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La morte sveglia!
Qual è la funzione e lo scopo della morte?
di Egidio Missarelli
Il viaggio della vita è destinato a rimanere ai nostri occhi privo di senso se non viene accolto e compreso il senso della nascita e della morte, poiché l'esistenza incarnata prevede inevitabilmente sia l'una che l'altra.
Sappiamo bene che neanche chi esercita un grande potere e si sente forte e invincibile può sfuggire alla decadenza del corpo fisico e alla sua distruzione, dunque nessuno può trascurare di dare un senso alla morte, poiché altrimenti perderebbe di senso la vita stessa. Se non comprendiamo la funzione e lo scopo della morte, sarà difficile comprendere anche la funzione e lo scopo della vita, che ci sfuggirà inevitabilmente, come sabbia tra le dita.
I fatti mostrano che i processi di morte, di distruzione, sono costantemente presenti nell'esperienza della vita naturale, sia appartenente al mondo esterno che al nostro proprio. Si può dire che la vita costantemente e instancabilmente rigenera ciò che, come peculiarità, il mondo fisico-minerale tende a portare verso il dissolvimento. Osservando un cadavere, vediamo all'opera la realtà del mondo fisico, le sue leggi, che passo a passo disgregano la coesione che l'essere vivente aveva, e a lungo andare il tutto si riduce in polvere.
In realtà la morte è solo l'ultimo atto di un processo sempre presente che è quello proprio delle leggi della natura fisico-minerale.
Le leggi del mondo fisico si comportano in egual maniera nei confronti della corporeità fisica, sia in vita che dopo la morte. Osservando la loro azione su un cadavere possiamo comprendere quale sia la partecipazione del mondo fisico-minerale, con le sue leggi, all'economia dell'universo: il graduale ma inesorabile dissolvimento.
Dalla nascita alla giovinezza possiamo constatare che le forze di crescita e di vita prevalgono su quelle di morte e distruzione; dalla maturità alla vecchiaia sono prevalenti invece quelle distruttive, fino all'usura totale della corporeità fisica che, con l'atto finale della morte, viene deposta quale residuo.
La conoscenza scientifico-spirituale ci permette di inquadrare il tema della morte nel processo storico di superamento della stessa nella resurrezione del Cristo (nel vangelo di Giovanni viene chiamato Logos e in quanto tale è indipendente da qualsivoglia confessione religiosa). Cosa, questa, di non poco conto e bisognosa, più che di esser creduta, di essere conosciuta: sappiamo che nella Bibbia "conoscere" significa anche "fecondare" ("conobbe sua moglie"), e anche nel termine "concezione" abbiamo il duplice senso della concezione nella carne e nello spirito (il "concetto" partorito dall'attività del
pensare).
Nella conferenza del 14 gennaio 1915, Rudolf Steiner dice: "Morire in Cristo, significa precisamente non morire. Significa attraversare coscientemente la morte senza soggiacere ad essa. Questo è espresso in una massima di Angelo Silesio: Non muoio e vivo io / E' Dio che muore in me / E ciò che io devo vivere / Anch'egli sempre vive... se l'uomo sa che Dio vive in lui, sa anche che la morte è vinta grazie alla conoscenza. Sapere che Dio muore in me significa sapere che io non muoio, perché Dio non muore".
Inoltre, com'è diversa la prospettiva se nel riflettere sul tema della morte noi implichiamo le verità fondamentali della reincarnazione e del karma! Non considerando queste realtà, chi nei tempi passati in Occidente aveva comunque una visione spirituale della vita, riteneva che castighi o premi per la propria condotta fossero sciolti dal legame terrestre e riferibili a un mondo puramente spirituale (nella prospettiva che stiamo utilizzando si parla di debiti e non di castighi o premi).
Se conoscitivamente venissero comprese la reincarnazione e il karma - elaborandole anche e soprattutto riferendole alla libertà umana -, e ancor più fecondassero la vita degli uomini sulla terra, ne risulterebbe un accresciuto senso di responsabilità dell'uomo nei confronti della Terra e degli altri uomini. Se so che dovrò ritornare sulla Terra e che sarò così come io ho deciso di essere agendo sulla base delle mie libere scelte operate nell'attuale incarnazione, il mio senso morale e la mia responsabilità si espanderanno in maniera esponenziale. In questa prospettiva, io so che il futuro della Terra, la sua
cultura e tutta la sua configurazione esteriore, dipende da come io e gli altri uomini abbiamo vissuto nell'attuale incarnazione.
Com'è invece povera e illogica la prospettiva opposta che contempla una sola incarnazione: si afferma che l'entità incorporea dell'uomo (chiamata genericamente "anima") viene creata da Dio al momento del concepimento, ammettendo così implicitamente che la creazione dell'anima dipende dalla volontà di copula di due persone di sesso opposto, pertanto attribuendo valore di causa al sostrato materiale. Si tratta di un'eredità aristotelica – Aristotele non nega la preesistenza, semplicemente non ne parla, al contrario del suo maestro Platone che invece ne parla diffusamente – che, passando per la scolastica, sfocia nel materialismo moderno. E per giunta si afferma l'immortalità dell'anima, senza fornire una conoscenza scientifica di questa vita dopo la morte, che s'invola definitivamente, per l'eternità e senza appello, in paradiso o in purgatorio o all'inferno! Intellettualmente più onesta è la posizione di quegli scienziati che ritenendo la corporeità fondamentale per l'esperienza di sé che l'uomo ha, conseguono logicamente che quando questa viene a mancare tutta l'esperienza umana termina. Si chiedono giustamente: cosa mai dovrà sopravvivere?