La libertà
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La realtà della libertà
Etica e coscienza estetica
di Egidio Missarelli
"Oh libertà! Tu amichevole, umano nome, che comprendi in te tutto ciò che di moralmente amato onora in sommo grado la mia umanità, che non mi fai servo di nessuno, che non solo non detti alcuna legge, ma attendi ciò che il mio stesso amore morale riconoscerà come legge, perché esso non si sente libero di fronte ad ogni legge soltanto imposta".1
Rudolf Steiner, La filosofia della libertà
Le considerazioni che vanno per la maggiore riguardo al tema dell'etica si riferiscono sempre, in modo più o meno velato, a una somministrazione di norme e regole morali operata da istituzioni od organizzazioni alle quali è attribuita, in genere per tradizione e consuetudine sociale, competenza di merito (tradizioni, familismi, chiese, legislazioni ecc.). In altri termini: etica come dietetica, cioè come una serie di regole generali adatte a tutti in egual modo, una prescrizione che è possibile riassumere in poche norme da imparare a memoria e nelle quali rientrano tutti i casi particolari – peraltro unici e irripetibili – in cui si è chiamati ad agire. Va detto, a onor del vero, che in moltissimi casi non ci si accorge neppure di quanto si stia seguendo un itinerario obbligato, talmente sono nascosti in profondità questi moventi assorbiti per osmosi fin dall'infanzia: si ritiene, in buona fede, di fare ciò che si vuole, non si coglie l'inganno e quindi ci si preclude tutto quel lavoro necessario per il disvelamento del proprio essere, unica possibilità, tra l'altro, di fare la propria volontà e non quella di qualcun altro.
Va detto, in contrapposizione a quanto sopra riportato, che spesso capita di fraintendere il concetto di libertà, soprattutto quando, per ovviare alle restrizioni delle norme morali codificate, si pensa che si possa essere liberi dando corso agli istinti di natura, non solo limitandoli ai corretti bisogni naturali – di nutrizione, di riproduzione ecc. –, ma esasperandoli in un parossismo voluttuario. Se non c'è libertà nelle morali codificate o tramandate in altro modo, non c'è neppure nel dar corso a ciò che di più deterministico esista al mondo: gli istinti di natura. Questo va detto per sgombrare il campo da facili illusioni nelle quali ci si può irretire quando si ha giustamente la volontà di liberarsi dal giogo di moralismi repressivi e fonti di disagio. Nulla di male, la mia è solo una constatazione di fatto e non una posizione di giudizio morale – o ancor peggio di pregiudizio –, ma il passo ulteriore è quello di capire che gli istinti di natura, quando ci si affida ad essi per il conseguimento della vera libertà, sono un altro inganno: come sappiamo, qui vige una cogenza assoluta, e la cogenza non porta mai alla vera libertà. Beninteso, chi è completamente appagato dagli istinti di natura ha tutto il diritto di esserlo e di essere lasciato in pace: ognuno ha il diritto al suo essere e ogni giudizio nei suoi confronti è solo moralismo e disumanità.
Questo profilo dell'attualità pone però dei seri problemi. Il non volerli affrontare con maturità e un orizzonte ampio, non permette all'uomo contemporaneo di sollevarsi verso una concezione moderna dell'agire cosciente, dell'atto di volontà cosciente, del comportamento morale individuale: queste espressioni equivalenti portano il nuovo contenuto dell'etica e dovrebbero iniziare a un ripensamento radicale della stessa. L'uomo dovrebbe sempre chiedersi se in esso agiscono motivi presi dal mondo, sotto forma di convinzioni "ereditate" dalla famiglia, dall'educazione ricevuta, dall'epoca storica in cui vive ecc., oppure se gli orientamenti che lo portano ad agire siano ideali fortemente voluti e motivati esclusivamente sulla base della propria intuizione individuale: vero e proprio passaggio del Rubicone!
La creazione d'idee nuove, in qualsiasi campo, è un atto artistico. Nel comportamento umano, in ogni singola idea che vuole venire alla luce ed esprimersi, ci sono due possibilità: la prima consiste nel fare ciò che è il risultato di quello che il "mondo" ha fatto di me; la seconda nel fare ciò che io creo basandomi esclusivamente sulla mia capacità di intuizione ideale-morale. Questo secondo ed evolutivo fattore ha però bisogno di un elemento estetico capace di tradurre nella mia immaginativa ciò che io in quanto essere autocosciente decido di volta in volta di realizzare, di portare a manifestazione. In mancanza di questo trait d'union, di questo ponte tra l'ideazione pura – che può quindi anche rimanere astratta – e la sua concreta attuazione, nella realtà significherebbe non avere che buone intenzioni, e si sa che "la strada per l'inferno è lastricata di buone intenzioni". Da questa prospettiva, la componente estetica inerisce all'atto di volontà perché - se ci si vuole porre nella realtà rettificandola secondo i propri propositi e trasformando l'esistente secondo il proprio individuale segno esistenziale – richiede a ognuno di noi tutta la capacità di cui dispone per costruire nella fantasia, per creare nell'immaginativa la "struttura" a cui maggiormente corrisponde. Il vivere questo processo rappresenta, senza alcun dubbio, un passaggio difficile ma necessario sulla via di una creazione originale che sia disgiunta da contenuti passati – per se stessi privi di linfa vitale, morti –, o, in altri termini, per una riconfigurazione dell'etica su di una base estetica, sulla capacità cioè di rigenerare e rimodellare con arte e intuizione le relazioni umane, naturali e sovrasensibili, oggi pericolosamente compromesse perché stantie, stereotipate, convenzionali e in declino.
1 Questo brano è in risposta a Kant, che, nella Critica della ragion pratica, afferma: "Oh dovere! Tu eccelso, gran nome, che non contieni in te nulla di ciò che di amato porta in sé la lusinga, ma esigi sottomissione; ... che stabilisci una legge davanti alla quale tacciono tutte le inclinazioni, anche se in segreto vi si oppongono".