulle musiche (Antonio Coggio) del disco. Anche da questo punto di vista un lavoro ben fatto, calibrato, eccellente, composto e suonato da ottimi musicisti. La casa discografica, la grande RCA italiana di quei tempi, sotto questi aspetti non scherzava per niente. Curioso è l’utilizzo di stornelli romani a contrappuntare la storia del disco, ogni tanto, tra una canzone e l’altra. Nel quarto brano, Che begli amici, il protagonista torna dopo un mese al bar della sua compagnia; sono gelosi, lo prendono in giro, lo mettono in mezzo con epiteti vari tipo 'pecorella smarrita', lui si difende e si arrabbia. Un dialogo brillante e gustoso, da ascoltare, in cui il protagonista a un certo punto esplode con un esplicito «che begli amici, andate a dare via il sedere!». L’eterna lotta tra gli amici di sempre e le cotte giovanili definitive, che tolgono tempo e testa da dedicare ad altre frequentazioni.

Passa alla SECONDA PARTE

[sarà pubblicata il 9 giugno 2023 ]

   

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