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Il «mago» Helenio Herrera
Gioca velocemente, corri velocemente, pensa velocemente…
«Giocare con semplicità è giocare velocemente». «Difesa: non più di trenta goals! Attacco: più di 100 goals!». «Classe + Preparazione atletica + Intelligenza = Scudetto».
«Il calcio moderno è velocità: gioca velocemente, corri velocemente, pensa velocemente, marca e smarcati velocemente». «Nella vita si deve avere l’ambizione di raggiungere il traguardo più alto possibile: il tuo traguardo è il Titolo.» Questi sono alcuni dei cartelli che Helenio Herrera, scritti di proprio pugno, affiggeva negli spogliatoi, nei luoghi di allenamento dei primi anni sessanta dell’Inter, i campi dell’Aereonautica all’Idroscalo di Milano o quelli della storica Arena. In seguito, allo scopo, fu inaugurato l’avveniristico centro della Pinetina di Appiano Gentile.
Se si parla di magia nello sport, non si può fare a meno di ricordare il 'Mago' per eccellenza, il primo e forse unico personaggio dello sport che merita questo appellativo. Helenio Herrera nacque in Argentina, Buenos Aires, nel povero quartiere 'Palermo', da genitori spagnoli, trasferitisi poi in Marocco quando lui aveva otto anni. In seguito fu naturalizzato francese. Quel 10 aprile 1910, in quel quartiere di Buenos Aires, dove la povertà e la vita dura erano una costante quotidiana, nacque un mito del calcio, in assoluto uno degli allenatori realmente rivoluzionari in questa disciplina sportiva.
Le rivoluzioni nella storia modificano radicalmente il quadro sociale, trasformano di netto abitudini e leggi, creano scompiglio e, quasi sempre lasciano morti sulle strade e nei palazzi del potere. Facendo ovviamente le dovute proporzioni, due fatti accaddero nel primo campionato di Herrera all’Inter, quello 1960-61: la contestazione al potere e l’epurazione di un personaggio scomodo. La prima quando per protesta in seguito ad un’iniqua decisione della giustizia sportiva, mandò in campo la squadra giovanile contro la Juventus a Torino il 10 giugno 1961, beccandosi naturalmente una sonora sconfitta 9 a 1, unico gol dell’Inter dell’esordiente Sandro Mazzola. La seconda fu la cessione dell’idolo delle folle Angelillo, colpevole di una vita sregolata che contrastava nettamente con la concezione del calciatore che aveva Helenio Herrera, che doveva per lui avere una vita in parte simile a quella di un monaco-atleta buddista. Tanto per intenderci, si dice che la lettura formativa del Mago furono «Gli esercizi spirituali» di Ignazio di Loyola, un testo letto e riletto nel percorso della sua vita.
Possiamo distinguere due fasi ben nette e delineate nella storia della figura di allenatore di calcio: il periodo pre-Herrera e quello post-Herrera. Il 'Mago' introdusse delle innovazioni che faranno la storia del calcio. Il concetto di allenare 'prima la testa, poi le gambe', fino all’arrivo del ciclone Herrera era un metodo solo leggermente accennato nelle pratiche sportive. Da lui in poi è diventato prassi comune. H.H. (altro soprannome) faceva prima parlare i giocatori, li confessava; poi li fulminava con frasi secche e indiscutibili, che centravano perfettamente il segno delle loro menti. Meticoloso fino all’ossessione, concentrava nella velocità di pensiero e di azione tutta la sua grande carica fisica e mentale.
Una figura enorme, carismatica, poliedrica. Una vita picaresca. H.H. ricordava che suo padre era un falegname anarchico, che si era dovuto spostare in Marocco dalla Spagna franchista per dare da mangiare alla sua famiglia. Quando c’era poco lavoro in casa, si mangiava a malapena. Una scuola di vita, che ritornerà per tutta la sua esistenza, quando ai calciatori faceva capire che il loro era un lavoro privilegiato, non si poteva sgarrare e condurre una vita sregolata. Tutto doveva essere controllato nei minimi particolari. Il 'Mago' aveva il dono dell’ubiquità. Sandro Mazzola e Mario Corso ricordano quando erano in ritiro a Madrid e fuggirono dal ritiro, notare bene non per andare in qualche locale o da qualche bella ragazza, ma per andare a visitare il Museo del Prado, attratti dal mito della «Maya desnuda» di Francisco Goya. Lì, improvvisamente, il 'Mago' apparve loro. Lui li vide e fece finta di nulla, i calciatori erano sgomenti. «Vivere velocemente spostandosi nella direzione giusta» era una frase di H.H., uno dei suoi celebri motti. Innovatore radicale anche nei rapporti con la stampa, il 'Mago' soleva dire che ai giornalisti bisognava parlare come a dei bambini di dodici anni, scandire loro bene le parole, per evitare fraintendimenti e inutili polemiche. Ma quanto lavoro creò per loro, quanti titoli, quante possibilità di riempire le pagine dei giornali. Lui, nonostante la sua franchezza, sempre cortese nelle risposte, pronto a soddisfare tutte le domande. Un uomo di altri, bei tempi. Quando l’Italia e il mondo erano forse più ingenui, ma indubbiamente più reali, più veri. Il concetto espresso dalla sua meravigliosa moglie, Fiora Gandolfi, era che Helenio «trattava l’esistenza con rispetto, nemmeno un secondo doveva andare sprecato».
Due parole su questa donna. Non deve essere stato per niente facile vivere al fianco di un personaggio simile. H.H. era un uomo al centro di tutte le attenzioni del mondo, una vita frenetica, un carattere forte e determinato fino all’eccesso. Un uomo latino, mediterraneo, tutto d'un pezzo, le lettere delle spasimanti non si contavano. Lei gliele leggeva, di persona, un’abile mossa psicologica per impadronirsi per sempre di chi gli avrebbe voluto rubare il suo Helenio.
Una delle intuizioni fondamentali di H.H. è che i suoi atleti erano solo calciatori, lui li allenava solo per il calcio. Non creava degli atleti perfetti, a lui interessava che fossero calciatori perfetti, allenati per i goal, per la difesa, per i rigori o i tempi supplementari. I suoi allenamenti erano solo ed esclusivamente con la palla. Un’efficienza mirata solo all’obiettivo del gol, del vincere nel calcio, non in altre specialità atletiche che esulavano da quello che doveva essere l’unico obiettivo: essere i migliori al mondo nel gioco del pallone. Un’essenzialità rigorosamente mirata all’obiettivo. Come quando fece credere a Bicicli, soprannominato “bicicletta” per la sua velocità di gambe, di essere uno dei più grandi giocatori del mondo. Era un calciatore tutto sommato di media levatura, a essere larghi, ma il giocatore fu indotto a crederci dal 'Mago' e grande lo diventò davvero. Lo diventò nelle situazioni che servivano, in qualche partita, giusto per cogliere l’efficacia e l’essenzialità.
In questo Herrera fu veramente “mago”. Quando nelle interviste gli parlavano di questo suo soprannome, lui ovviamente rispondeva che i maghi non esistono, la realtà si trasforma solo col lavoro; diceva: «Io non sono un mago, io sono un allenatore che lavora e che ha bisogno di bravi giocatori, come qui all’Inter». Massimo Cacciari, in occasione di un’intervista, ricorda che «la magia è immediatezza intuitiva, la capacita di intuire immediatamente, di essere subito alla meta, di vedere il fine prima di percorrere tutto il processo che vi conduce, contro il quale c’è sempre il sospetto dello scienziato».
Ma Herrera mago lo era diventato da giovane, negli anni del Marocco, nei labirinti del suk che frequentava quando andava a fare la spesa con la madre, ricolmi di oggetti stregoneschi. H.H., razionale e pragmatico, da ragazzo si era convinto che una zampa di lepre bianca, strofinata su un ginocchio dolorante, può miracolare uno zoppo, basta crederci. Citerò un episodio, tratto da un prezioso libretto, quaranta paginette, che consiglio vivamente di leggere se interessati all’argomento. Il titolo è «Elogio di Helenio Herrera», scritto da Giancarlo Dotto, Tullio Pironti editore. Dotto scrive: «Da uomo adulto e spericolato, fece spesso uso di questa sua sapienza. Sapeva ad esempio che le popolazioni celtibere della Galizia sono immerse dalla notte dei tempi nella suggestione delle 'meigas', le streghe che preparano le loro pozioni con le radici e i prodotti della terra. Luisito Suarez, gallego, il suo giocatore prediletto, credeva nel potere magico del vino versato per sbaglio sulla tavola apparecchiata, come sospinto da una 'meiga' invisibile o da un folletto di famiglia. Quando questo accadeva, Luisito si sentiva invincibile. Scoperto questo segreto sensibile del suo pupillo, il diabolico Helenio si sedeva spesso a tavola lontano da lui e rovesciava il vino, scusandosi col cameriere per aver imbrattato la tovaglia. Un attore consumato. Tutto questo, senza guardare mai dalla parte di Suarez, ma percependone il silenzio e la morbosa attenzione. Helenio Herrera fu un allenatore che vinse tanto, nella sua carriera trionfò in tutto quello che c’era da vincere. Ma è soprattutto nei trofei di quella che sarà ricordata nella storia del calcio come 'La grande Inter' che si ritrova l’essenza della sua impronta, del suo modo di vivere, delle sue profonde convinzioni, della sua genialità calcistica e della sua furbizia mediatica. Gli esordi all’Inter non furono facili. Arrivò con idee di calcio molto offensivo, ma dopo qualche sonora 'scoppola' cambiò il suo credo adattandolo al calcio nostrano, con qualche accorgimento difensivo in più e una buona dose di prudenza tattica. Una ricetta che segnò una stagione di trionfi ancor oggi irripetibili nella storia del calcio italiano. Ancora a oggi nessuna squadra in Italia ha mai vinto scudetto, Coppa dei Campioni (ora Champions League) e Coppa Intercontinentale (ora FIFA Club World Cup) per due stagioni di fila.
foto: storiedicalcio.altervista.org
Unpersonaggio pulito dentro e fuori, maniaco della perfezione, non trascurava alcun dettaglio. La moglie Fiora Gandolfi lo ricorda come un 'monaco', un salutista. Come quando lo trovava nudo in casa, con la finestra aperta, a fare esercizi di Yoga, ripetendosi frasi tra sé e sé del tipo «Io sono bello, io sono forte, niente e nessuno mi può fare paura…». Lei stessa ricorda quando, a suo parere, il 'Mago' cominciò il suo declino intellettuale e fisico: gli anni in cui allenava la Roma e si accorse che qualche giocatore vendeva le partite, un periodo in cui il suo mondo di certezze granitiche, quasi candide nel loro manifestarsi in un uomo comunque che nella vita aveva visto di tutto, nella sua visione delle cose, crollò improvvisamente come un castello di carta. Lei disse che il suo amato Helenio in quel periodo della sua vita 'cominciò a morire, da vivo'. Morte che in realtà lo colse parecchi anni dopo. Abbandonò l’ospedale di Madrid, dove era stato ricoverato per un lieve attacco cardiaco. Se proprio doveva morire, avrebbe preferito farlo nella sua cinquecentesca casa di Rialto. La mattina dopo lo aspettava un’ambulanza nel canale sotto casa.
Sempre dal libro di Giancarlo Dotto: «All’ospedale civile di Venezia lo intubano. Fece in tempo a dire a Fiora: «Non me fido qui, le infermiere hanno il culo molle, chi ha il culo molle non capisce», l’ultima folgorante sintesi nel suo miscugliato idioma veneto e spagnolesco. Helenio spirò mentre porgeva a Donna Fiora l’ultima lettera di una sua spasimante, per farsela leggere ancora una volta da questa straordinaria moglie-complice. Questa volta però non funzionò come le altre volte, lo stratagemma non servì a tenere stretto a lei il suo Helenio. Il Mago morì a Venezia il 9 novembre 1997.»
Singolare è la vicenda che vide protagoniste le sue ceneri. Fiora Gandolfi, per avere quella che lei riteneva una degna ultima dimora per il suo amato nella posizione da lei prescelta, dovette scrivere, dopo qualche anno di collocazione precaria, una lettera addirittura alla Regina d’Inghilterra. Pochi giorni dopo arrivò l’ok per la tomba presso il cimitero di Venezia, settore anglicano. Un percorso singolare e picaresco anche da defunto, per il nostro H.H..
Non è necessario essere interisti di fede calcistica come il sottoscritto (per chi non lo avesse ancora intuito) per apprezzare e considerare la grandezza di un personaggio della levatura sportiva di Helenio Herrera. Al di là del tifo calcistico, per chi come me, ahimè vista l’età, ha avuto modo di vivere in prima persona quella straordinaria stagione, è come viaggiare sull’onda di ricordi giovanili, quando tutto sembrava più bello ed entusiasmante e da piccoli si giocavano interminabili partite di calcio su sassosi campetti di oratorio che finivano inevitabilmente con punteggi da pallacanestro. Si giocava ore e ore, senza mai stancarsi, senza 'scuole calcio' a pagamento, senza genitori apprensivi che ti seguivano come imbarazzanti ombre a invadere quelli che erano i 'tuoi' momenti, la 'tua' scuola di vita. E nella mente risuonava questa formazione, quasi un mantra, una carica ritmica allora, ora struggente poesia del passato…:
«Sarti, Burgnich, Facchetti… ecc... ecc... allenatore: il Mago Helenio Herrera».