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Il futuro del popolo italiano
Quando viene meno l'istinto di sopravvivenza della specie
di Franco Clementi
Leggo in una rivista che l'Italia sta battendo il record mondiale di denatalità. Negli ultimi trent'anni il numero di figli per ogni donna si è dimezzato, e con esso si è avuto un pauroso calo di forze nelle nuove generazioni.
Per ora il fenomeno non si riflette sul numero globale degli abitanti perché il minor numero di giovani viene mascherato dal maggior numero di anziani, a causa dell'allungamento della loro vita media, ma col tempo l'impoverimento dei nuovi nati verrà evidenziato in modo allarmante.
Mentre infatti ci stiamo preoccupando dello scioglimento dei ghiacciai o della banchisa polare, per via dell'"effetto serra", non ci accorgiamo che a squagliarsi è l'intero nostro popolo, a causa della riduzione delle nascite.
A spiegare il perché di tale denatalità, si affaccendano politici, sociologi, psicologi, esperti di statistica e demografia, sacerdoti. Per lo più le analisi si fermano ai motivi economici e materiali, nonché alle accresciute difficoltà, specialmente per le donne, di conquistare l'affermazione personale non solo in campo lavorativo e professionale ma anche in quello sociale e relazionale.
Queste ragioni sono talmente evidenti da apparire ovvie e addirittura banali, tanto da far venire il sospetto che esse altro non siano che un modo per aggirare il vero e più grande problema, e cioè l'affievolirsi dell'istinto di sopravvivenza della specie, del senso della continuità biologica al di là del singolo individuo, dell'aspirazione ad una vita non chiusa entro l'ambito strettamente personale.
Se difatti la denatalità fosse legata solo a problemi economici essa dovrebbe interessare solo le classi più povere, mentre invece colpisce in pari misura e forse di più, i ceti abbienti.
Si possono avanzare allora ipotesi più sottili. Solo alcune:
- La medicina dell'infanzia e la psicopedagogia sembrano presentare i figli come esseri fragili (basta un nonnulla per creare in loro un "complesso"), bisognosi di attenzioni e cure continue, di dedizione e sacrifici tali da rendere il mestiere di genitore, cioè l'educazione della prole, il più difficile del mondo, quasi impossibile: questa preoccupazione spinge le coppie a rinunziarvi e a volgere lo sguardo altrove, piuttosto che verso i figli tanto impegnativi. La condizione di "senza figli" acquista un fascino che prima non aveva e le accresciute possibilità economiche consentono di riempire questa condizione di altre cose suggerite dalle sirene del consumismo - beni, viaggi, avventure, esperienze - che prendono il posto dei figli nel rendere comunque la vita piena e degna di essere vissuta. Meglio dell'allevare un figlio, possibile creatore di problemi, può apparire il prendersi cura di un cane, fedele, affettuoso, senza fisime psicologiche, che, al bisogno, può essere abbandonato in un autogrill dell'autostrada.
- Una concezione dell'amore priva del suo insopprimibile aspetto diffusivo, espansivo, creativo, e che pertanto si ritiene esaurito solo nel rapporto all'interno della coppia, fra un "lui" e una "lei", vissuto pertanto in un continuo rimirarsi reciproco, incapace di uscire da un chiuso guscio per guardare insieme fuori di sé, e di vedersi realizzati in nuove creature "altro da sé", i figli, in cui peraltro sono contemporaneamente presenti l'"io" e il "tu". Questo amore mutilato, soddisfatto di rimanere piccolo come una pianta bonsai che non dà frutti, spesso non s'accorge che la cercata sterilità finisce con lo spegnere anche sé stesso, con conseguenti crisi, abbandoni, diserzioni, delusioni, fallimenti.
- Altro motivo può essere cercato nell'estrema, radicale separazione fra due fenomeni che la natura aveva costituiti intimamente uniti, la sessualità e la procreazione, con l'esagerata ipertrofia della prima, usata persino a far da motore ad ogni pubblicità commerciale, e lo svilimento della seconda, ridotta a semplice pratica biologica da potersi eseguire in una squallida provetta.
- Alcuni movimenti intellettuali e correnti filosofiche il cui pensiero può esser riassunto nello slogan "Voglio tutto e subito!" hanno finito col provocare un cambiamento culturale che tende a veder concluse nell'arco della sola propria vita le esperienze e le capacità di sognare e progettare il futuro. Appare allora del tutto "fuori moda" e incomprensibile la mentalità del vecchio contadino che continuava a piantare alberi di cui lui, personalmente, non avrebbe potuto cogliere i frutti.
- In un clima di ateismo pratico la cancellazione di ogni ipotesi relativa alla continuità dell'anima dopo la morte, ha finito col riverberarsi anche sull'interesse per la continuità del nostro corpo nella vita dei nostri figli. Fra le due sopravvivenze, spirituale e materiale, esiste infatti qualcosa di più di un semplice legame simbolico.
Che fare? Le difficoltà a risolvere il problema della denatalità hanno qualcosa che ricorda quelle relative a interpretare la frequenza dei suicidi. La denatalità infatti può essere considerata il suicidio di un popolo.
Fare una politica che incoraggi la costituzione delle famiglie, aiutarle nel corso del loro allargarsi nella prole e nell'educazione dei figli, facilitare per la donna la possibilità di realizzarsi come madre e come membro attivo di una società complessa e variegata... tutte queste cose sono opportune, possibili, utili, dovute. Ma mi rimane il dubbio che siano insufficienti se non recupereremo il senso di un percorso da fare che coinvolge tutta l'umanità del passato, del presente e del futuro.
In fondo siamo come una staffetta olimpica: prendiamo la fiaccola accesa da un compagno che ha già corso, per consegnarla ad un altro che correrà più avanti...