La libertà
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In attesa di evasione
di Ivan Mambretti
Benvenuti a Shawshank
Apprezza la libertà solo chi ha conosciuto la costrizione: questo ci insegna il prison movie
Spartaco, gladiatore trace in forza alla scuola di Capua, riuscì a radunare dalle campagne meridionali una moltitudine di schiavi per guidarli contro Roma. Fu il primo a capire l'ingiustizia dell'uomo che opprime l'uomo e si battè per la libertà fino alla morte, avvenuta per crocifissione sulla via Appia. Spartaco perse la battaglia, non la guerra. Il tempo galantuomo gli ha dato ragione. Intorno ai suoi nobili princìpi si sono sviluppati i grandi interrogativi sulle lusinghe del potere, le ambiguità del progresso, l'aspirazione alla felicità, la ricerca della verità. La libertà. Ecco un altro dei tanti ideali da perseguire con tenacia anche se, come tutti gli ideali, è irraggiungibile: abbatti un muro e ne trovi di nuovi, anche più solidi.
La vicenda romanzata del più famoso schiavo della storia sono raccontate in Spartacus, kolossal firmato da Stanley Kubrick. Ma prima di lui altri maestri del cinema hanno provato a declinare la libertà nei suoi mille volti. Eccone alcuni.
Volto fantapolitico: Metropolis è la città che Fritz Lang immagina composta da due piani: la fredda superficie in cui svettano i palazzi dell'élite economica e i cupi sotterranei dove brulica il formicaio dei lavoratori trattati come bestie. L'olimpo e gli inferi, insomma. Sociale: A me la libertà di Renè Clair, in cui due evasi si ritrovano anni dopo, l'uno in veste di operaio e l'altro di padrone. Entrambi insoddisfatti, optano per evadere dai meccanismi vessatori della società e diventano vagabondi (la rappresentazione della catena di montaggio come nuova forma di schiavitù ispirò anche Chaplin nella celebre sequenza di Tempi moderni). Storico-politico: in Viva Zapata! Elia Kazan racconta di quando il noto rivoluzionario messicano difensore dei peones, una volta conquistate le leve del comando, in una imprevista inversione di ruoli sta per diventare lui stesso, paradossalmente, il nuovo despota. Etico: in Un condannato a morte è fuggito di Bresson, un attivista della Resistenza francese cerca, oltre alla libertà fisica, anche una rinnovata coscienza, premessa per ottenere le libertà più alte e recuperare perdute tensioni morali. L'atto della fuga si fa allora intimo dialogo fra se stessi e le proprie contraddizioni, alla scoperta di una dimensione interiore che nessuno può violare. Psichiatrico: nel mirino di Milos Forman, regista di Qualcuno volò sul nido del cuculo, c'è il mondo dei manicomi, non dissimile da quello delle carceri. Il finale è leggendario: quando il paziente indiano si accorge che il suo esuberante amico è stato lobotomizzato, decide di salvarne la dignità soffocandolo con un cuscino. Poi, in un raptus di lucida follia, lo vediamo strappare dal pavimento un lavabo di marmo e scagliarlo contro la vetrata dalla quale fugge verso la libertà. Onirico: in Buongiorno, notte Bellocchio immagina Aldo Moro rilasciato dalle Brigate Rosse che vaga in una silente e deserta alba romana.
Ma è il filone carcerario a meglio descrive e circoscrive l'argomento. Da Io sono un evaso e Forza bruta sino a Brubaker e Hunger, quello che gli americani chiamano 'prison movie' ci racconta il valore della libertà per contrasto, rimarcando cioè il disagio di chi vive non libero.
Robert Stroud, San Francisco delle carceri
In questo genere cinematografico libertà significa innanzitutto voglia di ribellarsi all'assurdità dei regolamenti e agli abusi di un'assillante vigilanza. Direttori e aguzzini sono spesso personaggi subdoli che si approfittano dello stato di inferiorità dei detenuti. Da qui un singolare fenomeno: quello del pubblico che tifa per i prigionieri e per il buon esito di ogni loro tentativo di evasione. L'evasione, dunque, come fuga non da un luogo di giustizia, ma dal luogo dove la giustizia fa da involontaria copertura a comportamenti che con la giustizia nulla hanno a che fare. I carcerati si trasformano così in simpatiche canaglie e lo spettatore si identifica con loro avvertendo dentro di sé la prigione dei propri sentimenti, delle proprie frustrazioni e pulsioni, desideri e illusioni.
Che cosa simboleggia la libertà meglio d'un volo di gabbiani osservato da dietro le grate di una cella? In L'uomo di Alcatraz il sogno di evasione per l'ergastolano Robert Stroud (personaggio realmente esistito) non sta rinchiuso in un piano elaborato a tavolino, ma nel materializzarsi di una inaspettata passione: l'ornitologia. A Stroud, angosciato all'idea di dover affrontare il resto della vita in quell'allucinante bugigattolo, piove improvvisamente una chance dal cielo: un passero caduto nel cortile. Se lo porta in cella, se ne prende cura e da quel momento si apre per lui un orizzonte di nuovi interessi, di studi, di stimoli. La libertà sta anche nel piacere di contemplare esseri così fortunati da avere come patria lo spazio infinito. L'esaltazione dello spirito di sopravvivenza e l'umana fierezza di questo scienziato-per-caso sono un garbato atto d'accusa contro strutture che, a dispetto delle dichiarazioni d'intenti, guardano alla punizione anzichè alla redenzione.
Il penitenziario di Alcatraz oggi non c'è più. È stato adibito a meta ecologico-turistica. È diventato un piccolo Eden di quei pennuti che all'ergastolano Stroud hanno insegnato la tenerezza e alleviato le sofferenze di una condizione esistenziale proibitiva. Un accenno allo smantellamento dello stesso carcere si trova in Fuga da Alcatraz, dove una fallimentare caccia agli evasi costringe l'imbarazzato direttore a sostenere un loro improbabile annegamento.
Clint Eastwood, Fuga da Alcatraz
Nel film francese Il buco un presunto uxoricida finisce in cella con altri detenuti. Unico modo per fuggire è trapanare la parete che comunica con le fogne. Sui loro volti contratti si legge più disperazione che speranza anche se, terminato lo scavo del cunicolo, essi cominciano a pregustare il profumo della libertà. Ma i dirigenti, insospettiti, riescono a far parlare l'ultimo arrivato... e addio sogni di salvezza!
Anche in Le ali della libertà la via d'uscita sta in un foro praticato nel muro della cella. Il certosino artefice, munito di un martelletto da roccia, non ha fretta: si è dato vent'anni di tempo per completare l'opera! Per nascondere il buco appende un poster di Rita Hayworth: diva ai tempi dell'arresto del protagonista, la sua immagine e la carta stessa, col passar degli anni, si logoreranno...
La sarcastica insegna con la scritta "Benvenuti a Shawshank" (nome del penitenziario) evoca l'"arbeit mach frei" di auschwitziana memoria, il sinistro monito che spazzava via ogni speranza dalla mente e dal cuore degli internati, secondo una forma di alienazione che permette al sistema di realizzare il suo diabolico programma: mortificare le esistenze riducendo i detenuti a larve umane. Non è dunque dissimile da un lager la prigione moderna, dove è concesso di pensare ma solo perché il pensiero, in regime di cattività, è una tortura. Il film riserva un momento magico quando da un altoparlante escono librandosi nell'aria note mozartiane così dolci e soavi da regalare ai carcerati, oltre allo stupore, anche un senso di liberazione mai provato.
In La grande fuga, che è prima di tutto un film di guerra, alcuni prigionieri in un lager stanno perfezionando il piano di evasione quando i tedeschi decidono di concentrarli in un reparto supervigilato. Ma radunarli insieme è stato un errore: l'unione fa la forza e ora essi possono coordinarsi al meglio. Quanto basta per scappare attraverso claustrofobici cunicoli. Memorabile la corsa in moto di Steve McQueen fra le verdi colline del centro Europa per raggiungere la Svizzera, terra di salvezza. Come dire: dalle angustie del cunicolo alla luminosità dei prati, dall'asfissia della costrizione al respiro ampio di una natura intatta.
Quando la fuga è spettacolo
Anche Fuga per la vittoria ha come sfondo la Germania di Hitler. Un gerarca riconosce fra i prigionieri un famoso giocatore di calcio inglese e siccome la sua nazionale non ha mai vinto contro la squadra britannica, impone una singolare sfida: una partita di pallone fra soldati tedeschi e un manipolo di detenuti messi insieme alla meno peggio. L'incontro è fissato nella Parigi occupata dai nazisti, in modo da farne un evento di propaganda. Il primo tempo si chiude in grave svantaggio per i prigionieri perché i tedeschi non rispettano le regole e l'arbitro è venduto. Nell'intervallo i nostri potrebbero svignarsela, ma l'orgoglio ferito è più forte della programmata evasione e tornano in gara più motivati che mai per compiere il miracolo fra le ovazioni di uno stadio gremito di partigiani che, invadendo euforici il campo al ritmo della Marsigliese, consentono la sospirata fuga.
L'autobiografico Papillon (dal best-seller di Henri Charrière) narra di un detenuto nel penitenziario della Guyana Francese che tenta ripetute fughe in compagnia di un goffo falsario. Vengono però sempre riacciuffati e cacciati in celle di isolamento rese infernali dal clima dei luoghi. Si tratta di un film spettacolare che si caratterizza più che altro per gli schemi tipici del filone avventuroso, lasciando quindi in superficie tutte le tematiche del genere.
Memore dei fasti della commedia all'italiana, il nostro cinema ha quasi sempre preferito affrontare l'argomento con gusto macchiettistico. Ma non manca qualche buona prova. Come Mery per sempre, dove un docente di lettere accetta l'ingrato compito di insegnare la poesia in un riformatorio del profondo sud. A fronte del suo approccio bonario e antiautoritario, il prof colleziona umiliazioni e insolenze, ma anche qualche soddisfazione. Sarà proprio in virtù di queste soddisfazioni che deciderà di strappare la nomina per un normale liceo e proseguire nella sua scommessa: far emergere dal cuore di quei delinquenti tracce di umanità.
Notevole anche l'esperimento dei fratelli Taviani, che nel docu-film Cesare deve morire raccontano l'allestimento di un dramma shakespeariano avente come interpreti d'eccezione i detenuti di Rebibbia. I due registi toscani credono fermamente che il teatro sia una grande chance per il recupero di chi ha sbagliato. "Ora che ho conosciuto l'arte, questa cella mi sta stretta" commenta alla fine del film uno degli attori, che ce l'ha proprio messa tutta.
L'arte. Ecco un altro strumento per elevarsi, aprire il cuore, dare sfogo alla parte più sana della propria personalità. L'arte è attività pura e incontaminata del pensiero, è potenza creatrice svincolata dalle regole, una medicina capace di distogliere dal male anche chi, per fragilità, è facile alle tentazioni. Il bene e il bello. Etica ed estetica. Fantasia e armonia. Slancio dell'anima, coraggio dell'onestà. Se gli uomini si lasciassero catturare da valori come questi, forse raggiungerebbero la migliore delle democrazie: la dittatura della libertà.