La giovinezza
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I migliori anni della nostra vita?
Non sempre sono quelli della spensieratezza
Stand by Me Rob Reiner
Un gruppo di ex universitari rimasti a lungo senza contatti si ritrova una quindicina di anni più tardi in una mesta circostanza: alle esequie di uno di loro che si è tolto la vita.
Un incontro toccante che ristabilisce e rivitalizza sopite memorie. Tornano a parlarsi, a confrontarsi, a lamentarsi del tempo che comincia a imprimere una ineludibile accelerazione. Sogni, pensieri, illusioni, progetti perduti per strada sono gli occasionali strumenti per ricreare antiche complicità studentesche. Una rimpatriata sottolineata da una indovinata colonna sonora che li mette di fronte ai loro cambiamenti. Come erano e cosa sono diventati. Chi sono ora, e cosa fanno. È questo il plot di Il grande freddo (1983), film di Lawrence Kasdan sull'amicizia e i rimpianti di gioventù.
Il grande freddo di Lawrence Kasdan
Per rispondere alla domanda che cos’è la giovinezza si può ricorrere a due affermazioni contrastanti. Una, popolarissima, è quella di Lorenzo il Magnifico che ci ammonisce sulle incognite del futuro: «... Chi vuol esser lieto sia, del doman non v'è certezza». L’altra è del saggista francese Paul Nizan, meno nota ma anche meno banale: «Avevo vent’anni. Non permetterò mai a nessuno di dire che è l’età più bella della vita».
Certamente ci sentiamo più allettati dal commento mediceo. Ma dove sta la verità? Forse dentro di noi, nel fondo dell'anima, nel nostro personale vissuto, nel bagaglio dei ricordi. Attenzione ai ricordi però: sono traditori. Quando infatti evochiamo momenti del nostro passato, belli o brutti che siano stati, tendiamo a trasfigurarli in qualcosa di piacevole a prescindere dalla realtà che fu. Esempio lampante sono gli anziani, che luccicano di nostalgia persino a parlar di guerra!
Se andiamo a rovistare fra le pellicole che hanno trattato il tema della giovinezza scopriamo che, almeno fra le più importanti, prevale il pensiero di Nizan, a partire da quel Gioventù bruciata che è da ritenere un autentico manifesto. “Rebel Without a Cause”, ribelle senza motivo, recita il significativo titolo americano. Ma anche il titolo italiano è divenuto un luogo comune. Il film di Nicholas Ray è entrato nella memoria collettiva per una gara automobilistica verso un baratro che vedeva fra i concorrenti James Dean, divo 'maledetto' (come Marlon Brando) nella Hollywood convenzionale e patinata degli anni Cinquanta. Al James Dean in carne ed ossa, ironia della sorte, fu fatale proprio una bravata in auto. Tragico incidente che dopo soli tre film (e a soli 24 anni!) gli è valso almeno un posto nella leggenda. A dispetto della retorica che esalta la famiglia modello, Gioventù bruciata descrive con le tinte del dramma il rapido mutamento dei costumi a partire dal secondo dopoguerra. Nella trama un amico che stravede per il protagonista allude a un rapporto di omosessualità che è il segnale forte di una svolta anticonformista nell'ambito del puritanesimo d’oltreoceano. Si potrebbe considerare questo film una anticipazione in salsa americana dei “pugni in tasca” di Bellocchio, di cui si dirà più avanti.
Gioventù bruciata di Nicholas Ray
Più leggero American Graffiti di George Lucas, ambientato in California in un'estate dei primi anni Sessanta. Quattro ragazzi (che sembrano gli adolescenti di Stand by Me un tantino cresciutelli) vivono con insicurezza il passaggio all'età adulta in una notte di innocenti evasioni e naturali tentazioni. Cercano una felicità che gli sfugge di mano proprio quando sembrano sul punto di coglierla. Di quale sarà il loro futuro ci informano le didascalie finali (annunciare ciò che succederà ai personaggi dopo il racconto cinematografico è una moda che prenderà piede). Le numerose canzoni, trasmesse nella finzione da una radio locale, ripercorrono la più felice delle epopee canore.
Importante il filone collegiale. Il primo titolo che balza alla mente è L’attimo fuggente (1989) di Peter Weir, che tuttavia vanta prototipi in bianco e nero quali Zero in condotta di Jean Vigo e Sciuscià di Vittorio De Sica. Nel film di Weir gli studenti di un liceo del New England vivono l'esperienza di un incontro straordinario: quello con l’estroso professor Keating, che insegna lettere in maniera così innovativa da indispettire gli ingessati docenti dell'istituto e persino le famiglie degli allievi. Mentre tutti si attengono a regole e tradizioni obsolete, il professore spezza ogni vincolo e comincia a catturare la simpatia dei ragazzi insegnando ad esempio che la poesia, se ben spiegata, è la molla che sviluppa lo spirito creativo e suscita amore per cose belle come la libertà, specie se repressa in un contesto sociale e pedagogico castrante. Gli studenti più sensibili fondano allora la "Società dei Poeti Estinti" e di notte si riuniscono in una grotta a declamare versi famosi. Uno di loro si scopre attore, ma i genitori stroncano questa sua passione. Il ragazzo ci soffre a tal punto da decidere di farla finita per sempre. Va da sé che le colpe ricadono sul folle insegnante, reo di eccitare gli animi e di spingerli a gesti estremi. Da antologia la scena finale in cui gli studenti salgono in piedi sui banchi per salutare citando Walt Whitman ("capitano, o mio capitano") il loro maestro costretto all'umiliazione del trasferimento (al film di Weir si ispirerà, scopertamente e maldestramente, Guido Chiesa in un filmetto di argomento scolastico passato del tutto inosservato: Classe Z, del 2017).
L’attimo fuggente di Peter Weir
Arrivederci ragazzi (1987) di Luis Malle è una storia di formazione attraverso gli orrori della guerra. Parigi 1944. Due fratelli ragazzini, costretti a separarsi dalla madre, sono ospiti in un collegio di gesuiti dove con altri compagni vivono ignari di quanto di grave sta accadendo fuori. Qui nascono sincere amicizie, si manifestano i primi turbamenti della pubertà e ci si lascia catturare dal piacere degli hobby (libri, pianoforte, film). Ma la guerra produce presto i suoi effetti nefasti. Il cibo scarseggia, il freddo aumenta, le retate si intensificano, le bombe sempre più frequenti costringono a rinchiudersi nei rifugi. E quando i nazisti fanno irruzione nella camerata, è panico, sgomento, smarrimento. Tutti gli allievi percepiscono prematuramente che cosa vuol dire essere ebrei per alcuni loro compagni. E diventano adulti nel modo peggiore: misurandosi col male assoluto chiamato nazismo.
Il film britannico Se… di Lindsay Anderson, realizzato in piena contestazione sessantottina, si svolge in università, specchio di un'aristocrazia in crisi eppure fucina della futura classe dirigente. È il racconto della sofferta ricerca della propria identità da parte di una generazione che vagheggia un mondo migliore. Uno spaccato di storia della seconda metà degli anni Sessanta, quando gli studenti scendevano in piazza chiedendo autonomia e giustizia e inneggiavano a una cultura alternativa che generasse un nuovo tipo di società. Purtroppo il fenomeno sfuggì di mano e presero il sopravvento la violenza e il terrore. Da qui l'idea di Stanley Kubrick di realizzare Arancia meccanica (1971), il film che più di altri rivela il lato oscuro di un'epoca controversa come il decennio a venire, cioè i Settanta.
Fra i registi attratti da questi fermenti troveremo molto più avanti il nostro Bernardo Bertolucci, che con The Dreamers (2003) ne dà una personale versione da camera mettendo in scena un torbido menage-a-trois sullo sfondo del 'maggio francese'.
The Dreamers di Bernardo Bertolucci
Ma sull'argomento ci sono anche film scanzonati come I laureati di Pieraccioni, sulle peripezie urbane di quattro trentenni fuori corso, o Compagni di scuola di Carlo Verdone, quasi 'grande freddo' all'italiana. In Una gita scolastica Pupi Avati compie una operazione nostalgia al limite della fiaba, mentre Fausto Brizzi, con Notte prima degli esami, ironizza sul più classico degli incubi studenteschi: la maturità. Diverte anche il giovanilismo a tutto campo di L'ultimo bacio di Gabriele Muccino, che forse ha tratto ispirazione dal film francese di Claude Pinoteau Il tempo delle mele, storia caramellosa di una adolescente che si affaccia alla vita con curiosità, timore e ingenuità. Film un po' ruffiano che fa di Sophie Marceau un'icona, mentre i ragazzi degli anni Ottanta cantano il leit-motiv "Reality" di Richard Sanderson.
Intanto cresce inarrestabile l'homo tecnologicus. Che genio quel Mark Zuckerberg, inventore di Facebook a soli 24 anni! A lui David Fincher dedica il film The Social Network (2010), che lo ritrae come giovane frustrato e introverso. Un nerd, per dirla in gergo. La tecnologia impera nel mondo, ma non è tutt'oro. I totem elettronici pongono l'umanità di fronte a una nuova forma di solitudine, entrano insidiosamente nella vita di ciascuno, lo condizionano e ne mutano umori e abitudini.
The Social Network di David Fincher
Ma torniamo al cinema italiano. I vitelloni (1953) descrive la vita di provincia di alcuni giovani sfaccendati figli di papà che tirano a campare in una cittadina romagnola che potrebbe essere Rimini, visto che di Rimini è il regista Federico Fellini. La guerra è finita da qualche anno, l’Italia è in fase di ricostruzione. Un Paese ancora disorientato non può che allevare una gioventù altrettanto disorientata e sonnacchiosa, che sotto l’apparente goliardia nasconde la paura del futuro. Alla fine uno di loro, Moraldo, alter-ego del regista, prende il treno, lascia il natio borgo e cerca fortuna a Roma. I vitelloni è capostipite di tanti film italiani che raccontano il disagio giovanile attraverso le diverse epoche. Vedasi I Delfini (1960) di Citto Maselli, che punta il dito su una gioventù imborghesita e più raffinata di quella di Fellini, ma anche più gretta e sprezzante. Questi ragazzi i soldi li hanno, ma non bastano a riempire il vuoto delle loro vite.
In La voglia matta (1962) di Luciano Salce un maturo ingegnere si aggrega a una compagnia di giovani che va al mare ma ne finisce cornuto e mazziato: nell'Italia del boom il mondo è in mano a loro, i giovani. Inutile fare i ganassa e voler competere. Memorabile prova di Ugo Tognazzi che si innamora come un salame della fresca e seducente Catherine Spaak.
Dalla commedia disinvolta al dramma fosco. Il Sessantotto è nell'aria e già si colgono segnali di rivolta. I pugni in tasca (1965) di Marco Bellocchio scava in profondità negli anfratti di una famiglia agiata che vive fra i colli piacentini. Una famiglia con tare e scheletri nell'armadio della quale il figlio epilettico e misantropo farà saltare i già precari equilibri. Bellocchio, come in altri suoi film, demolisce l'ottuso perbenismo ammantato di buoni sentimenti.
Il resto ce lo racconta Marco Tullio Giordana nel suo lungo e meraviglioso affresco della storia d’Italia dagli anni della contestazione a Tangentopoli. La meglio gioventù (2003) affronta le vicissitudini di una famiglia perbene del Nord Italia nel cui seno spunta persino il germe del terrorismo. Il film si chiede che cosa mai sia cambiato nell’arco dei quarant’anni narrati. E la risposta non è confortante: dopo tanti bei sogni e ideali, rieccoci alla reazione del potere, al riflusso, al ritorno ai vecchi vizi, alle degenerazioni del malaffare. Alla fine due giovani innamorati contemplano un’alba norvegese: qualcosa di straordinariamente bello che induce alla speranza. Banale certo, eppure emozionante. La malinconia del film è sottolineata dall'efficace e struggente musica di Astor Piazzolla.
Come prendersi una cotta e raggiungere Tre metri sopra il cielo (2004) ce lo racconta Luca Lucini in un film tratto dal romanzo omonimo di Federico Moccia, autore cult per teenagers che non amano le letture impegnate e non vanno al cinema per pensare. Grazie a questa sorta di "tempo delle mele de noantri" (col bel tenebroso di turno Riccardo Scamarcio), fioriscono analoghe pellicole coi "lucchetti dell'amore" dove i pruriti post-adolescenziali vengono descritti col sorriso e in superficie.
Di diversa pasta è Scialla!, non l'ennesima commedia generazionale, ma una storia ancorata alla realtà. L’adolescente 'vero' è quello che non si rintana in casa davanti al computer, ma è attento a raccogliere i segnali della strada e della società per rielaborarli, se possibile, in forma positiva. Smetto quando voglio di Sydney Sibilia indaga invece sul disagio dei ricercatori universitari che non trovano lavoro e sono pronti anche a delinquere. Fra loro due latinisti che si devono adattare a fare i benzinai! Sulla non facile condizione di tanti giovani d'oggi interviene anche Francesca Archibugi con un titolo che la dice lunga: Gli sdraiati. In Cuori puri, opera prima di Roberto De Paolis, una ragazza educata ai rigori religiosi della madre bigotta promette di fare voto di castità fino alle nozze. Ma quando incontra l’amore - il custode di un parcheggio confinante con un campo rom - le promesse saltano. Inizia per loro un percorso di formazione difficile perché il piccolo mondo che li circonda è pieno di pregiudizi e non li aiuta.
Con Youth Paolo Sorrentino racconta la giovinezza per contrasto. Due anziani più o meno coscienti di essere agli sgoccioli delle loro forze fisiche e intellettuali, degenti in una casa di riposo, riflettono sul senso della vita e ne ripercorrono luci e ombre, desideri e amarezze, amori e rancori. Tutto è perduto tranne il diritto all'illusione, alimentato dal tenero sguardo dei figli che li vanno a trovare.
Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino
Finiamo citando un film di quest'anno che è piaciuto negli States: Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino, languida love story tra il rampollo di una famiglia benestante del Cremasco e un fascinoso ricercatore americano ospite per ragioni di studio. Pian piano la latente omosessualità di entrambi affiora e esce allo scoperto, li cattura e li scioglie finchè i loro corpi si intrecciano nell'abbraccio di un amore proibito. Chissà se li spinge il coraggio di lottare contro un tabù sociale o più semplicemente la sconosciuta debolezza privata della carne. Correvano nel film gli omofobi anni Ottanta, e che certe relazioni non fossero ancora tollerate si evince dalla confessione del padre del ragazzo, che fa outing offrendogli una solidarietà tanto inattesa quanto benefica.