La morte
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Le danze macabre
Una rappresentazione sovversiva della morte
di Michela Zucca
Ossario Sant'Anna, a Poschiavo (foto: Martin van den Bogaerdt)
“Noi siam stati in figura come voi, e voi sarete in sepoltura come noi; Oggi son vivo e dimani morto Chi confida nel Signore risorgerà”.
Queste le parole pronunciate dai teschi di Poschiavo (alcuni portano sulla fronte le iniziali dell'antico proprietario) che, da secoli, dalle loro orbite vuote, ricordano ai vivi che l'unica certezza possibile è che... prima o poi... morir si deve.
Sulle ante chiuse delle finestre che danno sull'oratorio, intitolato a sant'Anna, Grande Madre della Madonna (e di tutto il creato, prende il posto della Magna Mater neolitica e diventa prima ebrea poi cristiana) vi sono delle scene nella tradizione dei "Trionfi della morte" e della "Danza macabra", dipinte in uno stile tanto grafico quanto popolare.1
Dalla Spagna settentrionale a Saluzzo. Dalla Finlandia all'Inghilterra. Questo il quadrilatero in cui, a cavallo fra il Medio Evo e l'età moderna, si diffonde un nuovo motivo iconografico popolare: la danza macabra. Territori di maggiore diffusione degli scheletri che ballano sono l'arco alpino e la Germania nord orientale; la Bretagna e la Francia settentrionale. Luoghi in cui resistono tradizioni pagane, una cultura arcaica che ha accettato la cristianizzazione in ritardo e molto malvolentieri, comunità libere, in cui quasi non esiste la proprietà privata della terra e dei mezzi di produzione, circondate da un ambiente ancora allo stato semi selvaggio: enormi foreste, montagne e grandiose cime, sentieri assediati dai briganti e percorsi dagli eretici.
Mai come allora, le Alpi hanno unito popoli, tradizioni e civiltà, anziché dividerli. Per secoli, hanno conservato l'egemonia politica, economica e culturale sull'intera Europa.
Anche se oggi può sembrare strano, è proprio nelle regioni dell'arco alpino che si realizza la grande produzione culturale e artistica dell'alto Medio Evo. Quando le splendide città dell'epoca romana si riducono a ricettacolo di malfattori, sbandati, mendicanti e ladri di macerie, è sulla cima dei monti che si sposta la gente che conta: dai castelli ai monasteri, nobili e monaci danno vita ad una civiltà non urbana, praticamente seminomade. Una cultura che ha creato gli amanuensi e i trovatori, che perpetua gli strumenti del suo sapere nelle biblioteche e nei canti dei menestrelli erranti. Una società dove non esiste una compagine statale ben definita; l'impero è lontano, le nazioni ancora non esistono. Il potere è decentrato, esercitato in forma più o meno blanda dai feudatari o dagli abati. Per la scarsità di uomini e di mezzi, i controlli sono scarsi e difficili. I contadini continuano a vivere come hanno sempre vissuto, osservando gli antichi riti, raccogliendo e cacciando più che coltivando i campi. La popolazione è scarsa su un territorio sconfinato: basta poco per sopravvivere.
Mano a mano, però, che il potere delle città di pianura si allarga, lentamente esse acquistano in ricchezza e "spazio vitale", allargano i propri domini, estendono le proprie esigenze: da una parte e dall'altra delle Alpi cominciano a formarsi gli stati nazionali, che distruggeranno le libere leghe di valle e faranno sparire i retaggi feudali. La Chiesa a poco a poco cerca di penetrare anche nei villaggi più isolati, sradicando boschi sacri, lanciando anatemi contro gli spiriti, proibendo l'esercizio della sessualità, lanciando crociate contro gli eretici, bruciando le prime streghe: è proprio in questo momento che si diffondono le danze macabre. Sono i manifesti di una guerra che fu combattuta e persa, di cui è svanita la memoria.
È nel bel mezzo di queste battaglie dimenticate che i bianchi muri di mezza Europa si adornano di balli di cadaveri.
Oratorio dei Disciplini (Clusone)
Sembra che i dipinti fossero centinaia. A questi bisogna aggiungere un numero pressoché corrispondente di edizioni illustrate : una diffusione capillare su tutto il continente. Per di più, non si trattava di raffigurazioni destinate a sedi difficilmente accessibili, o relegate in belle sale riservate alle élite. La danza macabra non è mai stata un motivo dotto, teologico o intellettualistico, o magari letterario. Non erano mai decorazioni secondarie o poco visibili: prendevano intere fasce di muro, in luoghi bene in evidenza, sia a piedi che a cavallo, e molto frequentati. Posti preferiti, oltre alle pareti esterne più in vista di città e paesi, i ponti che conducevano ai centri abitati, e ai cimiteri. Il numero di quelli che le contemplarono, e che ascoltarono le prediche destinate a commentarle, rimane incalcolabile.
Anche le modalità di esecuzione dell'orrida rappresentazione non sono le solite: nella maggioranza dei casi, le danze macabre non sono commissionate dal clero, o da qualche ricco nobile che vuole acquistarsi un certo numero di indulgenze in Paradiso, o sciogliere un voto per grazia ricevuta. Questi affreschi (e si badi bene che l'affresco è la tecnica più costosa in pittura, quella che richiede l'intervento di professionisti, ma destinata a durare per l'eternità) sono ordinate a pittori erranti, come i Baschenis de Averara nel caso di Pinzolo e Carisolo, dalle comunità stesse. Che si autotassano e invitano l'artista "dall'estero", pagandolo caro, anche in tempi di carestia. Che concorrevano al lavoro di manovalanza e di supporto senza neanche tentare di sottrarsi. Perché? Che cosa spingeva questa gente a togliersi il pane di bocca, oltre all'amore per l'arte?
Comuni e parrocchie, con la partecipazione attiva dei censiti e dei parrocchiani, concorrevano al proprio abbellimento, che doveva avere finalità edificanti. Per raccogliere il denaro necessario alle "fabbriche" degli affreschi ci si appoggiava alle oblazioni, alle Confraternite, ai Legati, alle rendite della chiesa, e, infine, alle multe imposte ai trasgressori delle disposizioni emanate dai Comuni. L'azione culturale e di propaganda che, in questo modo, veniva effettuata fin nei più piccoli centri abitati, acquistò presto una dimensione anche politica, prima che artistica e filosofica: era, infatti, un'aspirazione ad affermare la propria identità autonoma in contrapposizione, anche polemica, con i centri urbani e signorili di maggiori dimensioni2.
La danza macabra, però, non è soltanto una dimostrazione di orgoglio attraverso l'arte. E non si può certo definire un "motivo decorativo".
La danza macabra, Oratorio dei Disciplini (Clusone)
La danza della rivolta
Il messaggio più potente e sovversivo che viene "trasmesso" dalle danze degli scheletri dai muri di tutta Europa, è la comunanza della sorte di ognuno, e quindi l'assoluta uguaglianza di fronte alla morte, che scardina ogni gerarchia sociale, ogni divario di età, ogni differenza di sesso e di professione.
Quegli antichi pittori, nomadi senza patria, erranti e "irregolari", fuori moda nello stile e nei modelli figurativi, ancora legati al gotico e a canoni interpretativi semplici da capire per la gente del popolo, un po' come succede oggi per i fumetti per i fotoromanzi, furono feroci con i potenti del mondo. Li schernirono senza pietà, con cinismo, ironia e sadico compiacimento: era probabilmente l'unica occasione in cui potevano permetterselo. Il potenziale contenuto sovversivo delle danze dei morti era eclatante ed esplosivo. Queste raffigurazioni erano come dei manifesti che incitavano alla rivolta, erano delle minacce dipinte. E gli artisti diventavano interpreti di quanto fremeva nel profondo degli animi dei popoli cristiani3.
La morte come estremo conforto al termine di una vita ingiusta, vissuta da poveraccio o da emarginato, è un motivo ricorrente in tutte le danze macabre. A Basilea è addirittura il pittore che ironizza su se stesso, artista insigne (i frammenti che si sono salvati dalla distruzione e le riproduzioni che sono state fatte della danza, ci dicono che gli affreschi dovevano essere stupendi), ma comunque relegato al di fuori dell'alta società del tempo, che frequentava per ragioni professionali, a cui però non poteva appartenere né per casta né per ricchezza. Nei viventi c'è tristezza, non c'è paura.
Danse macabre (XV secolo), Abbazia di Chaise-Dieu in Alvernia
Sarebbe sbagliato, però, pensare che queste invocazioni siano un invito al qualunquismo, all'accettazione dell'ordine costituito in nome di una ricompensa in cielo: al contrario. Le cronache del tempo (le notizie che sono arrivate fino a noi) ci parlano di un periodo turbolento, in cui un niente bastava a far scoppiare la rivolta. L'immagine del servo della gleba, pronto ad eseguire gli ordini del signore, è completamente da rivedere. Semmai, nascerà molto più tardi e sarà la conseguenza di una sconfitta epocale, sancita teologicamente dal Concilio di Trento e politicamente dalla "ragion di stato". Ma in questo periodo la battaglia è tutta da combattere, e gli esiti sono ancora incerti.
Il '300 è un secolo di acute lotte di classe. Nel clima di angoscia determinato dalle epidemie, dalle carestie e dalle guerre, la Chiesa si rivela incapace di svolgere una benché minima funzione di controllo ideologico e sociale: i secoli XIV e XV sono particolarmente nefasti per il papato, travolto dagli scandali e roso dalla dissoluzione morale. Viene a mancare ogni tipo di legittimità religiosa: da un lato, nascono fenomeni di opposizione dura alle gerarchie ecclesiastiche e alla loro corruzione (vedi i Dolciniani, ma anche i fraticelli e gli altri gruppi eretici), insieme ad un uso rivoluzionario del Vangelo; dall'altro un ribellismo millenaristico, confuso e inconcludente, ricco di elementi irrazionali, con vampate di cruda violenza che si spegnevano di colpo nel nulla.
La protesta sociale si esprimeva anche in una altro modo: l'aumento della popolazione sulle Alpi espelleva di continuo dalle zone in quota e dalle valli uomini che non riuscivano a trovare spazio nell'economia dell'allevamento seminomade. Il salto da pastore transumante a vagabondo, da vagabondo a bandito era molto facile. Questa situazione si verificava soprattutto nelle zone di collegamento fra pianura e montagna.
Le danze macabre sono un manifesto e un segnale che danno speranza agli irregolari e ai rivoltosi di ogni risma: guardate, siamo tutti uguali, ricchi e poveri, belli e brutti, giovani e vecchi, uomini e donne, preti e laici, potenti e miserabili, tutti uguali di fronte alla falce della morte, che mieterà il suo raccolto quando verrà il momento che solo lei conosce. E poi, vista la vita che si vive noi poveri diavoli, tanto vale combattere senza paura: per lo meno potremo cavarci qualche soddisfazione, e magari vendicarci di qualche torto. Se si muore, riposeremo finalmente, senza più bisogno di penare per continuare a vivere, senza fame, freddo, ingiustizie da subire, umiliazioni da dover ingoiare... e lei ci accoglierà con affetto, dolce signora che ci promette un meritato (ed eterno) riposo...
1 - AA. VV., Immagini della danza macabra nella cultura occidentale dal Medio Evo al Rinascimento,
Como, Nodo Libri, 1995, p. 16.
2 - Silvia Vernaccini, Baschenis de Averaria, Trento, Temi, 1989, p. 38
3 - Silvia Vernaccini, Baschenis....cit., p. 85.