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Il vino nel Medioevo
Prima parte
di Natale Contini
Biagio D'Antonio, Trionfo di camillo
Il termine Medioevo è convenzionalmente utilizzato per definire il periodo storico tra il 476 e il 1492 d.C., spesso si tratta di una connotazione dispregiativa poiché è esclusivamente riferito all'oscurantismo e alla barbarie. In realtà non sempre è così, tant'è che recentemente il Medioevo ha avuto più di una rivalutazione.
Ad ogni modo i "secoli bui" non iniziano col 476 e il crollo dell'Impero Romano d'Occidente, bensì con la sua decadenza iniziata circa 200 anni prima con le invasioni barbariche di Goti e Visigoti, per finire con i Vandali che mettono a sacco Roma nel 455. Ciò provoca l'abbandono progressivo delle colonie romane e la conseguente crisi economico-sociale causata da profondi cambiamenti legati alla decadenza dell'agricoltura e delle sue strutture produttive. La vigna si tramuta da ramo fiorente dell'economia nazionale a marginale agricoltura di sussistenza. Si conclude il periodo del classicismo e le popolazioni di ceppo germanico che calano in Italia, sono portatrici di altri valori e di altra cultura. A tavola – per rimanere nell'ambito del nostro tema – il gusto raffinato del simposio viene sostituito dai rumorosi e pantagruelici banchetti. La frutta e la verdura sono sostituite dalla carne, il vino lascia spazio alla birra e ad altre bevande fermentate tipiche del Nord Europa. La civiltà del vino e dell'olio viene soppiantata da un'altra differente cultura.
Tuttavia, nonostante gli sconvolgimenti conseguenti la conquista longobarda di buona parte dell'Italia e il drastico calo della demografico (si pensi alla peste bubbonica che decimò la popolazione) la vite sopravvisse seppur in spazi ampiamente ridimensionati. In buona misura ciò lo si deve, oltre che a ragioni di consumo alimentare, alla liturgia cristiana. E sarà il legame mistico tra vino e religione che salverà la vite in questo oscuro periodo. Il vino e il pane si fanno carne e sangue e nel rito della messa il vino diventa perciò elemento indispensabile.
Per i monaci che coltivano la vite, produrre il vino equivale a diffondere il messaggio di Cristo. Da qui la presenza della vite in prossimità di ogni chiesa, monastero, abbazia. Furono in particolare i Benedettini a conservare e perpetuare la tradizione vitivinicola in tutti i luoghi in cui l'ordine si diffuse. Si può anche affermare che l'avanzata del cristianesimo coincide con la diffusione e lo sviluppo della coltura della vite. Ecco perché a partire dal VI secolo la vigna riprende vigore e riconquista, lentamente, ma gradualmente, le antiche posizioni. Va anche considerato che probabilmente le invasioni barbariche, come affermano diverse fonti, non portarono alla distruzione totale dei vigneti, mentre determinarono un crollo diffuso delle strutture economico sociali dell'occidente romano.
Con il tempo le popolazioni nomadi, dopo aver scorazzato in lungo e in largo per l'Europa, divennero sedentarie iniziando a basare la loro economia sull'agricoltura. Il re ostrogoto Teodorico propose la fusione tra vincitori e vinti come testimoniato da Cassiodoro (Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore 485-580, politico, letterato e storico romano, importante consigliere di Teodorico) che propose il vino come prodotto nazionale motivo di orgoglio italiano. Più tardi sarà il re longobardo Rotari (606-652), uno dei più prestigiosi re longobardi, ad emanare uno storico editto che stabilisce, tra l'altro, una normativa a difesa della produzione viticola.
Il faro di luce
Sarà, tuttavia, il regno dei Franchi a realizzare le premesse di una stabilità politica indispensabile per la ripresa economica. Non a caso si indica Carlo Magno (768-814) come il "faro di luce" che mette fine ai secoli bui. Fu questo imperatore ad aggiungere al regno dei Franchi tutta la Germania conquistando anche i territori longobardi a sud delle Alpi dalla Lombardia a Roma. Questo era il Sacro Romano Impero del quale Carlo Magno fu incoronato imperatore il giorno di Natale dell'800 da Papa Leone III. Ma perché faro di luce? Egli viene dipinto come acceso ambientalista e promulga importanti leggi sui prodotti alimentari. Per quanto attiene il vino, emana norme (Capitulare de Villis) molto rigorose sull'igiene e sulla produzione con il divieto tassativo di pigiare l'uva con i piedi, utilizzando invece il torchio, e di conservare il vino in otri di pelle. Concede ai viticoltori il diritto di vendere direttamente vino ai passanti e di indicare questo particolare tipo di mescita con una frasca sopra l'ingresso della cantina domestica. Di questo diritto, confermato dagli imperatori del Sacro Romano Impero, godono ancora oggi i produttori di vino viennesi. In Borgogna c'è un importante vigneto grand cru (ossia il massimo della classificazione), il Corton-Charlemagne, che produce uno dei vini bianchi da uve chardonnay più pregiati del mondo, che, stando alla leggenda, pare sia stato piantato dallo stesso imperatore.
La maggior parte delle testimonianze risalenti all'agricoltura nel periodo fra il V e il XII secolo si trovano negli scritti ecclesiastici, nelle mappe e nelle descrizioni particolareggiate delle chiese e dei monasteri. La presenza della vite era ad esempio indicata con espressioni del tipo vinea terra quod vinea, petia de terra vineata, clausura una de vinea, ecc. I monasteri erano piccole ma perfette organizzazioni che divennero il centro di gravità per tutti coloro che vollero proseguire a lavorare la campagna. Fu così che il paesaggio iniziò lentamente a modificarsi e il territorio coltivato ad ampliarsi. Da notare che allora la comunione veniva somministrata in forma originaria, ossia con il pane e il vino. Perciò il fabbisogno della bevanda crebbe.
Con l'aumento della superficie coltivata a vite e la conseguente crescita della produzione di vino, si diffuse anche la taberna in monasterio. Col passare del tempo e regole sempre meno severe, il vino veniva sempre più spesso e volentieri bevuto non solo durante la messa. Si arrivò al punto che all'ora et labora (motto con il quale i monaci dissodarono le terre rendendole coltivabili) si affiancò il bibites frates ne diabulus vos otiosos inveniat ("bevete fratelli affinché il diavolo non vi colga oziosi"). Pare che i pii monaci bevessero fino a 3 o 4 litri di vino al giorno, 1000 litri l'anno a persona, quando la regola benedettina ne prescriveva al massimo mezzo litro al giorno. Anche per questo nei capitolari carolingi si fa divieto ai monaci di frequentare le taverne. Seguirono le scomuniche papali per quanti si ubriacassero, ma pare non abbiano avuto grande successo.
La vigna divenne simbolo di ricchezza, ma anche di ordine sociale poiché dove imperava lo sfacelo la vite non cresceva. Ed ecco quindi apparire la viticoltura difesa dai recinti in contrapposizione alle orde barbariche che vivevano di pastorizia e mal sopportavano le recinzioni che impedivano al bestiame di pascolare. La recinzione serviva anche a difendersi dagli animali che potevano danneggiare sia il grappolo che la pianta. Il vigneto aveva anche per questi motivi un'estensione ridotta e la vigna doveva essere perciò molto produttiva e dotata di un'elevata fittezza d'impianto. Le viti venivano messe a dimora molto più vicine luna all'altra, anche 10/12 mila piante per ettaro, potate corte e coltivate ad alberello o sostenute da un palo morto. Ciò richiedeva perizia nella potatura della pianta e nella legatura dei tralci ai pali di sostegno.
I vigneti divennero così veri e propri giardini e il vignaiolo sempre più un vero esperto che conosceva tutto della vite, che decideva quali tralci tagliare, come innestare le piante, come allevare le barbatelle. In pratica il modello di vigneto era simile a quello contemporaneo coltivato da chi ha scelto la qualità a scapito della quantità. Ossia alle basse rese per ettaro si fa corrispondere la scelta di impianti sempre più fitti con pochissimi grappoli per pianta.
In questo periodo si consolidarono le pratiche di cantina. La data della vendemmia era fissata da un bando comunale. La raccolta veniva effettuata nella tarda mattinata per evitare che l'uva fosse troppo bagnata dalla rugiada. Dopo la pigiatura il mosto macerava per una ventina di giorni assieme alle bucce. La vinificazione era ancora approssimativa: il vino era spesso costituito da una miscela di uve bianche e rosse coltivate nello stesso vigneto, i travasi irregolari, la conservazione del prodotto limitata a non più di un anno. I vini venivano chiarificati utilizzando albume d'uovo e latte di capra. A partire dal Trecento in Toscana si praticò il "governo" aggiungendo uva e mosto cotto nella botte contenente il vino da governare provocando in tal modo una seconda fermentazione. I contenitori per l'invecchiamento erano di legno e si utilizzavano i torchi. Da notare che sempre in Toscana in quel periodo si iniziarono ad utilizzare i fiaschi, recipienti capienti ed impagliati per evitare rotture durante il trasporto e poterli mantenere in posizione verticale.
Qualche volta, ma non sempre, le uve venivano diraspate per ridurre l'acidità del vino. Una tecnica di conservazione, quando il vino era collocato in piccoli recipienti a bocca stretta, consisteva nell'aggiunta di un velo d'olio in superficie, per isolarlo dal contatto con l'aria. Le botti venivano impermeabilizzate con grasso e disinfettate e pulite con lavaggi di acqua e sale o cenere.
Il vino era bevanda offerta in tutte quelle situazioni di intrattenimento che ai nostri tempi hanno lasciato posto al caffé, a quel tempo sconosciuto in Europa. È pur vero che c'erano birra e sidro, ma molto più presenti tra le culture dell'Europa Settentrionale. In mancanza di tali bevande, ci pensava il vino a sopperire alla bisogna. Ma com'era il vino di quel tempo? Sicuramente più debole, leggero, fresco e maggiormente apprezzato giovane. Pertanto era invalsa l'abitudine di un suo uso in quantità non proprio modiche nell'arco della giornata.
Talvolta era aromatizzato con spezie quali l'anice stellato o il miele (claretus). Quest'aggiunta di ingredienti aveva il duplice scopo di migliorarne il sapore e conferire alla bevanda proprietà corroboranti. Spesso si rendeva necessario trattarlo poiché inacidito o torbido nell'aspetto. Il vino era anche utilizzato per gli scambi nei commerci o a fini politici, dal momento che nei rapporti tra città e Stato, non di rado, il vino figurava come tributo in segno di pace, di amicizia o di sudditanza. Era anche impiegato come salario degli operai.
Alcune definizioni del vino in quell'epoca:
- prìmis, ottenuto dalla semplice pigiatura;
- purus, cioè schietto che non richiedeva alcuna correzione o lavorazione aggiuntiva;
- bonus, di buon gusto, giusto tenore alcolico e zuccherino;
- odorifenis, dall'aroma intenso e piacevole;
- fortis, di alta gradazione e robustezza;
- grossus, corposo e vigoroso;
- nigrus, rosso e corposo.
Col nome di herbes si producevano infusioni di assenzio, mirtillo, rosmarino, miscelati a vino addolcito col miele. Il nome vino veniva anche attribuito a bevande costituite da soli succhi di frutta fermentata quali ad esempio, il more fatto con le bacche di gelso.
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