Il gioco
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La vita è una partita d'azzardo
Quelle scommesse dai suggestivi effetti collaterali
di Ivan Mambretti
Giocare a carte a Puskhar
"Nella vita, come nel gioco delle carte, è un grande vantaggio essere i primi a giocare perché, a carte uguali, si vince"
Baltasar Gracián y Morales
In "Il giocatore" Dostoevskij descrive il mondo del gioco d'azzardo e dei casinò. Mondo a lui ben noto essendone stato curioso e attento frequentatore. Nella elitaria cornice di una località termale il romanzo racconta fragilità e ipocrisie dell'aristocrazia russa dell'Ottocento. Una fiera delle vanità che alimenta sete di potere e di denaro, voglia di trasgressione, smania di affermazione anche a costo di sacrificare affetti e valori. Il gioco si fa così metafora di una condizione esistenziale vissuta come sfida fra il bene e il male. Diviso fra l'amarezza della sconfitta e il sottile piacere della vincita, chi gioca si cimenta nella speranza di avere dalla sua parte il caso, la sorte, la fortuna. Le carte dispensano brividi a getto continuo e il mazzo è l'inerte strumento nelle mani del giocatore, che si fa coscienza agente: cioè colui che calcola, intuisce, bluffa, nasconde le intenzioni, premedita il colpo basso. Carte da gioco, gioco delle carte: si va dal semplice passatempo domestico fra parenti e amici alle insidie della bisca. Da un'innocua serata in compagnia che rende contenti, alla sindrome del tappeto verde che manda in malora.
Il cinema, nel suo indagare sulla e nella natura umana, ha più volte toccato il tema del gioco raccontandone i motivi e i riti, le fasi salienti e gli esiti incerti. E dimostrando come spesso l'eleganza degli abbigliamenti e la sontuosità degli arredi contrastino con la meschinità degli animi.
Fra i registi debitori a Dostoevskij c'è Robert Siodmak, che in Il grande peccatore descrive i tormenti di una fanciulla virtuosa costretta dal padre biscazziere a sposare il boss di un casinò. Influenzato dalla fama di regista noir, Siodmak fa della roulette l'oggetto di una forte suspense: la ruota gira e non si sa chi sarà, al suo arresto, l'eletto! Dallo stesso scrittore trae spunto Claude Autant-Lara in Il giocatore. Qui la ricca donna di un cliente del casinò di Baden Baden si toglie la vita, ma il vizioso amante non desiste dal gioco: tentativo di dimenticare la tragedia o espressione di un'inguaribile patologia?
A Dostoevsky si rifà anche Karel Reisz con 40.000 dollari per non morire, storia di un giocatore ebreo votato al masochismo che perde e vince puntando su tutto e dappertutto: dai tappeti di Las Vegas ai campetti di basket nelle periferie newyorkesi. E deve vedersela con gli allibratori che minacciano di farlo fuori. Coinvolto in una combine con un ingenuo giovanotto, il protagonista avverte alla fine il bisogno di purificarsi nel proprio sangue. Dunque il gioco non svuota solo le tasche: logora anche l'anima. Nel film il rischio è visto come essenza stessa della vita. Anzi, il regista, che l'ha girato in un'ottica socio-politica, ipotizza che sono proprio viltà e paura del fallimento a rendere gli Stati Uniti un paese sostanzialmente debole.
Las Vegas ha un concorrente cinematografico in Europa: Montecarlo. Ernst Lubitsch usa proprio il titolo Montecarlo per raccontarci di una contessa impoverita che vorrebbe rifarsi al tavolo da gioco. Abituata agli agi, la donna affitta un piano intero del Palace Hotel e ostenta il suo rango di signora assumendo una schiera di domestici. Ma in poco tempo perde tutto perchè gioca male, anche quando la fortuna è dalla sua (magra consolazione sapere che i ricchi non sempre sono ricchi in eterno). In Il romanzo di un baro di Sacha Guitry un giovane diventa imbroglione di professione perché è sicuro che la disonestà paga. Il film è del 1936: che la società tratti meglio i disonesti che gli onesti non è evidentemente un fenomeno solo del nostro tempo!
Cincinnati Kid, 1965, regia di Norman Jewison
Cincinnati Kid è il miglior pokerista nella New Orleans degli anni Trenta, in grado persino di stracciare un vecchio maestro in uno scontro finale che diventa simbolo della lotta fra bontà e malvagità. Lo spaccone ci trasporta invece nel fumoso mondo del biliardo, in cui Paul Newman ha la presunzione di battere un poco raccomandabile campione del birillo. Ne farà però le spese: i suoi accoliti gli rompono i pollici, indispensabili per calibrare la stecca. A Newman andrà meglio in La stangata dove costituisce con Robert Redford un'irresistibile coppia di pokeristi truffaldini che, sui ritmi del ragtime, si beffano di un gonzo malavitoso. California Poker è la storia di due pokeristi convinti che, più del vincere, conti lo scommettere, cioè l'audacia fine a se stessa, il coraggio di mettersi in gioco. Ne è regista Robert Altman, che sottolinea come pensiero e azione del giocatore oscillino fra illusione e delusione. Ancora Altman usa i toni foschi del dramma in Quintet: la terra del futuro è ricoperta di ghiaccio, il gelo ha decimato i popoli. I sopravvissuti inventano un gioco che assegna al vincitore il diritto di vita e di morte sugli altri. Quando si presenta il deus ex machina sotto forma di straniero intenzionato a cambiare le regole, è tardi. Il destino è segnato, l'apocalisse incombe. In questo giallo metafisico i giocatori si aggrappano alla formula mistica del numero cinque: quintet, il gioco letale che fa da motore alla vicenda, si disputa su una tavola pentagonale che rappresenta i cinque lati dell'universo. Cinque sarebbero poi gli stadi dell'esistenza, cinque i personaggi principali, cinque le fasi dell'azione, a gruppi di cinque si muovono cani famelici ...
In Atlantic City Usa di Louis Malle, Burt Lancaster è un incanutito e spiantato gangster che, di fronte al declino del suo mondo fatto di romantici vagabondi e risibili guasconi, si vede pian piano rimpiazzato dai moderni maestri dell'illegalità e del malaffare. Il nuovo avanza, il vecchio si ritira. La stessa Atlantic è ormai una metropoli fatiscente e malinconica dove gli edifici vengono abbattuti per dare spazio ai baracconi succhia-soldi chiamati casinò. La casa dei giochi di David Mamet è un mix di thriller e comedy. Una psichiatra incuriosita dal sottobosco della mala intreccia con un giocatore una love story perversa e ingannevole. Qui vizio e virtù si mescolano fino a confondersi l'uno con l'altra. E allora, a scanso di equivoci, "frega più che puoi", sembra volerci dire il film. Casinò di Scorsese rappresenta senso e succo della vita. Nel mirino l'ambizione, il cinismo, il culto del denaro, la perdita dell'equilibrio mentale, lo smarrimento individuale, il trionfo della protervia. Personaggi esasperati incarnano le storture sociali che derivano dall'umana inclinazione al male. Lo scenario è ancora una volta Las Vegas, dove un pregiudicato collabora con la mafia nel controllo di un casinò, avvalendosi dell'aiuto di una strana coppia: un fuorilegge dissennato e una moglie infedele.
Atlantic City, 1980, regia di Louis Malle
Modesta la produzione nazionale sul tema del gioco. In Lo scopone scientifico una coppia di poveri sposi romani sfida una megera miliardaria americana scortata da un sedicente segretario. Partita a quattro in cui i nostri borgatari finiscono per inguaiarsi perché ne va dei risparmi dell'intero rione. È una tardiva commedia all'italiana sul binomio denaro-potere e annessa morale: chi gioca coi ricchi perde sempre. Altro film nostrano degno di nota è il claustrofobico Regalo di Natale di Pupi Avati. Nella notte santa, quattro amici invitano un facoltoso conoscente a un poker casalingo intenzionati a spennarlo. Non sarà così: non sempre la furbizia è una carta sicura. Nota a margine: la bolognesità del regista salva il film dalla facile imitazione del cinema americano di genere. Il concetto di perdizione sta alla base di Il passato è una terra straniera, in cui due bari (a Bari!) non si lasciano fagocitare dal gioco neppure dopo aver appreso i trucchi del mestiere. Di poker in poker, i due accumulano denaro in gran quantità, ma avvertono le frustrazioni di un'esistenza gretta e provinciale. È anche un film sull'amicizia, ma le amicizie nate nei contesti sbagliati sono instabili e pericolose.
Molti cineasti, anziché porre il gioco al centro del film, si sono accontentati di dedicargli un segmento, una sequenza, un breve ruolo. E hanno fatto epoca! È il caso di Viale del tramonto, dove Billy Wilder riesuma un cereo Buster Keaton per una partita a bridge: Keaton è quasi interprete di se stesso essendo un incallito giocatore anche nella realtà (sua moglie raccontava che era serenamente spirato nel suo letto dopo aver fatto la solita partitina con gli amici). In uno degli episodi di L'oro di Napoli un autoironico Vittorio De Sica, a sua volta gran giocatore nella realtà, veste i panni di un parvenu che crede di abbindolare con le carte il figlio del portinaio, un ragazzino che però continua a vincere costringendo l'illustre rivale a subire uno smacco dietro l'altro!
Alla fine di Il prigioniero della miniera, western degli anni Cinquanta che esalta i buoni sentimenti, uno dei tre protagonisti (che sono una donna e due uomini invaghiti della medesima) deve fermarsi per coprire dall'assalto dei pellirosse la fuga degli altri due. I maschi se la giocano a carte ma uno di loro, il cattivo desideroso di riscatto, bara a proprio danno per rimane a fare da scudo fra i sinistri dirupi della gola: i fuggitivi, insospettiti e pentiti, fanno presto dietro-front e lo ritrovano morente, trafitto dalle frecce. Nel terzo capitolo della serie 007, ai bordi di una lussuosa piscina James Bond e Goldfinger giocano a carte: il pingue gangster riceve suggerimenti da una pupa appostata a una finestra col binocolo. Ma l'astuto agente britannico se ne accorge e ribalta la situazione in suo favore. Persa la partita, Goldfinger si vendica facendo indorare il corpo della bella spiona fino a provocarne la morte per soffocamento. In C'era una volta il West il gioco è strumento palese e diretto di corruzione: un avido industriale ferroviario affetto da tbc ossea e che fa di un vagone la sua dimora si autoinvita a una partita a poker fra banditi. Ma non c'è partita: in realtà l'uomo, al posto delle carte, distribuisce mazzette di dollari allo scopo di comprarli per i suoi loschi fini. Sergio Leone ha genialmente sovrapposto due mali che si identificano: il gioco e il denaro.
Agente 007 - Missione Goldfinger, 1964, regia di Guy Hamilton
Il successo dei film sul gioco d'azzardo è stato piuttosto discontinuo. Forse la spiegazione sta nel fatto che la più parte degli spettatori non è particolarmente attratta dall'argomento, non lo sente molto vicino e ne resta quindi più annoiato che coinvolto. Nonostante incomba la minaccia del flop, cineasti vecchi e nuovi da sempre si interessano al gioco perché ne sfruttano possibilità allegoriche multiple e ne vedono suggestivi effetti collaterali: violenza, disperazione, corruzione, riciclaggio, smania di arricchimento, ostentazione di potenza. Insomma, la vocazione ad abbruttirsi.
Ci piace concludere citando un maestro e filosofo del cinema puro, l'Ingmar Bergman di Il settimo sigillo: la celeberrima partita a scacchi fra il Cavaliere e la Morte, iniziata in una livida spiaggia scandinava, si protrarrà per tutta la vita. Una partita estenuante, ma dall'esito scontato...