La notte
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Storie di cinema dal tramonto all'alba
La notte come luogo
di Ivan Mambretti - SECONDA PARTE
L'eclisse, di Antonioni (foto:Youtube)
«Trovo che la notte sia spesso più viva e colorata del giorno.»
Vincent van Gogh
La «notte della repubblica»
La notte, oltre che luogo di inquietudini, è metafora esistenziale, storica, politica ed estetica nel film che Michelangelo Antonioni dirige proprio con questo semplice titolo: La notte. Il regista ferrarese cerca di innovare le formule narrative tradizionali affidandosi alla forza intima delle immagini per raccontare la crisi dell’uomo moderno assediato dai miti fasulli del miracolo economico e convinto di avere la felicità a portata di mano. Sulla medesima lunghezza d’onda il successivo L’eclisse dove, per la cronaca, il fenomeno astronomico è quello autentico dell’eclisse di sole del febbraio 1961. Antonioni l’ha voluta riprendere per concludere una evanescente storia d’amore in un’alba romana incantata, silente, rarefatta. Personaggi dei film di Antonioni sono l’intellettuale che si misura coi nuovi ricchi, l’industriale preoccupato per l’andamento finanziario e soprattutto la donna, che avverte l’incalzare della modernità e si mette confusamente in cerca di emancipazione (lei è Monica Vitti, per il regista più che una Musa). Lo scontro alienante fra cultura, capitalismo e istanze sociali descritto in questi film alimenta il malessere e provoca negli anni Sessanta una escalation di reazioni culminata nella contestazione giovanile di fine decennio. La notte descrive una coppia inseguita dalla cinepresa nel suo vagare vuoto e sterile, nell’incapacità di aprirsi, di adattarsi, di comunicare. Nemmeno i primi chiarori mattutini favoriscono un’intesa fra i due, né il giorno li aiuta a fare i conti con la realtà. Solo l’istinto primordiale del rapporto sessuale riesce a creare un minimo di relazione, ma l’abbraccio finale è disperato. La notte di Antonioni sembra una risposta alle notti goderecce di Via Veneto raccontate da Fellini in La dolce vita, dove peraltro si inserisce il tragico episodio del colto e sensibile Steiner che massacra la famiglia e poi si suicida: il futuro lo terrorizza e per questo decide di negarlo a se stesso e ai suoi familiari!
Buongiorno, notte di Marco Bellocchio è uno dei tanti film sul rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, stavolta con un finale di fantasia. Corrono gli anni di piombo. Una giovane terrorista coinvolta nel sequestro del leader democristiano vive il disagio di una doppia esistenza: l’una fatta dei normali riti della quotidianità, l'altra tormentata dalla scelta iniqua di essersi arruolata in una cellula armata. Attraverso i suoi occhi impauriti rivive la 'notte della repubblica italiana', le velleità rivoluzionarie, l’inseguimento di quel sogno chiamato utopia, la rabbia per i fallimenti. Senza contare che la lucida follia dei brigatisti non è poi tanto diversa da quella dei nazisti. Bellocchio, che cerca di capire senza giustificare, stende su quel mondo di fanatici il velo della pietas. Onirico il finale: Moro, rilasciato dalle Br, vaga serenamente in una taciturna e deserta alba romana.
In L‘odore della notte di Claudio Caligari (regista prematuramente scomparso), nella Roma dei primi anni Ottanta un giovane borgataro di giorno fa il poliziotto, mentre di notte fa il capobanda che rapina i ricchi vagheggiando il riscatto sociale. È la sua 'anima proletaria' che, non paga dell'autorevole incarico diurno di tutore della legge, si ribella ricorrendo al solo modo che conosce: delinquere. Dramma poliziesco con ambizioni sociologiche. Che il regista abbia voluto uscire dagli schemi del noir tipico appare chiaro almeno nel sarcastico episodio in cui Little Tony, interprete di se stesso in un cammeo, è costretto a cantare «Cuore matto» sotto la minaccia di una pistola.
La guerra e il buio nella mente
Da non dimenticare il documentario post-bellico di Alain Resnais Notte e nebbia, la cui crudezza è pregnante quanto la sua brevità: dura poco più di mezz’ora. La 'notte' è l’olocausto. La 'nebbia' il totale offuscamento della mente umana. È una pellicola che si incentra su tre date importanti: l’avvento del nazismo nel 1933, l’inizio del genocidio nel 1942 e la chiusura dei lager nel 1945. Viene mostrato materiale d'archivio sulle atrocità naziste alternando il bianco e nero con scene a colori. Commissionato al regista per celebrare il decennale della fine della guerra, in Italia non è mai uscito sullo schermo ed è possibile vederlo solo grazie ai supporti audiovisivi.
Tornando alla fiction, Il terzo uomo è senz’altro uno dei più popolari noir degli anni Quaranta. Qui una oscura Vienna del dopoguerra fa da sfondo a una vicenda di spionaggio e di contrabbando il cui momento cruciale è l’inseguimento mozzafiato nelle fogne della capitale austriaca per uccidere il cattivo, Orson Welles, ripreso in un gioco di luci e ombre dove le ombre prevalgono sulle luci per sottolinearne la malvagità. Il regista, Carol Reed, è soffocato dalla ingombrante personalità di Welles che in pratica riesce a fare suo il film.
Di tutt’altra atmosfera la Vienna notturna descritta da Richard Linklater nell’assai più recente Prima dell’alba, dove due giovani - lui americano e lei francese -, incontratisi per caso sul treno, familiarizzano e decidono di scendere per trascorrere una romantica notte in giro per le strade e le piazze della città, parlandosi e rivelandosi l’uno all’altra. Ma la magia di quella notte finisce presto e all’alba l’idillio si interrompe perché devono fare ritorno alle rispettive mansioni (Linklater ha preso spunto da una sua esperienza di vita, ricordando che la ragazza da lui conosciuta è morta in un incidente stradale poco prima dell’uscita del film).
La caduta degli dei è l’ennesimo drammone familiare di Luchino Visconti, dagli echi shakespeariani ma ancora di più wagneriani. L’anziano padrone di una importante acciaieria tedesca annuncia al parentado riunito per il suo compleanno una decisione del tutto inattesa: si farà sostituire nella direzione dell'azienda dal figlio bravo e non dall'altro, che milita nelle S.A., le squadre d'assalto hitleriane. Dopo il massacro della 'notte dei lunghi coltelli', in cui le S.A. soccombono alle più feroci SS, sulla famiglia si abbatte lo spettro della tragedia greca culminante in un incesto e in un doppio suicidio. Anche stavolta il regista milanese ha saputo dare forza epica a una vicenda che si sviluppa per lo più fra le lussuose mura domestiche di una dinastia di industriali cresciuta e crollata col nazismo. Grazie a questo film e ad altre mirabili opere, Visconti si è meritato la fama di regista mitteleuropeo.
La lunga notte del ‘43, che segna il debutto di Florestano Vancini nel lungometraggio, è tratto da un racconto di Giorgio Bassani. Dopo l'8 settembre il partito fascista di Ferrara stringe le fila, ma è lacerato da contrasti interni: un perfido federale fa uccidere un mite collega dando la colpa agli antifascisti. Inevitabile la rappresaglia, con fucilazione notturna di numerosi ostaggi. Il tempo cancella molti ricordi, anche quelli che dovrebbero rimanere indelebili: il figlio di una delle vittime, fuggito in Svizzera, torna nella Ferrara degli anni del boom dove tutto è cambiato e si respira aria di libertà. Incontra per caso in un bar l’assassino di suo padre, che gli stringe cordialmente la mano, come se tutto fosse finito. Tema di fondo del film, opprimente nel suo amaro sviluppo, è l'insanabile conflitto tra democrazia e tirannia.
La notte di San Lorenzo dei fratelli Taviani è ambientato nella Toscana contadina del 1944. Sono i giorni che precedono la sospirata liberazione. Dall’interno di una finestra aperta su quel firmamento da dove il 10 agosto cadono le stelle, una voce femminile fuori campo esprime il desiderio di raccontare la guerra al suo bambino, che in realtà dovrebbe addormentarsi al canto pacato di una ninna nanna. Scena memorabile: i nazisti hanno convinto il prete a raccogliere l’inerme popolazione in chiesa promettendo la salvezza per tutti. Molti accettano l’invito che in realtà è una trappola mortale: salteranno in aria. Quelli che non hanno voluto radunarsi in chiesa prendono la via della fuga per raggiungere i resistenti e gli alleati, simboli della vita nuova. Toccante film in bilico tra storia e favola.
Le atmosfere da guerra fredda del film Gente di notte di Nunnally Johnson, ambientato nella Berlino divisa dal muro, saranno recuperate alla grande sessant’anni più tardi da Steven Spielberg nel bellissimo Il ponte delle spie, il ponte Glienicke dove nei rigori di una notte invernale avviene uno scambio di prigionieri in un contesto di suspense che sarebbe piaciuto a Hitchcock.
Notturno, l’ultimo docu-film di Gianfranco Rosi, ribadisce il turbamento della società civile per il dolore che affligge le popolazioni mediorientali in un vasto panorama geo-storico. Qui feroci dittature e confuse politiche internazionali hanno ridotto tutto a una sorta di terra di nessuno. Le guerre non sono mai state così fuori controllo come in questi tempi di globalizzazione. Imperversano la terribile realtà di lotte intestine, invasioni e ingerenze straniere, i maltrattamenti in carcere, i crimini dell’Isis e il disagio delle soldatesse impegnate nelle zone più calde. La guerra non appare direttamente, ma solo attraverso il crepitio dei mitra, i bagliori delle bombe, lo strazio di madri e vedove. Colpisce lo straniamento di bambini rimasti fisicamente illesi ma feriti per sempre nell’anima. Mentre un cantore di strada inneggia ad Allah, un cacciatore di frodo sospinge col remo la sua barchetta fra canneti putridi e foschi. Tutt’intorno, e soprattutto dentro le coscienze, regnano istinti distruttivi. Ma anche fra simili brutture Rosi cerca di tenere accesa, pur tenue e vacillante, la fiaccola della speranza.