Le donne delle Alpi

Storia di donne senza storia

di Michela Zucca - PRIMA PARTE

cantastorie valdese 1200

I Cereghino, cantastorie valdesi della Fontanabuona

Nella percezione comune, le società possono essere divise, grosso modo, in due grandi blocchi: quelle che mantengono delle tradizioni rassicuranti, statiche, e quelle che si lanciano nell’avventura imprevedibile del 'progresso'.

Popoli fuori e popoli dentro la storia

Sono le società che hanno paura del nuovo e quelle che hanno fatto dell’innovazione un valore in se stesso, giustificato al di là della morale. Quelle che stanno fuori dalla storia, e quelle che, invece, sono interne ai processi di evoluzione storica, e li determinano.

Ecco alcuni dei pregiudizi che distinguono i due tipi di uomini: le culture tradizionali sono società 'semplici', ovvero non sono dotate di tecnologie particolarmente sviluppate. A ben guardare, però, si scopre che valorizzano ben altre cose, che hanno raggiunto livelli di complessità impensabili in Occidente: i sistemi di parentela, le credenze religiose. In ambiente alpino per esempio, si vede come il metodo di sfruttamento dell’ambiente che hanno adattato riesce a cavar fuori dalla natura il massimo delle risorse con il minimo di dispendio energetico. Quindi è più progredito del nostro.

Altro preconcetto: sono senza storia. A parte il giudizio ideologico evoluzionista tardo ottocentesco che relega certi popoli ad uno stadio inferiore dello sviluppo del genere umano, col perfezionamento delle conoscenze linguistiche si è capito che presso di loro la memoria, più che essere 'fissata' con la parola scritta, è 'tramandata' attraverso il discorso orale, ma è comunque registrata; non solo: costituisce patrimonio collettivo, condiviso. Da noi invece, fino a pochi decenni fa, la 'storia' costituiva una sapienza spartita fra pochissime persone, che appartenevano ai ceti alti e alle classi colte: gli altri non avevano nessuna idea di ciò che era successo nei tempi andati, o meglio, si affidavano ai mezzi orali, e ricordavano ciò che a loro interessava di più. Cioè si comportavano esattamente come i 'primitivi'. In realtà, non ci sono popoli che rimangono esterni ai movimenti di trasformazione che investono il pianeta; non c’è civiltà che non abbia paura di modificarsi, e che non tenti di evitarlo se può; non si trovano comunità prive di tradizioni, di legami forti col proprio passato.

All’interno della cultura occidentale (ma non solo, in Cina è anche peggio…), la storia è stata scritta da chi ha vinto e ha potuto mantenere il potere negli ultimi secoli. Ovvero: gli storici sono, normalmente, di estrazione urbana, altoborghese se non aristocratica, non hanno (quasi) mai fatto un lavoro manuale in vita loro e soprattutto… sono nella stragrande maggioranza, maschi. E raccontano le vicende di chi è simile a loro: appartiene ai ceti dominanti, vive in città, ed è uomo.

Ma fino all’altro ieri, anche in Europa, in Italia e in nord Italia, la preponderanza della popolazione viveva fuori dai contesti urbani. Lavorava la terra per sopravvivere. Di questi, il 50% era costituito da femmine. Le donne delle Alpi sono state discriminate tre volte: in quanto montanare, quindi sicuramente arretrate; in quanto contadine, quindi tendenzialmente senza storia visto che il progresso si fa altrove; e infine, come donne, private della possibilità di far sentire la propria voce.

Trotula de Ruggiero Sage femme de cole Salerne

Trotula de Ruggiero, medico-ostetrica della scuola salernitana del XI secolo

 

Quando si tenta di ricostruire la storia delle donne, ci si imbatte in difficoltà che sembrano non finire mai…

Lo storico Eric Hobsbawn ha definito il femminismo l’unica vera rivoluzione del XX secolo: ma, se è vero che si percepisce un profondo mutamento rispetto alle condizioni di vita delle donne anche solo di mezzo secolo fa, gli antropologi sanno bene che le rivoluzioni non esistono. Perché movimenti e moti di piazza, che indubbiamente sono avvenuti e sono stati importanti, sono il momento di esplosione di istanze, bisogni, usi, che si sono sedimentati nei secoli e che già sono abitudini e comportamenti acquisiti in alcuni ambienti sociali, geografici, culturali.

Come non esistono le rivoluzioni, la 'conquista dei diritti' e il 'progresso' sono pia illusione: sono esistiti alcuni periodi storici in cui il potere di autodeterminazione, ovvero la possibilità di scelta personale, è più ampio (e poi bisogna vedere in che ambiti: per millenni, per esempio, l’individuo semplicemente non esiste al di fuori del clan e della famiglia…), ed altri in cui si riduce enormemente. Quel che è peggio, è che non si tratta di fasi successive, in cui ogni intervallo costituisce un avanzamento; ma di cicli che si sovrappongono e si incrociano, a seconda della classe sociale di provenienza, del territorio di appartenenza, della cultura identitaria di riferimento del gruppo, e anche, in ultima analisi, delle decisioni e delle capacità del singolo.

Prima di tutto, quando si esamina il materiale reperibile sul mercato o nelle biblioteche, ci si accorge che il 'secondo sesso' è fatto principalmente di principesse, nobili e sovrane, che stanno in città. La loro storia comincia con la Grecia antica, per proseguire con Roma repubblicana: prima evidentemente in Europa non esistevano donne, o non esisteva storia. Sono poverette costrette a sposarsi secondo la volontà dei genitori e a vivere servendo i desideri del marito. Nei secoli successivi, si rimane comunque in contesti urbani, aristocratici, per prendere poi esempio da intellettuali e da signore borghesi per continuare la narrazione. Matrimonio e filiazione i momenti principali della loro esistenza, sessualmente represse, ignoranti, riescono a contare qualcosa se acculturate, vedove o ereditiere.

La battaglia per il riconoscimento del diritto al voto delle donne in Svizzera

Ci si ricorda del lavoro femminile quando si diffondono le fabbriche. Si tratta di operaie che quando tornano a casa si trasformano in mogli 'di ceto medio'. A tappe forzate, si arriva agli anni ’70 col movimento femminista in cui improvvisamente le donne (tutte le donne, anche le proletarie stavolta, o quasi…) si svegliano, combattono per i propri diritti, riescono ad ottenere una serie di leggi favorevoli, e si mettono finalmente sul cammino della propria liberazione.

 

… C’è ancora tanta strada da fare ma i passi fondamentali sono già stati fatti e non si torna più indietro…

Questa la vulgata della storia delle donne come viene servita: ovvero quando qualcuno si degna di parlarne, perché su gran parte dei testi scolastici la storiografia di genere è ancora completamente assente, e rimane un settore di nicchia anche nei corsi universitari.

Donne che prima di appartenere ad ambiti culturali come quello greco e romano, sono state paleolitiche, mesolitiche, neolitiche e protagoniste fondamentali di civiltà radicalmente diverse, come quelle di matrice celtico – germanica, o retica, di cui nessuno fa cenno.

Donne che, fino agli anni ’50 hanno vissuto principalmente fuori dalle città: in campagna, in montagna. Ricordiamo che più del 75% del territorio italiano è coperto da montagne, e che l’inurbamento è un fenomeno recentissimo e breve della storia della popolazione della penisola, e quindi anche di quella metà che appartiene al  sesso femminile.

Donne che hanno sempre lavorato fuori casa, perché la figura della casalinga fu un’invenzione fascista elaborata ad arte per tentare di cacciare le femmine dentro casa. Senza riuscirci, peraltro, riuscendo però benissimo a far credere che il lavoro extradomestico fosse un fenomeno nuovo, che ha sottratto le madri ai propri ancestrali doveri di servire maschi, figli e vecchi di famiglia, per cui la crisi e la rottura di nuclei familiari, è tutto sommato loro responsabilità diretta. Sensi di colpa che ancora oggi moltissime sentono, alimentate dai media e dalla cancellazione della memoria storica. Scordandosi che la donna sulle montagne usciva di casa subito dopo aver munto le vacche e spesso non tornava fino a quando faceva buio, o doveva mungere per la seconda volta… altro che casalinghe!!!

Christine de Pizan, la prima scrittrice femminista della storia era un'italiana.

Donne che raramente sono state poveri esseri fragili e succubi, sessualmente represse. Donne che hanno combattuto, in battaglia, nei moti di piazza, nella resistenza contro gli invasori stranieri, contro gli oppressori fascisti e nazisti, spesso più forti dei compagni maschi, che hanno saputo scegliere e rischiare in prima persona. Anche se non sapevano né leggere né scrivere, anche se dovevano lavorare duramente, fuori e dentro casa, anche se dovevano trascinarsi dietro i figli, o lasciarli per strada perché non potevano occuparsene e forse anche, in casi estremi, eliminarli.
Donne che sono state la maggioranza delle donne della storia.

 

Delle principesse ne sappiamo abbastanza

In realtà, che cosa si sa delle donne? Le trecce esilissime che hanno lasciato provengono non tanto da loro, quanto dallo sguardo degli uomini che comandano, e che hanno 'fatto la storia'.

In effetti, gran parte degli europei, e la maggioranza assoluta e schiacciante delle europee sono stati scaraventati, per secoli, nel limbo della non esistenza, semplicemente escludendoli dai manuali e dalle considerazioni accademiche, seguendo una strategia che non ha comportato spargimenti di sangue ma che in ogni modo è stata  estremamente violenta ed efficiente nella cancellazione della memoria e nella fabbricazione di una verità che ha saputo escludere le donne senza farsi scoprire.

Ma, nel corso del tempo, sono state loro le custodi della memoria, loro che hanno conservato le tradizioni, raccontato le leggende, tramandato i miti, cantato le canzoni. Loro che hanno continuato a fare mestieri antichi, che hanno mantenuto vive tecniche arcaiche, che conoscono ancora i segreti della natura: loro sono state erboriste, medici, veterinari, psicologhe, quando gli specialisti deputati a questo ruolo dalle istituzioni mancavano, o non volevano sobbarcarsi lunghe ore di cammino in condizioni disagiate. Riprendendo l’eredità delle streghe, hanno amministrato il rapporto col sacro: dei pagani e dio unico, spiriti dei defunti e anime dei santi, loro sapevano a chi rivolgersi per la speranza. Dal punto di vista antropologico, la loro testimonianza è importantissima, essenziale: spesso, sono le uniche che ricordano, quelle che  sono disposte a parlare, perché mentre l’uomo è andato lontano a lavorare, e si è acculturato, lei è rimasta in paese, ha mantenuto l’identità.

«Questa è Roma, Giovanna, qui le persone scomode le uccidono.»

Per ricostruire la loro storia, è necessario saper fare un lavoro a puzzle, in cui fonti di diverso tipo (documentario, biografico, orale, mitico) vengano confrontate, tarate e poi fatte collaborare l’una con l’altra, in maniera tale da costruire un’elaborazione che dia una spiegazione sufficiente e plausibile agli avvenimenti: bisogna scordarsi la 'ricostruzione dei fatti' così come viene propagandata dalle visioni semplicistiche. Si tratta di un’operazione complessa che raramente si tenta di fare, perché è lunga e suscettibile di errori, e va contro interpretazioni consolidate. Ma se si fa storia delle donne è impossibile fare diversamente, altrimenti, si può parlare solo di quelle di cui rimane qualcosa di scritto: ma sono una ristrettissima minoranza. Nell’incertezza totale di ciò che avrebbe potuto capitare alle altre, tanto vale almeno provarci!

Si tratta di ricomporre tutto un modo di pensare e di intendere la vita che si può definire pre-storico: nel senso che se la storia che si studia è quella fabbricata ad uso e consumo di queste classi dominanti, maschili, quella di cui si parla qui è esistita molto prima, ed ha continuato ad esistere anche dopo, ma in universi separati, diversi, alieni, che solo occasionalmente hanno avuto dei contatti fra loro: il mondo delle donne e delle solidarietà femminili, che venivano tenute nascoste agli uomini. Per poter sopravvivere, per poter andare avanti, per tentare almeno di procacciarsi un minimo di piacere nella vita.

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[sarà pubblicata il 22 gennaio 2021]

 

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