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Lettere di prigionieri
Memorie della Seconda Guerra Mondiale
di Luca Villa
Elie Wiesel scrisse un libro, «La nuit» (La notte), per raccontare la sua tragica esperienza, da ebreo, nei campi di prigionia tedeschi della seconda guerra mondiale.
Per fortuna non tutti questi luoghi di triste memoria, i quali hanno visto passare soldati e civili, giovani e vecchi, uomini e donne, furono votati all’eliminazione della persona con il duro lavoro e il poco cibo o direttamente con l’uccisione. Parte dei prigionieri riuscivano anche a inviare qualche comunicazione postale ai propri cari di cui non sapevano più nulla. Loro, genitori, fidanzate, mogli, non avendo più notizie avevano anche pensato al peggio. Ricevendo quella lettera si rincuoravano e rispondevano. Quando potevano inviavano anche qualcosa, cibo o abbigliamento, per farli stare meglio.
«... una collezione un po' più allegra però potevi farla...», ha commentato una mia amica nel presentarle questa raccolta. È vero, quello che è collezionismo legato alle guerre non è divertente perché infine ci ricorda il numero di morti, nel caso di quelle mondiali sono state decine di milioni. Da come la vedo io questa raccolta ha una duplice funzione, sia il ricordo storico grazie al materiale recuperato che la conoscenza legata alla documentazione che sto leggendo: parte entrerà nella collezione come spiegazione, altra rimarrà nel mio bagaglio personale.
È tanta la documentazione postale tuttora esistente e quindi, benché il materiale collezionabile è disponibile, mi sono subito reso conto che non è una raccolta semplice da organizzare, soprattutto se la decisione è di muoversi a livello mondiale, quindi prendendo in considerazione sia i campi di prigionia alleati che quelli nazisti. L'unica 'limitazione' che mi sono posto è quella di cercare principalmente materiale degli anni 1943, 1944 e i primi mesi del 1945, quindi la seconda parte del conflitto. Perché questa scelta? Nel 1943 gli Stati Uniti aprirono i loro campi di prigionia, l’Italia dopo l’armistizio (settembre ’43) si trovò con prigionieri nei campi alleati e negli stalag nazisti. Le spedizioni postali dai campi di prigionia nazisti verso madre patria o in territori occupati dal 1944 erano in continuo cambiamento con l’avanzata alleata nei vari fronti europei: orientale, occidentale e italiano.
Ho trovato sul sito dell’IMI (Internati Militari Italiani) una mappa di tutti i campi di prigionia nazisti in Europa. La perfetta organizzazione germanica aveva suddiviso la nazione in zone militari assegnando a ognuna di esse un numero romano. A loro volta i campi in quella regione erano classificati con le lettere dell’alfabeto. Così, ad esempio, la Prussia Orientale (ora Kaliningrad, Russia) aveva il numero I e il campo di prigionia vicino al villaggio di Stablack era denominato I A. Le zone militari erano XXI e non c’era un numero identico di campi in ogni territorio. Gli stalag erano i campi di prigionia per i soldati, gli oflag per gli ufficiali. Nelle cartoline e lettere prestampate a disposizione dei prigionieri era già indicato il nome del campo. Le cartoline normalmente avevano già la parte di risposta attaccata così da poter riscrivere subito al prigioniero. È difficile trovare cartoline con tutte e due le parti, per ovvi motivi... Le cartoline per i prigionieri italiani avevano indicato in alto a sinistra se il destinatario era nel nord Italia o nel sud Italia. Quelle per i francesi invece, segnalavano territorio occupato o Francia meridionale. Bisognava cancellare quella inutile, quindi oltre all’indirizzo vi era subito una prima suddivisione del recapito. Nel 1944 l’Italia del sud era stata liberata dagli alleati, quella del nord no. Quindi il sistema funzionava ancora. La scritta non era invece più corretta per la Francia liberata dopo lo sbarco di Normandia. Tutti i documenti postali avevano il visto di censura tedesco e, a volte, quello della nazione di destinazione della posta. Proprio perché controllato, il testo del prigioniero non rifletteva mai la sua vera condizione: «Sono in buona salute», «Lavoro e sto bene». La speranza di ritrovarsi presto insieme era quanto tutti si auguravano.
Nelle lettere dei prigionieri italiani e tedeschi dai campi di prigionia americani è indicato il nome del campo ma non la localizzazione, tutto finisce a un P.O. (Post Office) Box 20 a New York, da cui parte e arriva tutta la corrispondenza. Numerosi sono i campi, dislocati principalmente negli stati del sud del paese. Alcuni di loro nascono come centri di addestramento per soldati, quindi diventano dal 1942/1943 campi di prigionia. La maggioranza del materiale postale che ho trovato sono lettere, meno le cartoline postali. L'evoluzione dei campi negli Stati Uniti dipese molto dall'andamento della guerra e dai prigionieri che arrivarono. All'inizio si era pensato a dei campi in cui mettere i soldati giapponesi fatti prigionieri ma ben presto gli americani capirono che di prigionieri giapponesi ne avrebbero fatto ben pochi.
Arrivarono quindi i prigionieri tedeschi dell'Africa Korps, dalla guerra del Nord Africa, e gli americani si accorsero che doveva essere fatta una gestione e suddivisione, separando i semplici soldati della Wermacht dai più indottrinati di nazismo delle SS e della Gioventù Hitleriana. Per questi ultimi furono pensati dei 'corsi di democrazia' e nella maggior parte lasciarono il territorio americano solamente dal 1947.
I primi italiani prigionieri, anche loro dalla Guerra d'Africa, erano negli Stati Uniti in contemporanea ai loro alleati tedeschi. Impiegati in buona parte quali lavoratori nelle fabbriche e fattorie nei pressi del campo, dal settembre del 1943, dopo l'armistizio, passarono da prigionieri lavoratori a lavoratori.
Fu la stessa situazione che capitò agli italiani prigionieri in Gran Bretagna. Qui i campi erano siglati con un numero e l'elenco era tenuto ben segreto per evitare che i tedeschi potessero saperne la localizzazione e tentare sortite aeree per liberare i propri prigionieri. A loro volta i tedeschi erano interessati ad avere la lista dei campi di prigionia inglesi, non per fare azioni armate ma per evitare di bombardarli, con il rischio di uccidere propri connazionali.
Le lettere dai campi alleati del Nord Africa non sono così semplici da organizzare. Ho trovato delle tabelle che suddividono i campi per il numero assegnato allora, che siano in Algeria, in Libia o in Egitto. Fin qui tutto bene. Poi leggo online delle testimonianze di prigionieri i quali legano numeri diversi dalla tabella al campo in cui sono stati 'ospiti', lasciandomi così forti dubbi...
Materialmente ho diviso la collezione in due raccoglitori: campi di prigionia tedeschi e campi di prigionia alleati. Ogni documento è anticipato da una pagina con una breve storia del campo e una mappa per mostrare dove si trovava, quindi dopo la busta che contiene il documento, il quale è rivolto dalla parte dello scritto, c’è un’altra pagina con le informazioni sulla spedizione del documento ed eventuali timbri di censura, tutto ripreso dalla cartolina o lettera, e l’immagine del retro del documento (in caso questi siano grandi non possono essere aperti e visibili completamente). Per i campi di prigionia tedeschi ho seguito l’ordine numerico quindi partendo dall’ I A e infine ho messo i campi di concentramento. Per i campi alleati ho posizionato prima i campi negli Stati Uniti (suddividendoli per lo stato dove erano presenti) quindi quelli in Gran Bretagna e infine quelli presenti in Nord Africa e via dicendo.
Come possiamo catalogare questo tipo di raccolta nel panorama collezionistico? Viaggia parallela alla filatelia ma non lo è in quanto tutto il materiale è privo di francobolli, erano infatti spedizioni in franchigia militare, cioè senza costi. In effetti le lettere inviate dai campi di concentramento tedeschi che ho reperito finora presentano tutte il classico francobollo rosso da 12 pfennig con la faccia di Hitler, incollato su buona parte della corrispondenza ordinaria tedesca di allora. Le cartoline sono molto similari alle cartoline postali di allora e odierne, indirizzi da una parte, testo scritto dall’altra. Si può considerare storia postale.
Tutto il materiale è di pessima carta, durante il periodo della guerra con la carenza di qualsiasi prodotto, in primis il cibo, non era sicuramente possibile avere di meglio. Il passare del tempo ha portato molte lettere a rovinarsi con piccoli tagli o strappi. Se lo scritto era a matita in taluni casi potrebbe essere diventato difficile da leggere. Leggendo le lettere degli italiani potremo notare grossolani errori o italianizzazioni del dialetto, questo perché allora c’erano ancora persone che avevano solo alcuni anni di elementari quale istruzione o peggio ancora potevano essere al limite dell’analfabetismo (nell’ultimo censimento del 1931, due persone su dieci in Italia non sapevano ancora leggere e scrivere).
Credo che questa collezione mi impegnerà per i prossimi anni e spero di renderla più completa possibile.
Nel 1946 Primo Levi scriverà una poesia del nostro campo di prigionia italiano:
Il tramonto di Fossoli
Io so cosa vuol dire non tornare.
A traverso il filo spinato
Ho visto il sole scendere e morire;
Ho sentito lacerarmi la carne
Le parole del vecchio poeta:
«Possono i soli cadere e tornare:
A noi, quando la breve luce è spenta,
Una notte infinita è da dormire».