Il male
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Prospettive genealogiche
Verso una storia del senso del diabolus
Demini, frammento di Diabolus, Paul Gribov
Se mettessimo in fila le pagine che nel corso della storia sono state scritte sul tema del male, sicuramente farebbero più volte il giro del mondo.
Il tema del male è stato trattato da innumerevoli punti di vista che si sono succeduti nel corso della storia e che tuttora sono presenti nel mondo, dai tradizionali ambiti religiosi e filosofici (senza dimenticare le profonde diversità di vedute ravvisabili, ad esempio, tra Oriente e Occidente) a quelli, molto più simili tra loro, di stampo laico e materialista (molto interessanti, dal punto di vista euristico e prospettivistico, gli sviluppi neodarwiniani di Gianfranco Mormino).
Nonostante questo, ritengo che il tema del male sia opportuno ripensarlo a fondo anche e soprattutto oggi, perché è innegabile che sia prodromico di una comprensione del vivere individuale e sociale più profonda (non dimentichiamo che l'etica è diventata oggi la questione sociale per antonomasia), che non trascuri di confrontarsi con la realtà tutta, e il male, nelle sue infinite declinazioni, ne fa parte. Ripeto: il male sembra proprio essere diventato il tema fondamentale della modernità!
La questione di fondo in merito al male e al bene va di pari passo all'evoluzione storica dell'umanità e dipende pure dai diversi contesti culturali. Su questo punto cruciale, nella scia di Goethe, la lezione genealogista di Nietzsche ha suggerito al pensiero moderno una logica e una prospettiva del tutto nuove e coerenti con i processi metamorfici e genealogici della vita. Basta rivolgere l'attenzione a come pensassero e a come vivessero la questione morale i nostri nonni, bisnonni o trisnonni: è incontestabile il fatto che per loro le tradizioni e le religioni costituissero viatici di comportamento preferenziali, tutto ciò aveva su di loro un'ascendente e una presa molto maggiore di quanto oggi sembrano avere sulla maggior parte delle persone.
Qual è il comportamento «corretto», posto che ne esista uno, generalizzabile (anche questo aspetto non è per nulla da dare per scontato), per una vita che sia morale? Cosa è giusto vietare, se è pensabile vietare qualcosa, e cosa non può essere assolutamente vietato all'uomo? Queste domande rimandano l'uomo d'oggi a se stesso e richiedono tutta la sua forza di pensiero, di sentimento e di volontà per affrontarne anche solo un abbozzo di risposta.
Non esiste un bene morale superiore all'individuo umano, il bene morale è l'individuo stesso. La sua espressione va quindi caldeggiata, e ciascun individuo va aiutato a trovare le condizioni opportune per la sua libera e radicale auto-espressione. Tutto il sociale e l'economico che non ha come sua preoccupazione primaria ciò, non è, di conseguenza, volto al bene: è propriamente il male; è, per così dire, l'ontologia «ontica» del male! Con il termine espressione intendo tutto ciò che il filosofo Giorgio Colli ha profondamente intuito e scritto nella sua Filosofia dell’espressione, e non un’espressione generica e superficiale di un ego vanesio ed esibizionista. Tutto ciò che si allontana da questo ideale è male, non esiste altro male, se non nelle vane trame speculative di un pensare astratto, lontano dalla realtà. Se, quindi, mettessimo a disposizione di tutti gli esseri umani il necessario affinché ognuno possa, in questo modo, liberamente esprimere e manifestare la propria volontà più profonda – posto che la si sappia rintracciare e riconoscere –, il male non esisterebbe. Tutto il resto è… (non dico ‘noia’ solo perché è già stato detto) chiacchiera, vana speculazione.
Togliere i veli cinici alla cultura artistica, scientifica e religiosa, come pure all'amore (il che significa, a livello individuale, l'annientamento dell'ego e l'emergenza dell'Io), costituirebbe la rigenerazione necessaria per un'efficace espressione di ogni essere umano all'interno del contesto della modernità, e solo così il male svanirebbe come neve al sole.