Nascere postumi in una poesia politica

Come sfuggire alle supercazzole

di Egidio Missarelli

Paul Celan

Paul Celan

«Nel giro, udito | sproloquiare a vuoto, | con guaito servile | in certe pause –  Ti ridon dietro, e tu | con presagi di gola, | bocca goffa, | traversi a nuoto il tratto di destino. | Il grido di un fiore | cerca di giungere a esistenza».
Paul Celan

L’età richiama il tempo e il suo mistero. Non è affatto pacifico rispondere alla domanda: «Cos’è il tempo?», ma il porsela ci pone nel solco della nostra esperienza umana, che si sviluppa lungo la direzione temporale tra la nascita, l’infanzia, l’adolescenza, la maturità, la vecchiaia e la morte.

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Si dice: «Il tempo è denaro», e in effetti siamo proprio a un crocevia in questa nostra epoca foriera di deferenti scappellamenti (Tognazzi direbbe: «Tarapio sulla supercazzola con scappellamento a destra o sinistra?»): vivere o essere vissuti. La strada è tracciata: dalla culla alla tomba si vivono le età come se fosse una, senza riguardi e senza tregua. Una corsa, una gara; nel traffico, nel rumore, nell’astio, nelle paure e, soprattutto, nelle menzogne. L’età della ragione è ormai diventata una farcitura di idiozie valide solo a diventare uno yes-man decerebrato e pronto a tutto per un bonifico consistente. I cosiddetti vecchi hanno contribuito allo status quo e il trattamento a loro riservato non può che essere in linea con il pensiero decerebrato che hanno contribuito a creare e ad alimentare durante tutta la loro vita. La saggezza dell’età è sempre più somigliante a un rincoglionimento, senza dubbio con i migliori propositi e in buona fede, ma ciò non cambia di una virgola la situazione.

Di fondo, non manca forse la conoscenza di sé? Qual è la differenza? Quali sono le differenze?

Mi chiedo come sarebbero andate le cose, e come andrebbero, senza corruzione e schizofrenia mentale e con una pedagogia reale. L’indipendenza la si insegna, come la deferenza. Ha proprio ragione un docente universitario, irriducibile, quando dice, ad esempio: «Per quale perversa ragione i bambini e i ragazzi della specie Homo sapiens, invece che essere lasciati liberi di apprendere nella loro creativa bellezza e attraverso il gioco, devono studiare, faticare, dimostrare, essere premiati con voti alti se fanno quello che si dice loro di fare, essere puniti con voti bassi se non lo fanno? La scuola è un’istituzione obbligatoria priva di senso nata con le società stratificate. Il suo unico scopo è quello di ammaestrare i cuccioli per farli diventare bravi cittadini di Stati e di organismi fondati sul principio del dominio e della prevaricazione (naturalmente sotto i nomi pomposi di 'democrazia', 'inclusione', 'partecipazione')». (F. Benozzo, post Fb del 06/05/2024.)

 

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Non ha forse ragione?
Si potrebbe chiosare con Friedrich Nietzsche: «E coloro che furono visti danzare vennero giudicati pazzi da quelli che non potevano sentire la musica».
Oppure trovare il senso dell’età nel nascere postumi (da ben-pensanti a pensanti).

Avverto come un disagio misto a compostezza nel cercare di dipanare le 'nebbie', i fumi soporiferi di un voler trionfare di reiterate idiozie e menzogne (nel dentro il fuori si è strutturato, istituzionalizzato) sullo spessore delicato ma infrangibile di un identico mai a se stesso.
Mi trascino lacerato, ferito a morte, ed è un motivo di resistenza l’unico problema, che è progetto inaudito, e confessa sempre il pronunciato e il pronunciabile.
Mi sento nato postumo, o, meglio, non ancora nato e, come Nietzsche, rido e danzo e, come me stesso, creo.

L’immaginario carico di borborigmi e flatulenze sonore è la sostanza mentale e sentimentale che ha ormai sostituito la profonda intuizione di Shakespeare, e i sogni sono diventati incubi, trame delittuose in odore di santità, trappole per topi, veleno che come pharmàkon omeopaticamente cura, ma come tale uccide.
L’idea della cicuta socratica ci fa rinascere perché ci orienta a pensare quanto la morte sia essenziale alla saggezza, e a compitarne il duro linguaggio. Imparare il silenzio è l’unico approdo, saldo quanto sempre precario, e nella valigia voglio solo l’essenziale: la rinuncia!

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