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Il vino nel Medioevo
Seconda parte
di Natale Contini
La forte ripresa della viticoltura avviene attorno al Trecento anche a seguito dell'impetuoso aumento della popolazione che nel giro di tre secoli è quasi raddoppiata.
Il Basso Medioevo
Nelle città è l'epoca dei Comuni e della ripresa della vita. Si verifica l'ascesa delle città marinare, in particolare Venezia e Genova, che traggono grandi vantaggi dalle crociate, mentre Firenze diventa la capitale finanziaria europea. E proprio in Toscana si affermano due nobili famiglie, gli Antinori e i Frescobaldi, che investono le grandi ricchezze accumulate con il commercio e le attività finanziarie, nel mondo del vino. Si tratta di famiglie ancora oggi particolarmente importanti e prestigiose nella produzione vitivinicola.
Alla viticoltura ecclesiastica e dei feudi nobiliari si affianca, e prende sempre maggiore importanza, quella borghese o cittadina sostenuta dai capitali finanziari e dalla conseguente disponibilità agli investimenti. Il ritorno alla grande importanza della vite lo si ritrova negli statuti comunali che contengono disposizioni per tutelarla quali i divieti di circolazione nei vigneti all'epoca della vendemmia, sanzioni a chi fa entrare animali nei vigneti, pene severe per chi taglia i tralci o racimoli senza permesso, l'obbligo di rispettare i bandi vendemmiali ecc.
Dalle campagne il vino affluisce nelle città e nascono di conseguenza locali aperti al pubblico dove poter bere boccali di vino. La forte richiesta di vino dalla città spinge i vignaioli a piantare sempre più terreni a vigneto. Il produttore preferisce vendere il vino buono e tenere per consumo personale quello più scadente.
Il consumo in città, prima prerogativa dei ceti più abbienti, comincia a diffondersi anche tra la servitù dei signori. Il vino diventa sempre di più anche forma di pagamento delle prestazioni o mancia che viene data ai manovali per i loro servizi. Anche le municipalità iniziano a distribuire vino buono per compensare determinati servigi straordinari o in occasione di feste patronali o cerimonie. Nascono così nuovi commercianti: oltre al taverniere anche il cabarettiere, che attrezza con tavoli e panche i luoghi dove si svolgono fiere e mercati improvvisando una sorta di taverna ambulante.
In Francia Re Luigi IX nel 1250 concede il primo status ai mercanti di vino che in seguito si organizzano in corporazione. La diffusione del vino e la spinta a produrne sempre di più determina anche una produzione maggiormente scadente che tavernieri e cabarettieri non disdegnano comunque di acquistare per poi rivendere ai clienti più sprovveduti. In seguito nasce l'osteria, locale più dignitoso rispetto alla primitiva taverna, ma non esiste ancora un luogo dove si possa in contemporanea bere vino e mangiare.
Resi più sicuri i trasporti via mare con l'avvento delle Repubbliche Marinare ed abbassati i costi di trasporto, specie per l'azione della Repubblica Veneziana, ecco ricomparire in Italia quel vino greco che ebbe molta fortuna in epoca preromana. È il cosiddetto vino levantino prodotto con il vitigno malvasia (in lingua greca monemvasia dal nome di un porto del Peloponneso sud occidentale avente una sola entrata) proveniente appunto dal Peloponneso, oppure da Cipro e dall'isola di Candia (Creta). Si tratta di un vino dolce, alcolico e di buona persistenza. Lo consumano gli alti prelati, i ricchi mercanti e la nobiltà che ricercano vini raffinati, spiccatamente aromatici, del tutto diversi dai vini prodotti in loco. Considerato che già nella Magna Grecia si producono vini simili, la risposta del vino italiano non si fa attendere. Vengono così nuovamente impiantate lungo la fascia mediterranea, soprattutto al sud, migliaia di talee di malvasia aromatica. Ma anche al nord si avvia in alcune enclave l'allevamento di questo vitigno facendo appassire i grappoli, in pianta o su graticci, prima della pigiatura per ottenere una maggiore concentrazione di zuccheri e di sostanze aromatiche. La moda del bere dolce si diffonde sempre più. E per accontentare la massa dei consumatori, oltre all'appassimento delle uve, si avvia la pratica dell'interruzione della fermentazione del mosto per far sì che non tutto le zucchero si trasformi in alcol. In tal modo, grazie allo zucchero residuo, il vino risulta più morbido, abboccato, amabile o, più o meno, dolce.
La diffusione lungo le coste della Dalmazia, del Friuli e del Veneto oltre al centro Italia, dei vitigni atti a produrre simili vini, genera molta confusione col risultato che vengono per secoli (in parte ancora oggi) chiamate genericamente "malvasia" vitigni che nulla hanno di simile tra loro. Ma oltre alla malvasia si produce anche un Vinsanto, secondo alcuni il più diffuso, commercializzato nell'Italia medievale. Esistono numerosi significati all'origine del nome. Per alcuni si tratterebbe di xantos dal colore giallo, dall'uso liturgico nella Chiesa bizantina, dall'epoca della pigiatura che avviene nella settimana santa, ma il più probabile pare essere quello della provenienza dall'isola greca di Santorini.
La moda del vino dolce dura parecchi secoli. Si pensi che fino a metà dell'800 il Barolo, tanto per fare un esempio, era un vino dolce, amabile, leggermente frizzante, mentre il Barolo come lo conosciamo oggi è opera delle trasformazioni volute dal Marchese Falletti che assume allo scopo l'enologo francese Louis Oudart. Così come sono dolci i vini aromatici prodotti in Valtellina con il locale nebbiolo, chiamato ciuvinasca, descritti per primo da Ortensio Lando (umanista del '500 autore di una sorta di enciclopedia enogastronomica dal titolo Commentario de le più notabili, & mostruose cose d'Italia, & altri luoghi).
Una particolare tecnica della degustazione
L'offerta era diventata sempre più ampia, come fare quindi a scegliere consapevolmente il vino migliore o, almeno, il più idoneo al cibo da consumare? Nel Basso Medioevo, in particolare, si affermarono i primi criteri di scelta piuttosto elaborati, fondati su teorie pseudo scientifiche. Un criterio era basato sulla cosiddetta teoria dei quattro elementi (terra, acqua, aria e fuoco) e della connessa teoria delle quattro qualità (caldo, freddo, secco e umido), in virtù delle quali esistevano corrispondenze tra: le qualità, le stagioni, le età della vita e, infine, gli alimenti. Tali teorie venivano applicate anche in campo medico e, ovviamente, nella dietetica.
Per prima cosa si riteneva necessario individuare l'esatta natura e la qualità del vino stesso che – in linea generale – era classificato come caldo. Ciascun vino, però, possedeva tale proprietà in misura diversa. Ad esempio, più un vino era colorato, dolce e vecchio, più era definito caldo. Al contrario, si ritenevano meno caldi i vini giovani, tendenti al bianco e dal sapore acido. Oggi invece nella moderna tecnica della degustazione un vino è definito caldo (sensazione pseudo calorica) in base soprattutto al suo tenore alcolico.
Si considerava poi la costituzione umorale del bevitore, perciò, in prima istanza, si teneva presente la sua età, partendo dall'assunto di un antico proverbio:"Si nasce caldi e si muore freddi". Era sconveniente somministrare il vino, ritenuto caldo, alle persone giovani. Ciò non avrebbe prodotto un risultato temperato ma, al contrario,"avrebbe accentuato una qualità associata alla lussuria". Diversamente, il consumo di vino era consigliato alle persone anziane, proprio per stemperare la loro naturale freddezza.
Si valutava, inoltre, la qualità dei cibi che si accompagnavano al vino.Tuttavia non si trattava del classico abbinamento basato sull'equilibrio e l'armonia dei sapori, si combinavano, al contrario, gli elementi caldi e quelli freddi, allo scopo di realizzare quell'equilibrio ideale, necessario a raggiungere la migliore costituzione possibile, cioè una costituzione temperata. Se, dunque, si mangiava pesce – considerato cibo freddo e umido – ci si orientava su un vino caldo, capace di correggere la freddezza di quella pietanza. Si consideravano poi la stagione e il luogo in cui avveniva il consumo, ciò che oggi chiamiamo abbinamento territoriale. Sempre in virtù di un ideale comportamento compensatorio: meglio bere e mangiare cose fredde d'estate e cose calde in inverno. Idem per i luoghi geografici: ossia a piatto locale, vino locale. Ad ogni modo l'importante era sempre la valutazione delle qualità intrinseche degli alimenti e della bevanda. Ma, è forse superfluo ricordarlo, allora come oggi, l'applicazione di certi criteri dipende – in ultima analisi – dalle possibilità economiche del consumatore. Come a dire che, chi non può fare diversamente, sceglie il vino in base al costo della bottiglia! Oppure beve acqua...