- Categorie: sei in New generation L'eros
Il primo amore
Quando fa male ma è vitale come respirare
a cura di Veronica Guglielmana
Mi sentivo sospesa in una specie di limbo, in apnea in un mare di incertezze. Cosa fare? Dove andare? Non avevo più nessun cardine a cui appigliarmi, nessuna mano a cui aggrapparmi. Stavo precipitando senza rendermene conto.
"Devo riacquistare il controllo della situazione. O almeno il controllo di me" continuavo a ripetermi.
Tutto era iniziato una sera, una sera come tante altre: uscita con le amiche, solito locale, solita gente. O almeno così credevo. Stavo ballando ad occhi chiusi, lasciandomi trasportare dalla musica, il mio unico respiro. Riapro gli occhi e scopro che al posto delle mie amiche, sparite improvvisamente, c'è un ragazzo che mi fissa sorridendo. Occhi di ghiaccio che trafiggono i miei. Si avvicina pian piano, mi prende la mano senza chiedermi il permesso e cominciamo a ballare. Il mondo attorno a noi comincia a dissolversi fino a scomparire. Non so dire se abbiamo ballato cinque minuti soltanto od ore intere. I ricordi di quella sera sono molto confusi tuttora... A volte mi chiedo se sia stato solo un sogno. È tutto svanito così in fretta! Prima luce, ombre, scintille nella notte. Poi il nulla. Ma quella notte, anche se solo per pochi secondi, ho vissuto pienamente, ho assaporato appieno il midollo della vita. L'eros pulsava nelle mie vene per la prima volta. Un impulso alla vita, un istinto primordiale che annullava completamente la mia ragione. Affinità alchemiche? Non lo so... so solo che quando posò le sue labbra sulle mie sentii una scossa in tutto il corpo. Un bacio carico di rabbia, di prepotenza: voleva me e basta, ne ero certa. E io non opposi resistenza. Volevo che mi desiderasse, perché sentivo che mi aveva già rubato il cuore. Dire colpo di fulmine è troppo poco: tempesta di meteoriti è il termine esatto. La mia anima, come la terra, aveva sempre avuto una sorta di atmosfera che la proteggeva dall'ignoto, dall'universo. Questi meteoriti però precipitarono, si schiantarono con così tanta violenza su di me che le barriere crollarono di colpo. Ero vulnerabile. Essere vulnerabili è la sensazione più bella del mondo se c'è qualcuno che si prende cura di te e ti ama; ma essere vulnerabili e venire abbandonati da chi ami allora è la fine. Perché così accadde.
Quella mattina mi svegliai ed ero la persona più felice del mondo, ve lo posso giurare. Fino a quando non ricevetti uno stupido, banale, insulso SMS: "Ieri sera non ha significato nulla, mi dispiace se hai frainteso le mie parole. Ci si vede". Cercai di far mente locale, esaminando ogni singola parola che aveva detto durante quella notte. "Credo che potrei innamorarmi di te. Ti giuro, non ho mai provato nulla di simile per nessun'altra". Ero sicura che mi avesse detto quelle parole, ma lui, adesso, poche ore dopo averle pronunciate, le negava. Provo a chiamarlo, non mi risponde. Passano le ore, i giorni e io spero che mi chiami, che mi dica "sono un idiota, penso veramente quello che ho detto quella notte". Arrivo a pensare che abbia approfittato di me. Provo a rassegnarmi, a dimenticarlo, ma non ce la faccio. Occupo la mia giornata con mille attività, studio, amici... ma poi arriva la notte e l'irrazionalità prende il sopravvento: lo sogno, torna da me. E quando mi bacia mi sveglio. Le lacrime scendono copiose sul mio volto. L'impulso di eros viene sopraffatto a poco a poco dall'impulso di thanatos. Mi sto annullando. Scompaio dentro i miei stessi incubi. Vivo nel limbo dei miei tormenti, ma voglio salvarmi. Devo dimenticarmi di lui.
Un paio di settimane più tardi ricevo una chiamata da un suo amico: "Da quella notte non ha mai smesso di pensarti. Lui ti ama, davvero. Ma è spaventato a morte da quello che prova per te". Non sapevo se ringraziarlo od odiarlo per quello che aveva detto. Quelle parole da una parte esaudivano tutte le mie speranze, dall'altre mi ricacciavano nuovamente nel tormento per lui. Avevo giurato a me stessa di volermi salvare e così partii. Un viaggio da sola, un po' di tempo da dedicare solo e interamente a me stessa. Ma in ogni volto che incontravo cercavo il suo, cercavo con disperazione anche solo un piccolo e insignificante dettaglio che potesse farmi pensare a lui. Lui era la mia malattia e allo stesso tempo la mia unica medicina. Dovevo forse morire per poter vivere? Eros e thanatos non erano mai stati così simili come in quel momento. Decisi di tornare a casa, quindi da lui, perché lui era la mia casa. Lo trovai in lacrime che mi aspettava, quasi sapesse che prima o poi sarei tornata da lui. Perché in fondo è così, quando due anime scoprono di amarsi non possono più fare a meno l'una dell'altra. Nonostante le paure, nonostante le sofferenze. Amare è come respirare: puoi provare a non farlo, stai in apnea. Ma arriva il momento in cui non ce la fai più, perché respirare è qualcosa di naturale, spontaneo: hai bisogno di aria, hai bisogno di lui.