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Paesaggio da virus
Dobbiamo tornare alla terra per vincere la paura
di Michela Zucca - PRIMA PARTE
campo di soia
«Deserto agronomico»: con queste parole viene definito il paesaggio creato dall’agroindustria in gran parte della terra piatta del pianeta.
Dove hanno potuto, gli imprenditori del verde sono riusciti a risalire anche i pendii delle colline, costruendo scenari di spettrale monotonia: enormi distese di mais per dar da mangiare alle bestie, di barbabietole da zucchero per fare combustibile, soia transgenica per ogni tipo di impiego, ma anche vigneti sulla linea della massima pendenza, filari di lavanda esattamente distanziati, meli su filari…
Il paesaggio costruito dall’uomo ha origini antichissime. Ha contribuito a rendere ricca e numerosa la specie umana, ma non solo: ha aumentato la varietà degli ecosistemi. Perché un sistema agricolo ben gestito aumenta la biodiversità e quindi la stabilità del sistema ecologico. Il paesaggio alpino è un esempio eclatante: dall’Età del Bronzo in poi, il limite superiore della foresta è stato artificialmente abbassato per dare più spazio al pascolo delle vacche, e i versanti delle montagne sono stati terrazzati per coltivare essenze commestibili come il castagno, la vite, l’olivo, lasciando comunque larghi spazi di foresta originaria dove la zappa non poteva arrivare. Il risultato è – ancora oggi – la prima destinazione turistica mondiale.
Da cinquant’anni le montagne sono state via via abbandonate. La scomparsa delle coltivazioni, oppure il 'ritorno della foresta' sui pascoli, oltre ad impoverire esteticamente il paesaggio e a favorire il dissesto idrogeologico, fa letteralmente estinguere molte specie vegetali pregiate e delicate, come quelle officinali, impoverendo la qualità dell'erba e del suolo. Col risultato che essenze e materiali che una volta erano ricavati dall'agricoltura e dalla raccolta, ora sono fabbricati con procedimenti chimici inquinanti, e comunque non riescono a raggiungere lo stesso livello qualitativo di quelli 'naturali': vedi, solo a titolo di esempio, gli olii essenziali di lavanda.
campo di mais
E quasi senza accorgercene, mentre la monocultura portava via il paesaggio, sparivano anche i compagni di decine di migliaia di anni di storia umana: gli animali domestici, che dovevano diventare 'efficienti' come macchine e per questo venivano rinchiusi negli allevamenti intensivi. D’altra parte, oggi in Lombardia lavora in agricoltura l’1,8% della forza lavoro[1], per dar da mangiare a quasi il 99% della popolazione.
Pillole di Piccola Storiadi foreste, di streghe, di delinquenti e molto altro
Associazione Sherwood OnetaCultura dal basso nelle Terre Alte |
Rinchiusi per virus ed esercizi accademici
Queste settimane di pandemia (primavera 2020, ndr) hanno dato largo spazio alla riflessione e all’esame di dati che potrebbero non avere niente in comune. Esercitazioni accademiche. Allora mi sono messa a confrontare i dati di contagio per la Lombardia provincia per provincia, così, tanto per fare qualche esercizio di ricerca che sui media mainstreaming non si trova. Quindi ho messo in relazione ciò che gli studiosi di storia della medicina devono tenere in conto per analizzare i dati, e la potenziale morbilità, e quindi:
- La concentrazione della popolazione (più gente c'è più è facile il contagio, gli ambiti metropolitani sono sfavoriti).
- I movimenti di popolazione in entrata e uscita, soprattutto, come in Lombardia, su mezzi di trasporto affollatissimi e per ore ogni giorno (tre in media per i pendolari).
E poi ho messo in relazione qualcosa che solo Jared Diamond e pochi altri hanno inserito fra le cause di morbilità (perché si dà per scontato che oggi non influiscono più perché c'è… l'igiene):
3. La presenza di suini e bovini in allevamenti intensivi.
Poi ho scoperto, andando avanti con la ricerca, che anche gli studiosi di Nature avevano inventato un indicatore simile, aggiungendo ai bovini e ai suini anche gli avicoli (polli, anatre ed oche…). Quindi evidentemente avevo fatto qualcosa di giusto!
I risultati (all'ingrosso chiaramente, e tirati fuori con calcoli a mano e senza confronti con altri studiosi), a prima vista e a pancia, dimostrerebbero come la correlazione fra questi tre fattori sia diretta. Ovvero più aumentano gli spostamenti di popolazione, e la concentrazione di uomini e bestie, più aumenta il virus. Fa eccezione Mantova che ha sì un'alta quantità di bestiame in stalla, ma una concentrazione di popolazione bassissima (la più bassa in Lombardia a parte Sondrio) e movimenti di popolazione più limitati.
Il numero dei contagiati è tanto maggiore tanto più numerose le bestie in stalle industriali, specie i suini in allevamento intensivo, e quindi di conseguenza, anche lo sversamento dei liquami sui terreni. Collaborano attivamente alla diffusione del virus i movimenti dei pendolari (l’asse Milano - Bergamo - Brescia è un’unica metropoli con tassi di pendolariato fra i più alti d’Europa) e la concentrazione di popolazione.
Sul legame fra diffusione del virus e inquinamento del suolo ha preso posizione anche il presidente dei biologi italiani, Vincenzo d’Anna: «Ma quale Cina, il Coronavirus è padano». Viene dai nostri rifiuti industriali il ceppo isolato a Milano di coronavirus? È un 'virus padano' che esiste negli animali allevati nelle terre 'ultra concimate con i fanghi industriali del Nord'[2].
Secondo lui attualmente esistono due contagi in circolazione nel nostro Paese: il primo, cinese, che ha avuto una diffusione lenta attraverso i viaggi e gli spostamenti degli infettati, mentre un altro sarebbe locale e sarebbe quello scoperto dall'equipe del laboratorio dell'ospedale Sacco di Milano che ha isolato un nuovo ceppo del Covid-19. «Sembra che tale virus sia domestico e non abbia alcunché da spartire con quello cinese proveniente dai pipistrelli». Secondo il professore, il virus sarebbe collegato ad un fattore che si fa finta di non considerare: lo sversamento di 'liquami industriali' come concime, liberalizzato dal gennaio 2019 ed impiegato massimamente proprio nelle zone in cui si è sviluppato il virus[3].
Liquami e allevamenti intensivi
Ricordiamo che gli allevamenti intensivi, tipici delle zone in cui si è sviluppato il virus, nutrono le bestie con mangimi anche di origine animale e con mais proveniente da coltivazioni OGM. Non solo: riempiono bovini, suini e polli di antibiotici, tanto è vero che uno degli allarmi lanciati dall'OMS è proprio la resistenza agli antibiotici dovuta all'assunzione di carni piene di queste componenti che porterà all'incurabilità di molte malattie (e ad altre epidemie peggiori di questa) in futuro. Ma non basta. Le deiezioni di questi poveri animali vengono usate per concimare i campi. Si è sempre fatto, certo, ma il letame veniva lavorato, e fatto riposare un anno, e poi sparso a pala.
Vengo da un paese dove tutti avevano le vacche e la letamaia vicino a casa: nessuno di noi ha mai avuto malattie, non esiste memoria di patologie legate all'igiene da quando sono riuscita a consultare i registri sanitari (e facevamo burro e formaggio tutti i giorni). Quando si usava quasi non puzzava neanche più. Procedimento impossibile da adottare negli allevamenti 'moderni', che ne producono milioni di tonnellate al giorno da cui viene estratto il liquido. Lasciamo perdere che cosa questo comporti a livello di condizioni di lavoro per chi lo fa: i quattro indiani morti in una di queste cisterne piene di liquami in provincia di Pavia a settembre dell'anno scorso non se li ricorda più nessuno. Erano gli ultimi degli ultimi, non si può neanche imputare la colpa a un padrone perché facevano ditta a sé.
Certo, se si vuole dar da mangiare a milioni di persone con meno del 2% di occupati in agricoltura qualcosa bisognerà pur fare, è evidente che questa situazione non può tenere, la coperta è troppo corta. Non si può pensare di mangiare senza lavorare in produzione: non può esserci il 98,2% della popolazione che, dal punto di vista ecologico, vive a spalle dell'1,8% che lavora e gli fa la pappa. Per alzare così tanto i livelli di produzione su suoli tanto impoveriti con così poca gente che ci lavora bisogna spingere al massimo: i virus sono la conseguenza.
Erano anni che lo sapevano tutti…
Tutte queste pandemie hanno una cosa in comune: sono di origine zoonotica, sono trasmesse cioè dagli animali, soprattutto selvatici. In particolare, scrivono i ricercatori, «circa il 70% degli EID (Emerging Infectious Diseases, cioè le malattie infettive emergenti, ndr), e quasi tutte le pandemie recenti, hanno origine negli animali e la loro emergenza deriva da complesse interazioni tra animali selvatici e/o domestici e umani».
Ma siccome i focolai di queste epidemie sono stati associati ad attività e comportamenti di origine antropica – «alle alte densità di popolazione umana, ai livelli insostenibili di caccia e di traffico di animali selvatici, alla perdita di habitat naturali (soprattutto foreste) che aumenta il rischio di contatto tra uomo e animali selvatici e all’intensificazione degli allevamenti di bestiame (specie in aree ricche di biodiversità, il pericolo di insorgenza di malattie infettive rappresenta un punto cieco nei piani di sviluppo sostenibile»[4]. Perché il fatto che la Terra, organismo vivente e senziente, attaccata da pericolosi parassiti – gli umani – tenta di scrollarseli di dosso con ogni mezzo possibile, fra cui la creazione di virus sempre più efficienti e letali, metterebbe in discussione il modello di sviluppo.
In sostanza, mentre è crescente l’interesse politico nelle interazioni tra i globali e la salute umana, a cominciare da mortalità e morbilità per arrivare all’asma correlata all’inquinamento, le interazioni tra cambiamento ambientale e insorgenza di malattie infettive risultano trascurate. Sottovalutate, forse, nonostante le ampie prove che suggerirebbero di agire in modo contrario.
«Ad esempio, la comparsa del virus Nipah in Malesia nel 1998 era in un legame causale con l’intensificazione della produzione di suini ai margini delle foreste tropicali, dove vivono i bacini di pipistrelli della frutta; le origini dei virus SARS ed Ebola sono state ricondotte a pipistrelli cacciati (SARS) o che abitano regioni in crescente sviluppo umano (Ebola)».
Ci siamo arrivati: gli allevamenti intensivi di suini. Tutto quello che è successo da novembre in poi era già stato previsto e pubblicato su Nature, la più prestigiosa rivista scientifica al mondo, mappato in maniera precisa, sia per quanto riguarda l’Italia che la Cina, messo on-line e scaricabile gratuitamente da chiunque[5]. Dal 2017.
Come si può ben vedere, la mappa è di tre anni fa; i dati su cui è stata elaborata risaliranno come minimo a quattro anni fa: cioè da quattro anni si sapeva benissimo. Inoltre, si sapeva, da più di vent’anni, che la comparsa del tremendo virus Nipah in Malesia nel 1998 era in un legame causale con l’intensificazione della produzione di suini ai margini delle foreste tropicali, dove vivono i bacini di pipistrelli della frutta. Il tasso di letalità del Nipah varia tra il 40 e il 70%, e si manifesta con una polmonite atipica. A livello mondiale sono stati descritti meno di 20 casi, ma non è stata implementata una sorveglianza sistematica della malattia. Oggi si sa che la malattia da virus Nipah, molto somigliante a questo Covid, è endemica nell'Asia meridionale, dove sono stati descritti focolai epidemici sporadici in Malesia, a Singapore, in India e Bangladesh, dopo l'isolamento del virus nel 1999. A livello mondiale sono stati descritti meno di 20 casi, ma non è stata implementata una sorveglianza sistematica della malattia. Chiunque si occupi di malattie infettive sa bene che i primi ceppi, pericolosissimi, eliminano il portatore perché la mortalità è altissima, quindi se il portatore muore, la malattia non si diffonde. Il Nipah ha indici di mortalità fra il 40 e il 70%, il Covid più o meno del 2%. Si sa anche che una malattia si manifesta con tassi di mortalità altissimi, poi i ceppi mutano e anni dopo, la si ritrova cambiata con tassi molto inferiori.
Ma anche le origini dei virus SARS ed Ebola sono state ricondotte a pipistrelli cacciati (SARS) o che abitano regioni in crescente sviluppo umano (Ebola).
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[sarà pubblicata il 1° maggio 2020]
[1] valentinamutti.wordpress.com
[2] www.ilgiornale.it/news/politica/presidente-dei-biologi-ha-unaltra-teoria-quale-cina-1833766.html Articolo - intervista di Enza Cusmai - Dom, 01/03/2020
[3] In dettaglio la legislazione: www.certifico.com/ambiente/legislazione-ambiente/318-testo-unico-ambientale/3917-decreto-legislativo-3-dicembre-2010-n-205?fbclid=IwAR1NchSouE3vLSm2TSIDtBgPZ_97D8aiRVrBi8xcdQAbtCgUQBeZrZg83Cc
[4] www.pnas.org/content/117/8/3888. Opinion: Sustainable development must account for pandemic risk
Moreno Di Marco, Michelle L. Baker, View ORCID ProfilePeter Daszak, Paul De Barro, Evan A. Eskew, Cecile M. Godde, Tom D. Harwood, Mario Herrero, View ORCID ProfileAndrew J. Hoskins, Erica Johnson, William B. Karesh, Catherine Machalaba, Javier Navarro Garcia, Dean Paini, Rebecca Pirzl, Mark Stafford Smith, Carlos Zambrana-Torrelio, and Simon Ferrier. PNAS February 25, 2020
[5] www.nature.com/articles/s41467-017-00923-8 Global hotspots and correlates of emerging zoonotic diseases
Toph Allen, Kris A. Murray, Carlos Zambrana-Torrelio, Stephen S. Morse, Carlo Rondinini, Moreno Di Marco, Nathan Breit, Kevin J. Olival & Peter Daszak. Nature Communications volume 8, Article number: 1124 (2017)