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Per sempre lassù
di David Foster Wallace
«24 dicembre 2006. Oggi compi tredici anni.»
Così inizia il bigliettino di auguri che scrissi molti anni a mio figlio in occasione del suo compleanno.
A penna, su un foglio a quadretti di block notes, pensieri sparsi su quanto in quei primi tredici anni mi avesse reso felice ed orgogliosa di lui e quanta bellezza e gioia e sogni e vita avrebbero illuminato i suoi anni a venire. Quel bigliettino piegato in quattro accompagnava un numero abbastanza raro di Topolino. Così, come a dire «cresci, ma senza fretta».
«Buon Compleanno. È il tredicesimo ed è importante».
Così inizia uno dei miei racconti preferiti. Anzi, azzarderei dire proprio il mio preferito in assoluto. La sinossi è estremamente semplice: un ragazzino, nel giorno del suo tredicesimo compleanno, trascorre una giornata in piscina con la sua famiglia; sale sul trampolino, e lì si blocca. Questo è ciò che vediamo accadere. Quello che però succede veramente nel racconto, non lo possiamo vedere ma solo percepire, perché succede dentro al ragazzino. Un turbine di sensazioni, mirabilmente e dettagliatamente descritte dall’autore con una dovizia di particolari e sfumature che inesorabilmente fanno identificare il lettore con il protagonista, trasportandolo in quel luogo, in quel preciso momento e, ancora più incredibile, a quella specifica età. Forse anche per l’abilità e lo stile dell’autore che scrive il racconto in seconda persona, e quindi si rivolge a te, ti parla, parla di ciò che è successo anche a te, o forse per la sua estrema sensibilità nel saper toccare precise corde di ricordi e nostalgie lontane pronte a risuonare nel profondo di ciascuno.
L’ambientazione è estremamente fotografica: il tramonto di «un tondo lento sole settembrino», la piscina all’aperto con un suo odore limpido e azzurro, il cielo sterminato sopra Tucson in Arizona, uno snack bar, o meglio uno SN CK BAR, la sua famiglia: i genitori e una sorellina.
L’aria è densa, il caldo si respira e appiccica, gli schiamazzi dell’affollata piscina sembrano quasi ovattati dall’afa e dai colori saturi della temperatura. La mamma e il papà sono sdraiati, prendono il sole. La sorellina gioca a mosca cieca con altre bambine. E qui i particolari non si contano neppure. Nell’inconfondibile stile dell’autore, si articola un lunghissimo elenco di elementi descrittivi, perfettamente armonici, a regalarci un’istantanea Polaroid del momento.
Dentro, intanto, tutti i sussulti e i mutamenti dell’adolescenza. Il corpo che cambia, che detta nuove attenzioni, che quasi vuole prendere le redini e governare tutto ciò che prima era sopito.
Ed è proprio questo raffronto tra il dentro e il fuori che segna il limite del passaggio. La transizione, non a caso mediata dall’acqua, elemento primordiale, da un’età all’altra.
Il racconto di un tardo pomeriggio in una piscina pubblica diventa il delicato sorprendente racconto del passaggio dalla preadolescenza all’adolescenza, e delle emozioni e sensazioni che l’accompagnano.
«Sei approdato a una nuova fragilità». Nuova, perché ogni età ha le proprie, e metterle a fuoco è la cosa più difficile. Riconoscerle, affrontarle e soprattutto accettarle.
«Buon compleanno. È un gran giorno, grande quanto la volta dell’intero cielo sudoccidentale. Ci hai pensato e ripensato. C’è l’alto trampolino. Loro se ne vorranno andare da un momento all’altro. Sali su e fallo».
E così si mette in fila. Ti metti in fila, perché quel ragazzino sei tu, a tredici anni. Ha paura, ma ormai è in fila con tutti gli altri ed è troppo complicato tornare indietro. Ogni piccolo avanzamento è minuziosamente descritto. Ad ogni piolo della scala avverte, e tu con lui, il dolore alla pianta dei piedi, perché i pioli sono sottilissimi. Non se l’aspettava. E naturalmente da lontano i pioli sembrano di meno. Quante cose, d’ora in poi, saranno come non si aspettava fossero.
E in questo continuo scrutare il 'dentro' e il 'fuori', il tempo. Dilatato, sospeso, muto.
«Fuori di te non passa tempo. È sbalorditivo. Il tardo balletto sottostante è al rallentatore, i movimenti dilatati di mimi in gelatina azzurra. Volendo potresti davvero restare qui per sempre, con una vibrazione interna così veloce da fluttuare immobile nel tempo, come un’ape su qualcosa di dolce».
David Foster Wallace
Il tempo, protagonista del racconto. Il tempo di salire una scala a pioli, il tempo che disegna cerchi d’acqua in piscina, il tempo di percorrere la tavola prima del tuffo. Il tempo che inesorabilmente ti accompagna e scandisce le età.
Tempo talmente ben descritto che diviene quasi palpabile, in un climax che ha il suo acme alla fine della lunga tavola di plastica bianca e ruvida, proprio dove ci sono due macchie scure lasciate negli anni dai talloni di tutti i precedenti tuffatori. Ed è incredibile come due semplici ovali neri possano diventare il limite di demarcazione tra un’età e un’altra. Da lì, con un salto, il tredicenne non sarà più il bambino di prima.
«C’è stato tempo in tutto questo tempo. Non puoi uccidere il tempo col cuore. Tutto richiede tempo. Le api si devono muovere rapidissime per restare immobili».
«Per sempre lassù», un racconto di David Foster Wallace. Il racconto più bello che io abbia mai letto.