La ricchezza
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Enigma in luogo di mare
di Carlo Fruttero e Franco Lucentini
di Luca Conca
foto: casa.it
È tradizione che nel periodo estivo ci si porti in vacanza o 'sotto l’ombrellone', per usare l’espressione forse più abusata di tutto il repertorio da servizi da telegiornale, un libro giallo.
Letteratura leggera, appassionante, 'fresca' che di solito non ci si concede nel corso dell’anno, o perlomeno che non si va a cercare con la stessa voglia. Spesso in edizioni tascabili che si possono sgualcire senza sensi di colpa e poi pazienza se tra le pagine resta qualche granello di sabbia, se la copertina si scolorisce al sole.
Io mi trovo perfettamente d’accordo; sono uno di quei lettori che riserva precisi periodi dell’anno a precise letture, generi, autori. Un lettore da abbinamenti quasi meteorologici. Il giallo quindi, si diceva, come occasione di increspare lo specchio d’acqua del contesto vacanziero; alzare lo sguardo dal libro e gettare tutt’intorno alla sdraio o al lettino l’occhio indagatore e sospettoso.
In estate si è forse più ricettivi a un senso di avventura e mistero, con tutto un immaginario da luoghi di villeggiatura che sospende per qualche giorno l’ordinario e stuzzica invece l’insolito, il piacere di cimentarsi in un gioco a incastri.
Enigma in luogo di mare, di Carlo Fruttero e Franco Lucentini (per tutta l’Italia che legge, Fruttero&Lucentini) è proprio questo, prima ancora di essere un giallo: un puzzle, un coltissimo svago da salotto, un 'invito al mare con delitto', parafrasando l’invito a cena del film di Robert Moore.
Così come il film (soggetto e sceneggiatura del grande Neil Simon) è una divertita parodia del whodunit (il 'chi l’ha fatto'), il romanzo sembra non prendersi troppo sul serio e utilizza gli stereotipi del genere con una sorta di disincantato scetticismo. Come era stato per La donna della domenica, il romanzo che nel 1972, quando uscì, diede nuova linfa al giallo italiano e per certi versi ne divenne il capostipite e diede notorietà a quello che sarebbe diventato presto un marchio commerciale di grande successo.
Fruttero&Lucentini scelgono un genere 'basso' per una scrittura 'alta'; la tessitura investigativa rispetta come d’obbligo l’impianto deduttivo e tutti i suoi passaggi, ma è l’accurata analisi di quell’alta borghesia (torinese come nei primi romanzi, o fiorentina, veneziana, romana) a prevalere, a descrivere davvero una città, un luogo, una cultura.
In Enigma in luogo di mare gli ingredienti del giallo che si rispetti ci sono tutti, a cominciare dai personaggi, numerosi, eccentrici e diversissimi, ognuno con una sua personalissima mania e qualche peccatuccio da nascondere, fino all’ambiente in cui la trama si sviluppa, la pineta della Gualdana, nella splendida Maremma Toscana; un luogo sospeso, isolato, perfetto per circoscrivere gli eventi e allo stesso tempo 'enclave narrativa', come nei gialli inglesi lo è l’antica dimora di campagna o il piccolo villaggio sulla scogliera. Qui non siamo in una villa vittoriana ma in tanti 'villini' che vanno a formare un esclusivo villaggio turistico di lusso, occupate da politici, imprenditori, artisti e nobili decaduti.
Carlo Fruttero e Franco Lucentini
E questo ci porta al secondo (dopo l’unitarietà di luogo e azione) elemento distintivo del giallo classico: l’ambiente ricco ed elegante. Dall’inizio del Novecento ad oggi sembra che non ci sia stato giallo senza 'tintinnio di gioielli' per dirla con John Lennon; Richard Austin Freeman, Agatha Christie, Cyril Hare, e su su fino alle sporcature noir di Raymond Chandler, Dashiell Hammett e Russ Macdonald, dalla Londra nebbiosa all’assolata California (per restare nei nostri cliché) sembra che non vi sia omicidio se non nelle ville con piscina, castelli nella brughiera, circoli sportivi, campi da golf, yacht, club e resort a cinque stelle. E anche prima, dall’apparizione dell’investigatore Auguste Dupin, creato da Edgar Allan Poe nel 1841 nel celebre e seminale I delitti della Rue Morgue, a Sherlock Holmes era tutto un susseguirsi di principesse rapite, diademi rubati, lord e ambasciatori.
Il delitto e l’omicidio, in quanto pretesti narrativi, carte servite al tavolo dei giocatori, sono ecumenici, possono colpire indistintamente il giardiniere e l’erede al trono, ma chissà perché il topos narrativo, lo scenario ha sempre lo stesso comun denominatore: il lusso. Più è esclusivo e più rappresenta la matassa intricatissima e inaccessibile che l’investigatore si troverà a dover dipanare. L’esclusività del teatro degli eventi è la conditio sine qua non, affinché il lettore, prima di tutti, si debba muovere con cautela, circospezione, senza farsi guidare da gretti pregiudizi. Sarebbe inaudito anche solo sospettare che un bieco istinto animale o uno squallido tornaconto personale possano aver guidato la mano del colpevole.
Al di là della mia frusta ironia, la ricchezza di luoghi e ambienti è prima di tutto ricchezza di trama, di colpi di scena, di segreti svelati. Il lusso serve per poterlo impoverire col delitto, con i moventi prosaici della natura umana.
foto: pregiocase.corriere.it
In Enigma in luogo di mare il protagonista è proprio il gruppo dei villini, l’elite che vi abita, l’affaccendarsi instancabile e organizzato di giardinieri, supervisori, idraulici, guardiani, custodi con turni di poche ore e avvicendamenti continui (così che la soglia di attenzione e precisione non cali) perché tutto funzioni senza intoppi, perché non si presentino quegli irritanti inconvenienti a guastare la villeggiatura. E perfino la noia è vissuta con stile ed eleganza: i tarocchi, le citazioni filosofiche, il puzzle senza guida, difficilissimo. E un puzzle è anche l’andamento del romanzo, i suoi salti da un personaggio ad un altro, da un gruppo di tasselli, azioni, motivazioni, indizi, ad un altro, nel lato opposto della pineta, nella parte lontana dell’intreccio, fino alla scoperta del pezzo mancante (eccolo!) che chiude il puzzle e, forse, sbeffeggia l’ultima parvenza di distinzione (signorilità).