La montagna
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Ascesa linetta ascesi
L’imagine della montagna come asse cosmico
di Luca Calabrò
La natura ci offre da sempre immagini che sono anche simboli. L’ambiente naturale è 'foresta di simboli' che incarna e dà nome a concetti profondi.
Entrare in una foresta non è solo muoversi tra gli alberi ma è varcare soglie interiori come nelle fiabe. Le direzioni cardinali o le costellazioni offrono un riferimento spaziale per l’orientazione di templi e l’esecuzione di riti. Spazio interiore ed esteriore coincidono in una produzione di senso totalizzante che è la fenomenologia del simbolo. Rappresentare la montagna in questa prospettiva è esprimere la coordinata verticale e assumerne il senso. La montagna è quindi verticalità e ascesa.
Cosmo buddista
Verticalità e ascesa in senso tradizionale implicano un trascolorare verso condizioni più elevate; il senso dell’altezza è intuitivamente collegato alla montagna e al divino: la mitologia greca è dominata dagli dei 'olimpici'. La verticalità poi si contrappone all’orizzontalità, l’alto al basso: anche qui il senso è evidente e in tutte le tradizioni 'sacre' profondamente interiorizzato. Parlare di questa interiorizzazione in senso spirituale vuol dire riferirsi 'all’ascesi', termine in suggestiva assonanza con ascesa ma di diversa etimologia. Ascesi deriva dal verbo greco askeo, che significa faccio esercizio, di quale esercizio si tratti è evidente. Nella nostra epoca prettamente dinamica l’esercizio è legato prevalentemente alla dimensione fisica, e solo di rimando a una vaga concentrazione finalizzata alla produzione pratica. Tutto l’opposto dell’esercizio inteso in senso 'superiore' delle varie tradizioni sacre. Un esempio interessante di questa divaricazione di senso è dato da una pratica molto diffusa: lo yoga. Le palestre e i corsi di yoga comportano un lavoro continuo sul corpo – in particolare attraverso gli 'āsana' (le posizioni) – e per la quasi totalità il lavoro non esce da questa modalità di tipo fisico. Se invece si apre una delle opere principali dello yoga gli Yoga Sūtra di Patañjali – raccolta di 196 aforismi – si vede che il secondo Sūtra che definisce cos’è lo yoga: lo Yoga come «soppressione (nirodhaḥ) degli stati (vṛtti) psicomentali (citta)». Più precisamente il termine 'vṛtti' si traduce principalmente col termine vortici. Si tratta evidentemente di superare quelle modalità dell’attività mentale dialettico-discorsivo quotidiana che rappresentano l’unico orizzonte di coscienza dell’individuo comune. Il percorso yogico è 'l’estinzione' totale di queste modalità della mente coscienza ordinaria: questa disciplina mentale e psicofisica è 'ascesi'. E ritorniamo al dittico ascesa linetta ascesi e al senso simbolico della montagna come verticalità e altezza. La verticalità verso il cielo si manifesta come tensione immanente all’immagine della montagna che vediamo anche in molte rappresentazioni artistiche. L’arte è ricca di ascensioni al cielo anche attraverso mezzi che sostituiscono l’immagine della montagna, preservandone però il senso di verticalità. Vediamo per esempio nella Bibbia la «Scala di Giacobbe», di cui due rappresentazioni significative sono in opere di Tintoretto e Tiepolo.
La Scala di Giacobbe, Tintoretto
Ho preso in considerazione questi dipinti, raffiguranti la scala di Giacobbe di Tintoretto e Tiepolo, per la loro capacità di scorcio estremo e rottura in senso verticale dei punti di fuga prospettici modalità che secondo me esprime senza esitazione lo straniamento 'capacitante' del binomio ascesa-ascesi. La composizione di Tintoretto è tutta materia iridescente e instabile, senza elementi veramente solidi, risolta in un movimento ascensionale come di un gas fosforescente nel buio. Gli angeli che fluttuano sembrano fatti del momentaneo addensarsi di un fumo di incenso che sale. Inizia qui in maniera chiarissima quel percorso della pittura veneziana di smaterializzazione aerea della solida sostanza di corpi e forme di cui era caratterizzata la pittura precedente. Da Giotto alla minerale solidità di un certo Rinascimento, fino al Manierismo e al Barocco romano (Pozzo, Baciccia, Pietro da Cortona, etc.). A tutto ciò la pittura veneziana oppone un percorso di progressiva evanescenza della sostanza che conduce alla materia ormai 'impressionista' di Piazzetta nella «Gloria di San Domenico» – altro sublime esempio di ascensione celeste – in cui corpi e nubi sono fatti della sostanza pittorica di luce-colore.
Tiepolo invece risolve lo stesso scorcio ascensionale della «Scala di Giacobbe» con una tavolozza più chiara. Si tratta di affresco e non di tela, come in Tintoretto, e la maggiore trasparenza della pittura permette all’artista un gioco di 'scala cromatica'. Se la figura di Giacobbe addormentato addensa ancora colori terreni – rosso e verde – il salire verso l’alto conduce con il giallo e il bianco calcinato le forme a dissolversi svanendo verso il cielo.
Scala di Giacobbe, Tipeolo
Crollo del Monte Meru
Tornando alla montagna come simbolo di ascensione-ascesi troviamo di ciò un esempio visionario del Mahābhārata, l’immenso poema epico indiano. Si tratta dell’epilogo del racconto dove viene narrata l’ascesa al monte Meru e i vincitori della battaglia escatologica fra le forze dell’ordine e quelle del caos. Ovvero l’ascesa degli eroi garanti del Dharma (l’ordine cosmico, sociale e morale). In breve Yudiṣṭhira capo degli eroi vincitori e rappresentante della prima funzione sociale – la regalità sacra, in senso terreno e celeste – guida i suoi quattro fratelli guerrieri Bhīma, figlio del dio Vayu, il Vento e Arjuna – rappresentanti dell’ordine guerriero - e i gemelli Nakula e Sahadeva, figli degli dèi Aśvin) – rappresentanti della terza funzione, che presiede alla ricchezza sociale insieme a Draupadī, la loro sposa comune, verso nord dove sorge il Meru. Il viaggio è un vero e proprio rito e un cammino ascetico, più volte i personaggi vengono descritti camminare assorbiti nella concentrazione yogica (Yogayuktā). Uno dopo l’altro a partire da Draupadī, che non riesce a mantenere la stabilità nella concentrazione, i personaggi cadono a terra. Rimarrà solo Yudiṣṭhira che da solo supererà le ultime prove iniziatiche – come nelle fiabe – per poi ascendere attraverso il Meru al cielo, dove regnerà, dopo aver rincontrato i fratelli e la sposa caduti, come sovrano universale. Ecco l’esempio narrativo perfetto del binomio ascesa-ascesi, dove il monte Meru assume l’immagine e il ruolo che stiamo cercando nel simbolismo della montagna. Del Meru si dice che sorge a nord, attorno ad esso ruotano il Sole e la Luna, su di esso stanno la Stella Polare e l’Orsa Maggiore.
Inoltre il Meru sorge nel così chiamato «oceano di latte» dove vi sono, secondo il Ramayana – altro poema epico indiano – le isole dei 'beati', ossia di coloro che hanno trasceso la condizione mortale. Per inciso il topos delle «isole a settentrione del mondo», come titola un interessante articolo di Françoise Le Roux, come isole di un aldilà favoloso, è anche un topos celtico e germanico. Tutti questi elementi, e molti altri hanno suggerito varie interpretazioni simboliche del Meru: seguendo una delle più diffuse, discussa per esempio da G. De Santillana nel celebre «Il mulino di Amleto» (Edizioni Adelphi) il Meru è da intendersi come l’asse di rotazione terrestre che idealmente esce, protendendosi verso il cielo come la Scala di Giacobbe, dal Polo Nord. Simbolo e mito (ossia racconto e narrazione) qui si intrecciano benissimo nella produzione di senso a vari livelli. I simboli sono elementi fissi del mito – i personaggi del Mahābhārata sono incarnazioni di funzioni e strutture cosmiche e sociali, il Meru è simbolo di struttura cosmica – che vengono combinati attraverso le reti di relazioni tessute dal mito. Questo insieme, tramandato spesso oralmente, permette una struttura cognitiva polivalente e assai agile che si adatta a molteplici contesti e virtualmente ad ogni tempo: il mito non è solo nel passato ma nel presente e nel futuro. L’immagine della montagna come asse (axis mundi) vale a livello rituale, a livello simbolico – nella sua metamorfosi in albero cosmico, come nell’ascesa al cielo degli sciamani – e cosmologicamente vale come elemento strutturale della rappresentazione dei meccanismi celesti, come per esempio il moto di precessione della Terra.
Gloria di San Domenico di Giovanni Battista Piazzetta
Queste immagini tratte da «Il mulino di Amleto» mostrano un altro mito legato al Meru, il suo crollo, narrato dall’epica indiana, crollo che si può interpretare appunto come la precessione. Ossia la rotazione – come quello dell’asse di una trottola – dell’asse terrestre che cambia i riferimenti con le stelle fisse segnando, come un enorme orologio, il passare delle ere storiche. Ecco il mito che come dice De Santillana 'calcola' attraverso e per mezzo della grandiosità delle immagini poetiche, usando un multiforme linguaggio in codice. Ultima immagine del Meru come «monte dei monti» è quella che lo pone al centro del cosmo buddhista.
Grosso modo è sempre lo stesso, l’asse cosmico del Meru conduce, sulla linea verticale, a stati di esistenza sempre più elevati, che nel buddhismo si identificano con stati di assorbimento meditativo sempre più profondo. L’immagine mitica con la sua propria capacità di sintesi unisce in un’unica visione generale struttura cosmica, metacosmica e condizione psichica interiore. Con ciò il binomio ascesa-ascesi trova il suo sugello definitivo che nell’immagine della montagna diviene mezzo pratico di cammino interiore.