Il paesaggio
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La musica intorno a noi
Come i compositori classici del passato ci hanno raccontato madre natura
Ludwig van Beethoven, autore «Pastorale» - 6a Sinfonia
Nella musica il paesaggio è stato una grande fonte di ispirazione per i compositori di tutti i tempi.
Nella maggior parte dei casi è nata dalla descrizione di paesaggi visti realmente o riaffiorati nei ricordi, in altri casi dalle sensazioni e dalle emozioni suscitate dagli stessi, da eventi naturali, da condizioni climatiche o addirittura da una stagione.
Certo è che per un musicista classico del passato riuscire a dare voce, un suono per meglio dire, agli elementi della natura o a evocare esperienze così intense da dare l’illusione di esservi immersi, è stata non solo una sfida ma soprattutto un bisogno dello spirito; il senso stesso del fare musica. Infatti non solo le passioni o i dolori e gli struggimenti dell’animo umano sono da sempre i protagonisti principali di tanta musica antica e moderna, ma anche i luoghi, gli scenari in cui queste emozioni trovano il loro sfogo.
Alcuni esempi significativi
Nella sesta sinfonia di Beethoven (1770-1827) «Pastorale», soprattutto nel secondo movimento, sentiamo il respiro della natura, gli echi di feste contadinesche, il brontolio del temporale che si intensifica per poi gradualmente acquietarsi.
Bedrich Smetana (1824-1884) nella sua opera «La mia patria» (Ma Vlast) traccia in 6 poemi sinfonici altrettante impressioni della sua terra. In particolare in quello più famoso «La Moldava» descrive il fluire del fiume nazionale, appunto la Moldava, dalle sorgenti alla sua entrata a Praga; in un altro anch’esso suggestivo «Dai prati e dai boschi di Boemia» evoca la maestà dei boschi, le voci della natura col cinguettare degli uccelli, e anche qui le danze dei contadini.
Proseguendo in ordine cronologico penso a Claude Debussy (1862-1918) che nella sua composizione «La Mer» dà espressione musicale alla passione per il mare nutrita fin da ragazzo, rivive ricordi indimenticabili, evoca il fascino del mare, descrive i suoi mormorii profondi e misteriosi, la forza e i giochi delle onde, il dialogo con il vento.
Nel 1924, nel comporre il poema sinfonico «Pini di Roma» Ottorino Respighi (1879-1936) trova ispirazione nei giochi dei bambini sotto i pini di Villa Borghese, dalle loro ombre che coprono l’ingresso di una catacomba, dai trilli delle rondini a sera, dal profilarsi degli abeti del Gianicolo sotto il chiarore della luna piena, dal ricordo delle glorie del passato (un esercito consolare ascende nel fulgore del sole al trionfo del Campidoglio).
E ancora Richard Strauss (1864-1949) nel suo poema sinfonico «Eine Alpensinfonie» (una sinfonia delle Alpi) descrive mirabilmente una giornata in montagna: 'Notte', 'Il sorgere del sole', 'L’ascensione', 'Ingresso nel bosco', 'Cammino lungo il ruscello', 'Alla cascata', 'Sui prati fioriti', 'Sul pascolo', 'Fra macchie e fratte', 'Per sentieri impervi', 'Sul ghiacciaio', 'Momenti di pericolo', 'Sulla cima', 'Si alza la nebbia', 'Il sole si oscura poco a poco', 'Quiete prima della tempesta', 'Uragano e tempesta', 'Discesa e tramonto'.
Per ultimo, anche se cronologicamente verrebbe per primo, penso ad Antonio Vivaldi (1678-1741) perché è forse l’esempio più noto e quello che col tempo è diventato quasi emblematico: nel suo «Cimento dell’Armonia e dell’Invenzione» e, soprattutto nei primi quattro concerti dedicati ciascuno a una delle quattro stagioni, troviamo un’orchestrazione legata al colorismo e al descrittivismo. A seconda della stagione l’autore descrive la spensierata gaiezza della Primavera col canto degli uccelli, il torpore e il languore dell’Estate, causati dal caldo, la calma del riposo disturbata però dai violini che imitano mosche e mosconi e preannunciano, con i tuoni, l’avvicinarsi del temporale; il ballo e il canto dei villani e l’ubriaco caratterizzano alcuni aspetti dell’Autunno, stagione della vendemmia. Nell’Inverno vengono dipinti musicalmente il vento gelido, il correre e il battere i piedi e i denti per il freddo e poi il ritirarsi quieti davanti al fuoco mentre fuori scende forte la pioggia.
Le quattro stagioni di Antonio Vivaldi: Primavera | Estate | Autunno | Inverno
Arrivando poi a tempi più recenti la figura di John Cage (1912-1992) rappresenta un’occasione di riflessione sul significato di musica e paesaggio sonoro. Agli inizi degli anni Cinquanta il musicista visita la camera anecoica dell’università di Harvard, una stanza insonorizzata, realizzata con l’intento di ridurre al minimo la riflessione di segnali sonori sulle pareti, in cui è possibile letteralmente 'ascoltare il silenzio'. In quella completa immobilità e mancanza di suoni Cage riesce però ad ascoltare i rumori e i suoni impercettibili del suo corpo. Rimasto colpito da questa esperienza, nel 1952 compone l’opera 4’ 33” per qualsiasi strumento.
Il brano consiste semplicemente nel non suonare nessuno strumento, fino al termine di quei quattro minuti e trentatré secondi. È un ragionamento sul silenzio che non può mai essere assoluto e ha un approccio più teatrale che musicale, una sorta di performance. Cage l’ha composta pensando non solo ad un’esecuzione in una sala da concerto o in un teatro ma anche all’aperto, in mezzo al paesaggio naturale o a un ambiente urbano; nel 'vuoto' musicale di quei 4 minuti e 33 secondi il pubblico però si concentrerà sui rumori che ha intorno; entreranno nell’opera tutti quei suoni della natura e del mondo circostante e ci si concentrerà nell’osservare, non solo a immaginare, il luogo in cui ci si trova. Non più un paesaggio ricreato dalla musica, ma la 'musica' intorno a noi che creerà il paesaggio.