La montagna
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Guarda lassù! Le vette giganti dei monti...
Oltre la tirannia del pregiudizio, attraverso il 'natural burello'
Chiesa Santa Perpetua, Madonna di Tirano (foto: catt.ch)
«... La massima indulgenza che ritiensi dover accordare a coloro che la coltivano (la Filosofia Ermetica, ndr), ed a quelli che ne prendono la difesa, è di considerarli come matti, ed al più poco degni dei manicomi.
Nei tempi andati erano considerati quali i più saggi degli uomini; ma la ragione, per quanto eterna, non è sempre quella che governa; è obbligata a soccombere sotto la tirannia del pregiudizio e della moda».
Antonio Giuseppe Pernety
Sono nato in mezzo alle montagne e forse a loro devo quasi tutto, almeno quel tutto oggi ritenuto niente, come l’aria tersa che ti fa sottile, raffinato e non attaccabile: il puzzo lo riconosci a distanza.
Preservato. E allenato; anche dall’oscurità pietrificante del bosco, e come a Joringhello il risvolto è tangibile a chi si inoltra nella «selva oscura». La montagna e i boschi ti forgiano se frequenti e vivi l’analogia. Daumal l’ha raccontato, e prima di lui tutti i veri ispirati dalle Muse. Muse, che prediligono montagne, boschi e sorgenti come loro luoghi d’elezione e dove si può percepire la loro numinosa presenza. La loro è una presenza assoluta ( paréinai ) e, se vogliamo dar credito a Esiodo, al cospetto di Zeus cantano «le cose che sono, che saranno e che furono», perché sono figlie della Memoria celeste, del ricordare divino, al di là del tempo e dello spazio, nel 'sempre' ( Aion ) o, come diceva indefessamente l’antropologo Bernardino del Boca, nel «continuo infinito presente».
Alcuni studiosi ritengono che il termine Musa venga proprio da mons, da 'monte', ma anche da móus, 'sorgente', come anche da radici quali manthànein, 'apprendere', mnéme, 'memoria', mens, 'mente', múein, 'iniziare', e secondo Platone il verbo da cui deriva il loro nome è mósthai, 'ricercare', 'aspirare'.
Kenosis n° 3 - acrilico su carta, Egidio Missarelli, 2015
Il Massuccio e il monte Padrio come l’Olimpo e il Parnaso: bella sfida! Un azzardo, e fa sorridere… ma l’opus alchemico si rinnova. E questa è la mia storia, e di altri devianti, come saggiamente ci ha chiamati Edgar Morin[1]. Ma leggi bene: solo i devianti sono capaci di fare una cosa sola: ascoltare, in silenzio. In caso contrario, non potrebbero diventare creatori di mondi altrimenti impossibili, diradare le nebbie di Niflheimr e percepire l’aperto, la radura, il Lichtung; anche qui, se vogliamo dar credito a Rilke e a Heidegger. I rovi di spine intorno al castello incantato diventano fiori e lasciano passare solo gli arditi, a tempo debito ( kairós ).
Dicevo, in ascolto:
«Tutto l’intorno resta in attesa / di un mio decisivo passo. / Se solo potessi a nuovo (ri)presentarmi / come autentica epifania… / O come l’onda instancabile / nella risacca estinguentesi: / sempre la stessa ma sempre nuova. / Tutto l’intorno è incantato, / aspetta di essere liberato. / Tutto l’intorno è incantato, / aspetta te per esser liberato. / Dal prato verde s’innalza / il grigio campanile / dal tetto piramidale, / sfiora una nuvola bianca / (quasi un solido platonico / in celeste architettonica metamorfosi cherubica) / incastonata nel cielo azzurro / a sembrar la Disputa del Raffaello. / E la bianca margherita nel prato, / muta mi interroga, ci interroga / sulle condizioni possibili e necessarie / alla nostra potenziale fioritura».
Santa Perpetua, resto in ascolto:
Il confrontarsi con muri stabiliti nel XII secolo, che sovrastano arroccati il via vai sempre indaffarato di gente inconsapevole di quanto Mnemosyne possa restituire senso e valore alle loro insulse vite, mi ristora, sacralizza il sangue che scorrendo presto svapora, come le immagini carolinge-ottoniane o quelle degli antichi etruschi. Dentro le mura e dentro l’animo la storia si fa presente e, finalmente, costruisce il futuro, sapientemente, secondo le istanze di un genius loci che vuole solo la nostra attenzione: una presenza e l’ 'Aperto' salva e redime in eterno, si 'Perpetua', come la santa martire a Cartagine, volto d’amore che solo l’istante scopre, e nasce Euforione, robusto virgulto che sospende il delirio, perpetua felicitas. Si dirà: ma questa è ‘solo’ filosofia e poesia! Certamente, ma per difetto non per eccesso, come la filosofia è difetto di sapienza in quanto eterna ricerca di una sophia perduta, perché solo scritta è falsa e illusoria. Oppure, in tono comprensibilmente esiziale, con Faust possiamo ridire:
«E le ho studiate, ah!, filosofia,
giurisprudenza e medicina
– e anche purtroppo teologia –
da capo a fondo, con tutto l’ardore.
Povero pazzo: e ora, eccomi qui,
che ne so quanto prima.
Dicono: «professore». Perfino «maestro», dicono;
e sono già quasi dieci anni che gli studenti
– su e giù, dritto e traverso,
li meno per il naso …
E mi è chiaro che nulla possiamo conoscere!»
Inoltre, in modo pre-categoriale, nell’ambito cioè di una prospettiva inversa, devo ripetere e dar voce a Wittgenstein che nei suoi Ricordi scrive: «Mi piacerebbe se un giorno tu potessi leggere quanto sto scrivendo ora. Il mio modo di pensare non è richiesto nell’epoca attuale… devo nuotare così vigorosamente contro la corrente. Forse tra cento anni la gente vorrà davvero ciò che sto scrivendo. Nel libro mi è impossibile dire una sola parola su tutto quello che la musica ha significato nella mia vita. Come posso sperare allora di essere capito?».
[1] “Come in ogni organismo umano adulto esistono cellule staminali totipotenti, specifiche delle cellule embrionali (cioè cellule che possono funzionare per qualunque organo ndr), ma che sono inattive, così esistono in ogni essere umano e in ogni società virtù rigeneratrici o generatrici allo stato dormiente o inibito.
Nelle società normalizzate, stabilizzate e irrigidite (come la nostra ndr) le forze generatrici creative si manifestano spesso nei devianti: artisti, musicisti, poeti, scrittori, filosofi, appassionati del ‘fai da te’ e inventori.
Orbene, la coscienza che ogni grande movimento di trasformazione comincia sempre anche nelle società congelate o sclerotizzate in maniera marginale, deviante, modesta, ci indica che le innovazioni creative sono sempre e ovunque possibili”. Edgar Morin