La famiglia
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La famiglia tra cielo e acqua
Un cognome da campioni
di Franco Ferramini
Una città può essere un punto di riferimento in cui conferiscono coincidenti attività di esseri umani.
In una città diversi interessi possono confluire tra loro, lì alcune vite possono ritrovarsi per volontà o per caso e sviluppare percorsi di vita in comune, fino a creare qualcosa di bello, di significativo. In una città si formano famiglie con componenti di estrazione geografica diversa, si incrociano destini, si incontrano o si allontanano energie e sogni.
In quella città in particolare, Bolzano, cosa ci faceva un torinese ex operaio della Lancia diventato grande campione di tuffi? Beh, tanto per intenderci, Klaus Di Biasi, il grande tuffatore, a Bolzano non era arrivato da chissà dove. Lui lì c’era nato, il 6 ottobre 1947. A Bolzano nacque anche Carmen Casteiner, il 27 settembre 1954, guarda caso anche lei campionessa di tuffi. Quell’ex operaio della Lancia cosa ci faceva ancora a Torino, quando a Bolzano c’era un suo grandissimo collega, il più grande, e per di più quella era la città della donna amore della sua vita? Fu così che Franco Cagnotto, conosciuto nel mondo come Giorgio, si trasferì a Bolzano.
Giorgio Cagnotto e Klaus Dibiasi
Klaus Di Biasi, vincitore di tre ori olimpici consecutivi dalla piattaforma dei dieci metri nel 1968, 1972 e 1976 era figlio di un tuffatore olimpionico di Berlino 1936. Giorgio Cagnotto fu introdotto ai tuffi da uno zio, Lino Quattrin, a sua volta campione italiano di tuffi. In piscina a otto anni, allenato dallo zio. Ancora e sempre storie di famiglia. Poi la scelta tra continuare a lavorare in fabbrica e dedicarsi totalmente ai tuffi. Decisamente meglio lanciarsi da piattaforme e trampolini. Fino a conquistare due argenti olimpici e un bronzo nel trampolino da tre metri e un bronzo nella piattaforma.
Il tuffatore è sempre stato un misto tra sportivo ed acrobata da circo. Spesso i legami tra la ginnastica artistica e la specialità dei tuffi sono evidenti. Chi si lancia tra cielo e acqua sa che spesso è sufficiente una frazione di secondo per vanificare in gara mesi di preparazione. Tutto parte da come ci si posiziona sul trampolino, o piattaforma che sia. Poi però il tuffo deve partire, dopo quei secondi di concentrazione che sembrano interminabili. Lì ci si gioca tutto.
La figlia di Giorgio e Carmen, però, non pensava a tutto questo quando cadde a due anni nel laghetto dei pesciolini rossi del centro sportivo dell’Acqua Acetosa a Roma. Lei si chiama Tania, Tania Cagnotto, nata a Bolzano il 15 maggio 1985. Quella bimba, manco a dirlo, è come se avesse un destino segnato. Lei dice: «Quando a sei anni ho fatto il primo tuffo vero nell’acqua di una piscina mi è sembrato il gesto più naturale del mondo. Proprio come se fossi nata per fare quello». Storia di famiglia, padre e madre campioni di tuffi e il luogo, Bolzano, che come dice Giorgio, «sembra quasi che con tutte le montagne che ha intorno abbia bisogno di distrarsi con l’acqua», Tania all’età di sei anni era già in piscina ad allenarsi. Era un po’ piccola di statura, da adulta misurerà un metro e sessanta.
Lei racconta nel suo libro «Oro, argento e Tania», edito da Mondadori che da ragazza per quel motivo è stata 'bullizzata', era continuamente presa in giro da un ragazzo della scuola. Ma quel tipo non sapeva bene con chi aveva a che fare. In accordo con una sua amica, tra 'il lasco e il brusco' venne il momento della vendetta. Un bel calcio nelle parti basse maschili sistemò tutto, e da lì fine delle prevaricazioni. Tania non era una che molla, anche se sentendola parlare con la sua vocina dalla erre moscia e vedendola nel suo bel fisico estremamente proporzionato non si direbbe. Dicevamo che Tania era un po’ bassa di statura, i genitori allora decisero di portarla dal pediatra, che gli prescrisse una cura a base di ormoni della crescita, a causa di una lieve forma di nanismo. Ovvie le preoccupazioni dei genitori per la propria piccola atleta, l’ormone della crescita è uno dei doping sportivi più odiosi ed infamanti. Nel suo caso però, per uso terapeutico, questo farmaco si sarebbe trasformato, diciamo, solo in statura e non in altro. Saggia comunque la decisione di smetterla, molto prima delle prime olimpiadi di Sydney 2000, dove lei sarà con i suoi quindici anni l’atleta più giovane in gara. Non fu un piazzamento di primissimo piano ma rappresentò comunque l’inizio di una carriera da grandissima atleta, la più grande tuffatrice italiana di tutti i tempi.
Allenata dal padre Giorgio, una presenza continua, amorevole e costante, contraddistinta però da una totale imparzialità nei confronti delle altre atlete nelle occasioni in cui lui rivestiva il ruolo di tecnico federale. Anzi, forse una maggiore severità nei confronti della figlia. Una serie incredibile di medaglie, molte d’oro, in campionati mondiali ed europei, quello che mancava era la medaglia olimpica, quella maledetta medaglia sfiorata a Londra 2012. Quelle cinesi, perfette, impassibili, circondate da un’organizzazione dettagliata sin nei minimi particolari, a partire dalle strutture messe a disposizione a casa loro e da staff di persone competenti e scrupolose. Da paura, impossibile batterle. Come afferma Tania nel suo libro già citato: «Lì i bambini di cinque anni vengono allenati anche sei ore al giorno, un’ora di verticali, una di streching, e via di seguito, mentre da noi tutto l’allenamento dura al massimo sessanta minuti. In poche parole, un italiano non potrà mai superare un cinese. Fanno una vita troppo, troppo diversa dalla nostra, che nessuno di noi sarebbe disposto a imitare. In Italia, se chiedi a un ragazzo di allenarsi un po’ di più, rischi di trovarti i genitori in piscina che protestano˚.
Alle olimpiadi di Londra 2012 però quella medaglia di legno, quel quarto posto per venti centesimi, con votazioni dubbie da parte dei giudici, fu pesante. Si può combattere di tutto, ma nei tuffi quasi nulla si può fare contro un verdetto ingiusto e inappellabile. Per un anno Tania non riuscì a vedere i filmati di quelle Olimpiadi. Un continuo meditare addirittura il ritiro, fino alla necessità di cambiare allenatore. Suo padre Giorgio era stanco, visibilmente amareggiato dalla vicenda di Londra. Tania cambiò allenatore, scegliendo Oscar Bertone. Una forte necessità di rinnovarsi, di cambiare vita, per avere nuovi stimoli.
Il mondiale di Kazan in Russia nel 2015 iniziò male, l’ennesimo quarto posto in coppia con la Dallapè. Dalla gara individuale del trampolino da un metro finalmente però si materializzò un sogno: battere le cinesi. Pur avendo conquistato altre preziose medaglie nei mondiali precedenti, per Tania fu il primo, meraviglioso oro. L’amara delusione di Londra era stata cancellata.
Alle olimpiadi di Rio de Janeiro 2016 andò con la carica giusta, il giusto equilibrio tra esperienza e voglia di medaglia, serenità e concentrazione, serietà e distraenti alleggerimenti della tensione. Finalmente lì fu medaglia olimpica, nel trampolino da tre metri sincronizzato in coppia con Francesca Dallapè, un meraviglioso argento, dietro le cinesi Shi Tingmao e Wu Minxia.
Per Tania a Rio le medaglie olimpiche furono addirittura due, con il bronzo nel trampolino da tre metri. La nostra grande campionessa potrà annunciare il ritiro: dopo venticinque anni di ore e ore di piscina giornaliera, finalmente una vita, un’esistenza 'normale'. Arriverà il matrimonio e Maya, una stupenda bambina. Qualche anno di sosta, ma il richiamo della vita tra cielo e acqua è troppo forte. Tania Cagnotto e Francesca Dallapè sono tornate ad allenarsi, in vista delle Olimpiadi di Tokio 2020.
Anch’io, da ragazzo, ho sognato di essere Klaus Di Biasi o Giorgio Cagnotto. Anch’io ho provato l’ebbrezza, più o meno in contemporanea con i successi di quei grandi campioni, di tuffarmi dal trampolino di tre metri e dalla piattaforma di cinque. In antiche, calde estati milanesi, alla Piscina Scarioni, nel quartiere Niguarda. Ricordo i primi tentativi di tuffarmi dalla piattaforma di cinque metri, quella da dieci invece era molto più in alto, e qualche mio amico della compagnia si tuffava anche da lì, invidiato e ammirato da tutti noi che avevamo paura di farlo. Prima di riuscire a trovare il coraggio di tuffarmi 'di testa' dai cinque metri però ho collezionato un paio di brutte figure, del tipo salire dalla scaletta affollata sulla piattaforma, guardare giù e bloccarmi, scendendo dalla stessa scaletta tra gli improperi di quelli che stavano salendo. Fino al giorno che sono riuscito a tuffarmi. Meravigliosa, bellissima sensazione. Una volta rotto il ghiaccio, quel giorno di tanti, tanti anni fa non la finii quasi più di risalire e tuffarmi, per poi risalire ancora e tuffarmi un’altra volta. Per non fermare quella sensazione di guardare il cielo, librarsi nell’aria e volare in acqua. Probabilmente, la stessa sensazione che le nostre Tania e Francesca non vogliono assolutamente perdere. Forza meravigliose campionesse!