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Il vino nel medioevo
Le prime opere enologiche o guide dei vini
di Natale Contini [Terza parte]
Mescita di vino rosso, Tacuinum sanitatis casanatensis (XIV secolo)
Nel XIV secolo fa la sua comparsa il primo libro sul vino, il Liber de Vinis, di Arnaldo da Villanova (1240 – 1313, medico, alchimista catalano) che illustra le sue valenze terapeutiche.
Egli affronta anche il problema dell'assaggio del vino in modo molto realistico e denuncia i commercianti che imbrogliano facendo sembrare dolci i vini amari e acidi, mediante l'usanza di far mangiare prima della degustazione liquirizia, noci o formaggi salati. Suggerisce agli assaggiatori, per sventare certi trucchi, di degustare il vino al mattino, dopo essersi sciacquati la bocca e avere mangiato due o tre bocconi di pane intinto nell'acqua perché chiunque assaggi un vino a stomaco completamente vuoto o completamente pieno si troverà con la bocca cattiva e incapace di giudicare. Il libro suggerisce rimedi per i vini che hanno odore cattivo o un brutto colore e per quelli che hanno perso sapore. Impartisce poi istruzioni per i travasi da una botte all'altra.
Subito dopo il Liber de Vinis sarà stampato nel 1303 il Liber Ruralium Commodorum il più importante trattato dell'epoca medievale, valido per molti secoli. Lo scrive un agronomo bolognese, Pier de Crescenzi. Un tomo affronta le norme sulla viticoltura (De vitibus et vincis et cultu, carum, ac natura et utilitate fructus ipsarum). Si tratta del libro di agricoltura più famoso del tempo pubblicato in 12 edizioni latine, 18 tedesche, 2 polacche e una inglese. La descrizione delle varietà riportate era talmente ricca di particolari e indicazioni agronomiche fortemente innovative, tanto da essere imitata ancora sei secoli dopo. Da citare un suggerimento del De Crescenzi che consiglia ai nobili di abbellire e fare ombra nei propri giardini piantando e allevando la vite a pergola.
Ma, ancora agli inizi del 1400 i vini italiani aventi un nome specifico non superavano la dozzina. Due secoli dopo erano invece almeno un centinaio a dimostrazione del grande impulso che ebbe la vitivinicoltura e la conseguente ricerca ampelografica. Una descrizione attenta e ampia la si ha ad opera di Andrea Bacci, naturalista medico di Papa Sisto V, che pubblica nel 1560 una Storia dei vini d'Italia. Nel libro vengono riportati vini di tutte le regioni italiane anche se la descrizione più dettagliata è riservata a quelli laziali, campani, siciliani e marchigiani.
I vini italiani medievali più conosciuti erano: la Ribolla prodotto nel territorio Triestino, la Malvasia e il Moscatello del Friuli, la Vernazza del Bresciano, il vino delle Cinque Terre, il vino di Valtellina, la Vernaccia di San Giminiano, la Vernaccia Nera e il Trebbiano delle Marche, il Greco del Lazio, il Greco d'Ischia, il Lacrima Christi della Campania, il Chiaretto di Cerillo in Calabria, l'Orvieto dell'Umbria, l'Est! Est!! Est!!! di Montefiascone, i bianchi di Marino, il Moscato e la Malvasia delle Lipari, il vino di Montepulciano e il Chianti in Toscana (che allora era bianco).
I vitigni bianchi: la schiava del bresciano e del mantovano, l'albana della Romagna, il trebbiano delle Marche, la greca e la vernaccia, la garganica del Veneto, lo zibibbo in Sicilia.
I vitigni a bacca rossa: il nubiola dell'astigiano (probabilmente progenitore del Nebbiolo), il maiolo o negretto del bolognese, la canaiola (l'attuale canaiolo) della Toscana.
Zibibbo di Pantelleria
Quasi contemporaneamente Sante Lancerio, storico e geografo, ma soprattutto bottigliere di papa Paolo III Farnese (Pontefice dal 1534 al 1549), conoscitore di vini, ci ha lasciato quello che è considerato il primo trattato enologico, che volle dedicare al cardinale Guido Ascanio Sforza. In esso descrive analiticamente le caratteristiche organolettiche dei diversi vini (gusto e retrogusto, aspetto e profumo) arrivando a indicare con competenza l'accostamento ai cibi. La corte papale nel Rinascimento, non era nuova nella ricerca di raffinatezze, e Paolo III era un attento degustatore, anche se è storicamente ricordato più per i suoi atti quali la scomunica di Enrico VIII, l'inaugurazione del concilio di Trento e l'approvazione dell'ordine dei Gesuiti, che per le sue inclinazioni enogastronomiche.
È bene ricordare che all'epoca di Lancerio il vino era una componente fondamentale dei banchetti, parte essenziale del nutrimento inteso come ricerca di perfezione e di equilibrio, piacere da non perdere e da coltivare con arte.
Lancerio seguiva il Papa nei suoi viaggi e organizzava pranzi raffinati, servendosi di maestri della cucina quali Giovanni de Rosselli e Bartolomeo Scappi. Era soprattutto attento nella scelta dei vini, affinché durante gli spostamenti del Papa non "avessero a soffrire" durante il trasporto. Il suo libro, unico del genere tra le opere in materia gastronomica, è anche uno spaccato di storia del periodo rinascimentale: tratta dei viaggi del Papa, analizza circa cinquanta qualità di vino che sono da degustare secondo lo stato d'animo, le circostanze, il periodo dell'anno, persino l'ora!
Il nostro bottigliere stabilisce una classifica anche dei vini destinati alla plebe: gli ubriaconi e gli osti, ben lontani dalla raffinatezza della corte papale, si accontentano di "tagli" di vino molto grossolani "che offuscano la mente e provocano ebbrezza".
Loda i vini italiani, dà un parere su quelli stranieri, per esempio sul vino spagnolo per il quale esprime giudizi poco favorevoli, ritenendolo troppo forte. Quelli francesi, naturalmente, li considera ottimi rilevando che risentono del terreno di provenienza. I vini italiani, li colloca ovviamente in testa alla classifica, soprattutto quelli dolci: Malvasia, Greco d'Ischia e Vernaccia di San Geminiano.
Il sommelier e l'assaggiatore di vino
Tasse de dégustationIl termine sommelier deriva dal francese provenzale saumalier. In origine il significato era conducente di bestie da soma; col tempo mutato in addetto ai viveri, poi in cantiniere. L'origine latina va individuata nella parola sagma, che significa soma e, per estensione, il carico che gli animali da soma trasportano.
La figura del sommelier nasce nel Medioevo. Fu Filippo V detto Il Lungo (1293 – 1322), con un'ordinanza del 1318, a utilizzare per la prima volta questo termine. Con questa disposizione i termini sommier e sommelier vengono indicati come figure professionali addette all'acquisto, al trasporto e al servizio del vino a tavola. Con l'aiuto della moglie, la Regina Giovanna, il Re di Francia e di Navarra elabora un dettagliato organigramma del personale di corte addetto al cerimoniale. Il sommelier è incaricato di preparare la tavola, scegliere i vini da abbinare ai piatti e servirli. Successivamente (XVIII secolo) avremo il somigliere di bocca e di corte che avrà le stesse mansioni oltre a quelle di ben conservare i vini e di mettere in pratica dei veri e propri rituali a seconda dell'importanza degli ospiti a corte.
Fu invece Filippo IV detto Il Bello (1268 – 1314) a istituire nel 1312 l'organizzazione dei Sensali, buongustai, degustatori di vino.
A partire dal 1400 si diffuse l'uso della bottiglia quale contenitore per portare il vino in tavola; si affermò anche l'impiego del bicchiere di vetro. La bottiglia era chiusa spesso con tappi di frutta, con filaccia, con una scodella rovesciata o con un tappo di vetro troncoconico.
Vino e salute
Nel Medioevo il vino riceve una vera e propria consacrazione come medicina quasi universale. La Scuola Medica Salernitana è stata la prima e più importante istituzione medica d'Europa nel Medioevo ( dall'XI secolo); come tale è considerata da molti, antesignana delle moderne cliniche universitarie. Ebbene i Maestri di tale Scuola compilarono un'opera in versi passata alla storia con il nome di Flos medicina o Regimen sanitatis. Ci sono numerose citazioni circa il valore terapeutico del vino quali: "quando ballano i vecchi vuol dire che il vino è eccellente". E anche: "è bene diluito, scintillante e bevuto con moderazione". [I vini erano anche utilizzati in funzione di prevenzione, gargarismi e spugnature, lenitivi di irritazioni e pruriti. Il Papa non era da meno a questo uso terapeutico. Spesso ai vini venivano aggiunti estratti vegetali o parti di piante per essere usati per la cura di particolari patologie. C'era anche un vino dell'oro spento preparato spegnendo una lamina d'oro nel vino, da usare per le malattie mentali e per confortare i lebbrosi.
Tra il 1200 e il 1600 imperò la moda delle spezie rare e preziose, forti o dolci, come il coriandolo, la cannella, il cardamomo, i chiodi di garofano, che venivano miscelate in varie proporzioni con vino, miele, zucchero orientale, andaluso o siciliano. Tant'è che il vino aromatizzato per eccellenza venne denominato Ypocras, dal nome di Ippocrate, padre della medicina.
Nel 1500 un medico senese, Pier Andrea Mattioli, commenta un opera di Dioscoride, medico militare greco del I secolo d.C., a proposito degli effetti benefici dei vini italiani: "il Falerno è di gran lunga il vino, soprattutto quando è vecchio, che ha le maggiori virtù salutari, così come il Sorrentino, mentre il Cecubo è di difficile digestione". C'è poi il Villanova che nel già citato Liber de Vinis elenca una lunghissima lista di vini aromatizzati da usare come rimedio per ogni sorta di malattia tra cui il vino alla lingua di manzo per curare i dementi e il vino al rosmarino che regola l'appetito, fa esilare l'anima, raddrizza i tendini, rende bello il viso, fa crescere i capelli, serve a mantenersi giovani e pulisce i denti. Incredibile!
Un altro aspetto era quello relativo alla stagionatura del vino: bere vino troppo giovane può provocare forti dolori di ventre ma se il vino ha più di un anno probabilmente è andato a male. Quindi come si deduce facilmente c'erano poche alternative per evitare effetti indesiderati, specie se si beveva molto. All'aceto derivato dal vino veniva riconosciuta una funzione igienica. Il vino è stato per molto tempo l'unica bevanda considerata igienicamente sicura visto che l'acqua allora non sempre era tale. In molte comunità durante particolari ricorrenze si abolivano le gabelle sul vino per facilitarne il consumo.
In controtendenza troviamo il moralista Francesc Eiximenis, (1330 –1409), religioso e scrittore catalano. Fu uno degli autori più letti, copiati, pubblicati e tradotti del Medioevo catalano. Scrisse tra le altre una monumentale enciclopedia Lo Crestià (Il Cristiano), in catalano medievale il cui terzo volume è dedicato al peccato. La parte relativa al peccato di gola comprende un trattato completo di enologia, uno sull'ubriachezza, un altro sui modi di stare a tavola, osservazioni sui benefici del bere con moderazione e un'esaltazione delle virtù e proprietà dei vini catalani (e non poteva essere il contrario!). "Solo la nazione catalana è d'esempio a tutto il mondo del bere correttamente e con temperanza". All'opposto critica aspramente gli Italiani accusati di essere boriosi snob: "quando bevono lo fanno a poco a poco e in piccole quantità esaminando e riesaminando il vino come fanno i medici con le urine, e lo assaggiano ripetutamente, masticandolo lentamente fra i denti finché lo hanno bevuto tutto". Come si vede eravamo già considerati tutti dei bravi sommelier-degustatori anche se peccavamo di gola. Il bello è che il nostro fustigatore di costumi prosegue minacciando "coloro che si soffermano, pensano, e rimuginano continuamente sul vino, parlando scrivendo, seguendo e modellandosi solo su questo, ne subiranno le conseguenze". E giù una lista di punizioni divine. Perciò un avvertimento a tutti gli amici sommelier sul rischio di finire tra le fiamme dell'inferno!
Bibliografia
- Mauro Vagni, "Dal Vino alla Taverna"
- Attilio Scienza, "La Vite e il Vino", Edizioni Coltura e Cultura
- Scienza, Costacurta, Calò, " Vitigni d'Italia", Edagricole
- Antonio Piccinardi, "Storia del vino in Italia", Rizzoli
- Hugh Johnson, "Il vino", Franco Muzzio Editore
- Alberto Dell'Acqua, "D'Vinis"
- Yann Grappe, "Sulle tracce del gusto. Storia e cultura del vino nel Medioevo", Laterza
- Massimo Della Misericordia, "Un contratto agrario per un'economia della vicinanza.
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