L'eros
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Le Alpi e le “pratiche sessuali d'attesa”
Veglia, maraichinage, kiltgan, albergment, Nachtfreien...
di Michela Zucca
Manzù - Grandi amanti
"Arrossiremmo, se dovessimo riportare anche un solo verso dei canti nuziali urlati da quegli ubriachi. Ci siamo spesso domandati dove mai possano aver trovato simili immondezze. Gli autori sono ignoti e sembra non esista, per fortuna, copia stampata.
I matrimoni di campagna finiscono di solito in un'orgia durante la quale l'invitato maschio più giovane scivola sotto il tavolo per slacciare la giarrettiera della sposa".1
Questa la descrizione che fa di un matrimonio contadino ottocentesco un testimone d'eccezione, Proudhon, socialista che non riesce a dimenticare la propria origine metropolitana: e che, come gli aristocratici medievali, non riesce ad arginare il disgusto verso comportamenti apertamente sessuati. Se la reazione di un intellettuale liberato e progressista alle usanze sessuali popolari rasenta la ripugnanza fisica, possiamo immaginare quella di un borghese benpensante...
Bisogna considerare che tutti i testimoni che descrivono il mondo contadino dall'ancien regime ad oggi, studiosi di folklore dilettanti o professionisti, sono borghesi estranei alle campagne delle quali descrivono i costumi. Si sono formati in ambienti in cui ci si esprimeva essenzialmente con la parola: del comportamento montanaro hanno fissato soltanto i gesti, senza capire il significato profondo delle azioni. Hanno potuto, o voluto, conoscere solo una parte della relazione amorosa: quella sessuale. Hanno negato, o non hanno saputo riconoscere, il lato emotivo del rapporto, semplicemente perché consideravano i contadini quasi incapaci di provare sentimenti comparabili ai propri.
Tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, si trovano, generalmente dalla penna di medici condotti, descrizioni più precise sul contenuto sessuale di certe frequentazioni tradizionali alpine. Per i giovani, le occasioni di incontro prima del matrimonio erano le feste, le fiere, i pellegrinaggi, i mercati, gli ingaggi stagionali (partono sia i ragazzi che le ragazze), la pratica dell'alpeggio, e soprattutto la veglia, che, in molte regioni alpine, prendeva come pretesto il lavoro: la sgranatura del granoturco, la mondatura delle noci, la vendemmia. Il sabato e i giorni di festa, i giovani contadini vegliavano fino a notte inoltrata, e poi chiedevano ospitalità alle amiche nel loro letto. I genitori temevano di non riuscire a far sposare le figlie, se avessero impedito agli innamorati di andare a trovarle.
Queste pratiche sembrano più diffuse in ambiente alpino che nel resto d'Europa. Un'altra regione europea dove esistevano questo tipo di costumi erano i paesi scandinavi. Si tratta della veglia in Italia, del maraichinage in Francia, dell'albergment, o trosse, in Savoia, del kiltgang in Svizzera, del Fensternl in Austria, del Nachtfreien in Baviera. Anche nel Delfinato, vigeva l'usanza delle visite notturne alle ragazze. Si tratta di corteggiamenti che, dalla visita alla ragazza da parte dell'innamorato, arrivavano fino al petting spinto, alla masturbazione reciproca e allo scambio di partner. Pare che le ragazze fossero molto curiose di provare diversi corteggiatori. La somiglianza con l'amor cortese medievale è evidente: ancora una volta, vengono sfatati i pregiudizi che interpretano questo tipo di sentimento, e di azioni, come privilegio degli aristocratici.
Teoricamente, la coppia non dovrebbe arrivare al coito, e si sarebbero dovute evitare gravidanze. Ma è poco probabile che il rapporto fosse sempre e comunque incompleto: tanto è vero che è proprio nei paesi alpini che, nel XIX secolo, i tassi di nascite illegittime sono fra i più alti d'Europa. Per non parlare poi dei tassi di concepimento prematrimoniale: nel XVI e XVIII secolo, in Francia, il 10-14% delle prime nascite avveniva a meno di otto mesi del matrimonio. Ma in Valchiusa raggiungiamo punte del 33,3%2. All'inizio del XIX secolo, la Baviera e l'Austria detengono il primato delle nascite illegittime. Per non parlare della Carinzia, dove, alla metà del secolo scorso, più dell'80% delle nascite sono illegittime.
Non è facile spiegare il fenomeno, anche perché spesso coesiste con usanze diverse nelle stesse regioni. Alcuni hanno parlato di "prova di fecondità": ma niente autorizza a pensarlo. I tassi di natalità e di nuzialità non sono molto diversi da quelli di altre regioni europee. Non è neanche una forma di tolleranza obbligata da parte delle famiglie lassiste: la Chiesa si è impegnata per secoli per far sparire queste cattive abitudini, ma senza riuscirci. Il vescovo di Augsbourg denuncia, già nel 1603, "l'abuso di valletti e di servi che esigono, nei loro contratti, il diritto di uscire la notte per andare a far visita a una persona dell'altro sesso, o almeno di intrattenersi con lei alla finestra"3. Si tratta quindi di un diritto rivendicato a chiare lettere, di antica origine, che va avanti da secoli, se non da millenni. È una pratica sessuale in attesa del matrimonio, una prova per accertare e sperimentare l'accordo, sessuale e sentimentale, affettivo ed emotivo, col futuro coniuge.
Accanto ai modi molto diretti di condurre un rapporto fisicamente, altra caratteristica del comportamento sessuale contadino e montanaro, è l'estrema reticenza, quasi pudore, a parlare di amore e di sentimenti: "l'amor l'è minga polenta" recita un proverbio diffuso in Valchiavenna. Come dire: è un sentimento talmente importante che non si può neppure paragonare al pane quotidiano; qualche cosa di pericoloso, innominabile e sacro, a causa di cui tutto può succedere.
Non si può considerare fortunato chi lo prova; perché da quel momento in poi è in suo potere, non può più disporre di volontà propria. Una concezione arcaica, ben lontana dalle tranquille emozioni borghesi che si sviluppano con corteggiamenti, fidanzamenti e matrimoni ben pianificati, e vicina forse alla "follia d'amore" che sconvolse Tristano e Isotta, di indubbia matrice culturale celtica.
In realtà, non ci si preoccupa eccessivamente di evitare delle nascite illegittime, quanto di regolarizzarle. In molti luoghi, però, l'illegittimità è aggravata da una legislazione e da tradizioni (come l'obbligatorietà della dote per la ragazza, o del possesso di casa e terra per i giovani) che, praticamente, impediscono ai poveri di sposarsi. Spesso il matrimonio sanciva uno stato di fatto. Le tragedie erano rare: i figli erano bene accetti, e, in mancanza di impedimenti per altre cause o della ferma opposizione delle famiglie, ci si sposava e si metteva su casa.
Apparentemente, se le ragazze si lasciavano ingravidare, non era mai perché si erano innamorate di un uomo e avevano cercato un rapporto sessuale con lui: era sempre lui che le aveva volute e aveva ottenuto, con la promessa di matrimonio, la seduzione o la costrizione, di godere di loro. Ma allora, come mai, se questi seduttori hanno la meglio grazie alla forza, perché non lo si dice più esplicitamente? Senza dubbio perché certi comportamenti erano ritenuti normali. Tra la violenza e la seduzione c'è un'infinita gamma intermedia di azioni: e le procedure di corteggiamento, fra i montanari, erano soprattutto fisiche, spesso addirittura brutali, e le ragazze le accettavano. È a furia di manate e di strattoni, per arrivare fino al lancio delle pietre (!), che si riconosceva la passione nei futuri fidanzati. In questo contesto culturale, gettare una donna su un letto o nel fieno, e prenderla senza tanti complimenti, era stupro effettivo solo se lei gridava a squarciagola, lottava fino all'ultimo respiro o rischiava la vita: altrimenti, il suo era solo un simulacro di resistenza, caratteristico e obbligatorio comportamento femminile, e ancora di più delle vergini. Ma neanche in questo caso si possono assimilare le abitudini borghesi con quelle contadine: mentre i giovani di buona famiglia cantavano vittoria per ogni ragazza "caduta", la situazione del seduttore paesano era ben diversa, perché esistevano rigidi meccanismi di controllo sociale che raramente gli permettevano di scansare le sue responsabilità. Generalmente, sposava la sua compagna; e nessuno si scandalizzava se la sposa aspettava un bambino. Ma se non intendeva regolarizzare il rapporto, all'annuncio della gravidanza, di solito doveva fuggire dal villaggio, segno tutt'altro che di trionfo! L'opinione pubblica rifiutava la condotta dei Don Giovanni, e non permetteva loro di restare. Queste rigide sanzioni vanno via via allentandosi dal XIX secolo in poi; ma rimangono comunque molto più sentite sulle Alpi che altrove, specialmente in zone in cui per tradizione la donna è in posizione meno subordinata, riceve la sua parte di eredità come i fratelli maschi, può essere proprietaria di case e di terre e gestire la tenuta di famiglia.
Il piacere negato: il matrimonio
Nella società contadina, la donna era "la prima ad alzarsi e l'ultima ad andare a letto". Come i loro coetanei maschi, le bambine cominciavano a lavorare appena riuscivano a camminare sulle proprie gambe. In casa o fuori, c'era sempre qualche cosa da fare. La gioventù era una stagione brevissima, sorvegliata dai genitori e dai preti, custodi del buon nome della famiglia.
E proprio i preti, che, come abbiamo visto, riescono a mantenere un controllo incerto sulla sessualità prematrimoniale, riprendono in mano la situazione dopo le nozze, obbligando le spose a condurre un'esistenza dedicata soltanto al marito e ai figli, in cui la sessualità deve essere esclusivamente riproduttiva.
Anche se, rispetto alle coetanee borghesi, le contadine godevano di una certa libertà di movimento, che per forza di cose le portava alla promiscuità con gli uomini, era in vigore comunque una doppia morale che, all'interno del matrimonio, negava loro il diritto al piacere. Bisogna ricordare che, fin da piccole, erano ingabbiate nelle prescrizioni del catechismo. Preti sessuofobi cercavano di istillare nei bambini il senso del lecito e dell'illecito. Tutto era peccato: ancora trenta, quarant'anni fa, si veniva redarguite pubblicamente se non si portavano le calze o se si andava a ballare la domenica pomeriggio, quando i giovani si trovavano insieme e qualcuno tirava fuori un organetto. La trasgressione esisteva, certamente, ma ogni azione che andava al di là della norma era vissuta con grandi sensi di colpa, e il controllo sociale della comunità era fortissimo. Il senso del peccato era profondamente radicato nella gente, e per peccato si intendeva soprattutto la trasgressione sessuale, così come lo scandalo si riferiva esclusivamente al fare o dire qualcosa relativo alla sfera del sesso.
In molte zone alpine, perfino la foggia del vestito era caratterizzata, nelle donne, da una sobrietà estrema, nella forma e nel colore, che era sempre scuro, e che si evolveva con incredibile lentezza; le minime novità costituivano quasi delle provocazioni. Appena le ragazze tentavano di "raccorciare" un po' le gonne erano assalite dalla censura familiare, da quella del paese e da quella del parroco. In Val Tartano (SO), nella piccola frazione di Campo, ancora nel 1948 il parroco negò la comunione a una ragazza che aveva in testa il velo nero, che veniva normalmente portato nei paesi di fondovalle, al posto del fazzolettone locale4.
In compenso, la scelta del coniuge era abbastanza libera dalle costrizioni familiari. Per molti osservatori delle campagne dei secoli XIX e XX, gli interessi economici pesavano sul matrimonio contadino più che su quello urbano. È probabile: se è vero che la città è stata toccata per prima dalla trasformazione delle strutture ideologiche ed economiche, mentre le montagne sono tuttora un "serbatoio di arcaismi", come meravigliarsi se i suoi abitanti sono rimasti fedeli alle leggi antiche più a lungo degli operai e dei borghesi? Ma la "rusticità" ha forse implicato, in ogni epoca, che ci si sposasse soprattutto per interesse, e invece l'"urbanità" per amore? A forza di voler distinguere l'amore cortese dai comportamenti grossolani ,la cultura dominante è riuscita a contrapporre amore e rusticità. Malgrado questi pregiudizi, però, se non si assume come unica definizione dell'amore quella confezionata dalla cultura aristocratica e cittadina, ci si accorge che il matrimonio fondato sulla libera scelta è stato più facile e più comune, dal Rinascimento in poi, fra i contadini che non fra i nobili e i borghesi.
Nota 1 Cit. in Nina Epton, Eros e costume in Francia, Lerici, Milano, 1966, p.380.
Nota 2 Jean Luis Flandrin, Amori contadini, Mondadori, Milano, 1975, p. 152-154.
Nota 3 AA. VV., Historire de la famille, Armand Colin, Paris, 1986, p. 125.
Nota 4 Donata Bellotti, Religiosità popolare in Val Tartano, Quaderni valtellinesi n°7, Sondrio, p. 45 e 46.