Il cibo
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I laveggi
Le pentole di pietra
di Michela Zucca - SECONDO TEMA
Costine di maiale, foto di Andrea Basci
«Già da molto tempo Piuro è ritenuta famosa soprattutto per la lavorazione dei recipienti torniti ( 'laveggi' ) che ivi si fa quasi di continuo, ricavati da uno speciale tipo di pietra.
Infatti questa si scava in un monte sulla sinistra (del fiume) un po' in alto, da caverne di profondità quasi incredibile, entro cui singoli uomini strisciano con le mani e coi piedi o piuttosto con le ginocchia, a causa delle loro strette aperture e degli angusti cunicoli; penetrano assai profondamente mediante gradini ricavati e incisi nel monte e nella roccia, perché‚ scavando continuamente ed estraendo quel materiale, nel corso ormai di tanti secoli si sono abbassate sempre più. Quivi i pezzi di pietra o blocchi compatti, grezzi come sono o appena un po' sgrossati con martelli e speciali picconi, dopo essere stati staccati dalla roccia e ridotti in forma tondeggiante, come devono essere i laveggi.
Sono portati all'aperto sul dorso o meglio legati alle gambe da singoli uomini (perché‚ lì dentro un maggior numero per la ristrettezza dello spazio, non potrebbe dare alcun aiuto), i quali allo stesso modo strisciando con cautela lungo quei gradini e muovendosi pian piano risalgono in superficie. Questi blocchi poi sono trasportati dal monte a Piuro mediante appositi congegni da quattro, sei e talvolta otto uomini secondo la mole di ciascun blocco, fino alle officine che si trovano lungo il fiume. Qui finalmente i laveggi vengono torniti come si deve e sono ridotti ad una incredibile sottigliezza mediante torni azionati dall'acqua del fiume e mediante scalpelli di ferro di vario tipo, corti e via via più lunghi, diritti o ricurvi e adatti a compiere l'opera come si richiede.
Lavorazione della pietra ollare (pietraollare.com)
Si ricavano davvero in modo straordinario dallo stesso blocco recipienti in numero variabile, ora più ora meno, talvolta venti e più sino a ventotto, in proporzione appunto alla grossezza dei blocchi, di dimensioni via via decrescenti e così entrano gli uni negli altri e tra loro si contengono. Questi laveggi, stretti presso l'orlo da fasce di ferro o di rame, sono forniti di appigli o di manici per cui si sospendono sopra il focolare. Siffatte pentole o paioli, propriamente in origine chiamati 'lebetes', sono detti sia dai Reti, che un tempo parlavano latino, sia dagli Italici propriamente e unicamente 'lavets', sebbene Ovidio, per catacresi o abusivamente, scriva: «Venti fulvi lebeti fatti di bronzo lavorato. Quantunque queste nostre pentole o laveggi, che costano tanta fatica, siano di metallo alquanto vile e di materiale assai fragile, facile a fondersi, tuttavia nella vicina Italia sono dappertutto molto apprezzati e sono esportati in gran quantità perché‚ è stato sperimentato ed è ritenuto come cosa certa che essi, quando, riempiti di qualsiasi cosa e posti sul fuoco bollono, non tollerano in sé‚ alcun veleno, ma qualunque sostanza tossiva vi si trovi immediatamente evapora e viene eliminata. Di conseguenza per la proprietà di siffatta pietra, anche se si produce in essa qualche crepa, cosa che può facilmente capitare, essi non vengono buttati via, ma la fessura viene serrata e stretta con uno o due legamenti fatti di filo di ferro o di rame, come altrove si sogliono cucire dai più poveri le scodelle di legno che si siano rotte.»
La cultura alpina è civiltà della pietra: coi sassi su queste montagne si faceva davvero di tutto. In certi casi, simboleggiavano anche Dio e portavano fortuna e bambini…
È evidente che, fra le tante cose che si facevano con le pietre, ci si fabbricassero anche le pentole. Anzi, i tegami di pietra ollare dagli archeologi sono considerati un tratto distintivo degli insediamenti di matrice celtica, rispetto a quelli romani. Perché per cuocere o conservare le vivande, i popoli mediterranei utilizzavano la ceramica e, quando si scava, si trovano i frammenti di terracotta. Gli alpini invece, usavano la pietra.
Una volta, i laveggi (termine italiano poco conosciuto che sta a significare, appunto, la 'olle' di pietra) erano diffusi ovunque in arco alpino, ma si usavano anche in pianura: alcuni pezzi preistorici stanno al Museo del Castello di Milano. In tempi di penuria di metalli, e di difficoltà ad organizzare la fusione, ferro e bronzo venivano destinati principalmente alle armi e agli attrezzi da lavoro, per quel che si poteva, si impiegavano i due ingredienti-base del territorio alpino: il legno e la pietra. Così piatti scodelle e posate erano in legno; e le pentole, di pietra.
Anche le piastre utilizzate al posto della griglia erano di pietra: di ardesia che si tagliava bene e si riusciva a ridurre su spessori sottilissimi, per cuocere la carne ma anche la verdura senza bisogno di condimento. Si pensa che la forma più arcaica di forno, fosse costituita dalla piastra di sasso su cui ancora adesso viene cotta la piadina.
I laveggi venivano usati per cucinare la carne in umido e, spesso, per conservarla con il suo grasso e il sugo di cottura, coperta, sottoterra: si manteneva per anni, e quando veniva disseppellita, si poteva scaldarla e mangiarla subito. Si riuscivano a fare lavaggi grandissimi, di diverse decine di centimetri di diametro, che dovevano essere maneggiati con grande cura, perché potevano rompersi, o creparsi. E anche allora, la manodopera specializzata costava cara: il laveggio non era una pentola qualsiasi; era un oggetto prezioso, spesso un regalo di nozze, che passava di generazione in generazione.
Ogni pezzo di pietra veniva scavato varie e varie volte: da un cilindro venivano ricavate diverse pentole. Poi rimaneva un rotolo di una decina di centimetri di diametro e di venti-trenta di altezza, inutilizzabile, ma, dato che in montagna non si buttava via niente, veniva piantato per terra per pavimentare strade e piazze, in verticale: un acciottolato eterno, che resiste ai secoli e non si riesce a tirar su.
Oggi in Italia la produzione dei laveggi è principalmente localizzata in Valtellina e in Valchiavenna, località che sono riuscite a non perdere una lunghissima tradizione artigianale. In Valchiavenna, proprio a Piuro, sono state riaperte le miniere di pietra ollare da Roberto Lucchinetti, che, dopo più di cent’anni che nessuno la chiedeva più, si è presentato in Camera di Commercio per domandare la licenza mineraria di estrazione.
Caratteristica della pietra ollare è la capacità di distribuire il calore in maniera uniforme e di mantenerlo per diverso tempo anche una volta che viene allontanata dal fuoco. È possibile inoltre mantenere la temperatura con pochissimo calore, occorre però fare molta attenzione a non scottarsi. Grazie alle proprietà della materia prima, la pentola in pietra ollare ha una naturale capacità antiaderente: si può cucinare anche senza condimento. È inoltre immune a molti tipi di acidi, il che significa che non assorbe e non cede odori e sapori. Il cibo mantiene perciò il suo aroma e la sua fragranza. È eccezionale per le cotture lunghe a fiamma moderata, come le zuppe, i brasati, gli stracotti, la polenta, i sughi (specialmente il ragù), e può essere utilizzata anche per condirvi dentro la pasta, che resterà calda molto a lungo. Ottima anche per le verdure stufate, la carne o il pesce in umido. Insomma va bene quasi per tutto!
Occorre però fare molta attenzione quando la si sposta: sarebbe bene tenerla in un luogo in cui è facile muoverla e metterla sul fuoco. Al di là del peso (anche i contenitori più piccoli sono piuttosto pesanti) che la rende difficile da maneggiare, gli utensili in pietra ollare sono piuttosto fragili ed è possibile che si rompano se ricevono un forte colpo. Allo stesso modo occorre stare attenti ai forti sbalzi termici. Importantissimo, infine, prenderla in mano con pesanti guanti da forno: la temperatura che la pietra ollare è in grado di raggiungere è piuttosto elevata, e ci si può scottare facilmente, anche quando non è sul fuoco, perché mantiene il calore a lungo, a differenza delle pentole 'normali', e noi non siamo più abituati a ricordarcene.
Quando si compra un laveggio, bisogna sapere che prima dell'utilizzo, è necessario 'trattarlo'. Generalmente sono presenti apposite istruzioni nel librettino che viene dato con la pentola. In caso contrario si può procedere in questo modo: spalmare bene la pentola all'interno e all'esterno con l'albume d'uovo. Quando si asciuga ungerla con olio oppure con grasso di maiale e lasciare che si impregni bene per due o tre giorni. Per evitare incrinature dovute ad una irregolare dilatazione, si consiglia di cucinare, per la prima volta, minestroni e bolliti con fuoco di legna oppure sistemando la pentola in un forno elettrico. Questo per consentire una regolare dilatazione. Dopo di che potrete usare il laveggio anche col gas o altra fonte di calore fissa usando la retina spargifiamma. Non bisogna mai versare acqua fredda nella pentola calda. Terminata la preparazione la pentola può essere lavata ed è pronta per essere utilizzata.
La pulizia della pietra ollare deve sempre avvenire quando si è completamente raffreddata. Generalmente occorrono 30 minuti circa, ma se il recipiente è molto grande potrebbe occorrere anche di più. Lavarla quindi con acqua e sapone e una normale spugna per piatti non troppo abrasiva.
Con l'utilizzo è normale che nella pietra si formino piccole crepe, naturale conseguenza del suo utilizzo, che non ne impediscono il corretto uso. Diverso discorso è se la pietra si dovesse spaccare a causa di un forte shock termico. In questo caso non sarebbe infatti più utilizzabile.
La pentola in pietra ollare, oltre che funzionale alla preparazione di piatti prelibati, è bellissima: se la porterete direttamente in tavola farete un figurone con chiunque!
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Le foto di Andrea Basci sono tratte dal libro «Fornelli accessi in Valposchiavo», edito dal Fondo Solidarietà Poschiavina