Il mare
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Il mare mi parla, e canta
Quando l'estate aveva un suono familiare
di Gina Grechi
Se abitassi al mare, forse non aspetterai ogni anno l'estate con trepidazione. Il mare non sarebbe sinonimo di 'vacanze' e non avrebbe ancora lo stesso inconfondibile odore di acciughe sotto sale e 'protezione 50'.
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Ho dei ricordi bellissimi legati ai mesi di luglio e agosto, della mia infanzia: i nonni materni affittavano una casa a Varazze e mi coccolavano, insieme ai miei fratelli, per ben 60 giorni. Alla fine dell'estate, restituivano ai nostri genitori tre... pesci!
Ho imparato a nuotare grazie a mio nonno Lino. La sua pancia rotonda e liscia era la boa a cui mi aggrappavo le prime volte, per sentirmi davvero al sicuro. La nonna difficilmente ci raggiungeva in spiaggia. Adesso so che trascorreva i pomeriggi cucinando per noi, lavando e stirando i nostri vestiti, e indaffarandosi per rendere l'appartamento accogliente e profumato di buono.
Alessandro e Andrea, già biondi di natura, dopo mesi di sole e sale, diventavano due 'tedeschini' e, immancabilmente, attiravano l'attenzione di qualche bambina straniera, che poi diventava anche mia amica. Allora si comunicava facilmente anche senza parole, spinti dalla medesima sete di leggerezza e divertimento!
La festa più bella era «la notte dei lumini», quando tutta Varazze, affidava alle acque i propri desideri, accendendo una piccola candela, adagiata in una barchetta di carta sottile e colorata. Nel giro di pochi minuti, come in un racconto di Lafcadio Hearn, sulla «Festa dei morti» in Giappone, il mare accoglieva «un lungo sciame di lucciole» galleggianti che, sotto la dolce spinta delle onde o del vento, fluttuava sempre di più verso il largo.
Oggi, se potessi veder realizzato un mio desiderio, chiederei di avere ancora 13 anni e tutta l'estate del 1990 da rivivere: il sapore unto e inconfondibile della focaccia Ligure, le interminabili partite di ping pong ai «Bagni Cavetto», le verticali in acqua con Manu, i capelli sempre perfetti di Paolo «Pialla», la caccia al tesoro fra sdraio e ombrelloni, le stelle cadenti la sera del 10 agosto, la mia prima 'cotta'. Si chiamava Stefano, ma io lo avevo soprannominato «Romano» per via del suo accento; era bello come un eroe e odorava di pulito e dentifricio.
Il mare è proprio magico. Lo ha sempre saputo anche Tobia che a 5 anni non vedeva l'ora di correre verso la rena umida per lasciarsi accarezzare i piedi dall'acqua salata. «Devo correre», diceva, «perché il mare mi parla e canta». Cosa gli mormorasse il mare, in quella sua lingua profonda e ondivaga è un segreto che non ha mai rivelato a nessuno. Io credo fossero versi poetici; quelli che fanno chiudere gli occhi e trovano, sicuri, la strada del cuore.